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Archivio per il mese di Aprile 2010


giovedì 8 Aprile 2010, 19:01

Quel posto là

Rivoluzione in Kirghizistan: il popolo è stufo di vivere in uno Stato di cui non si sa nemmeno bene come si scriva il nome.

Si fa per scherzare, ma è indubbio che nell’immaginario degli italiani il mondo sia rimasto fermo agli anni ’80; quelli in cui il pianeta era dominato dagli Stati Uniti, a cui a malapena si contrapponeva un blocco sovietico in decadenza, e nel mezzo stava un’Europa che, almeno culturalmente, era ancora il centro del mondo. Il resto, leones: territori sottosviluppati pieni di gente che, se non moriva di fame, comunque viveva con gli scarti dell’Occidente.

La realtà è andata avanti e ci ha lasciati indietro: ben pochi italiani saprebbero indicare dove sta il Kirghizistan su una carta geografica, e quasi nessuno descrivere i giochi geopolitici in cui si trova in mezzo. Eppure basta mettere il naso fuori dai nostri confini per scoprire che il mondo prende direzioni che noi continuiamo ad ignorare, e si consegna a genti di cui non sappiamo, appunto, nemmeno il nome. Per esempio a Londra, un paio di mesi fa, mentre lasciavamo il nostro albergo centrale e relativamente elegante che potevamo permetterci solo trattandosi di viaggio di lavoro, abbiamo assistito all’arrivo di una comitiva di turisti in tiro, con tanto di guida turistica al seguito, che hanno scaricato tonnellate di valigie prima di requisire tutte le migliori camere e poi chiedere dov’è che si andava a fare shopping; e non erano americani, non erano tedeschi, non erano nemmeno russi o giapponesi; erano kazaki.

Ogni tanto mi diverto ad accendere Sky e a mettere sul canale 530, ossia CCTV-9: il canale internazionale in inglese della televisione di stato cinese. Il loro telegiornale parla del nostro stesso mondo, ma con priorità diverse; non ci sono Berlusconi e Bersani (c’era però la notizia del terzino dell’Inter, Santon, operato al ginocchio) e anche Obama e Sarkozy compaiono solo ogni tanto (le loro mogli mai). Invece, oggi i cinesi mostravano nell’ordine la rivoluzione in Kirghizistan, le elezioni in Sri Lanka e le proteste di piazza in Thailandia (poi c’erano dieci minuti buoni di sfottimento sui problemi di qualità della Toyota, perché si sa, parlar male dei cugini giapponesi è un dovere). I cinesi parlano di un continente come l’Asia che da solo vale metà del mondo, e che si sta progressivamente trasformando nel loro giardinetto di casa, un po’ come il Sud America lo è stato degli Stati Uniti per un secolo (lo è sempre di meno).

Noi insistiamo con le nostre certezze, quelle dell’Italia grande potenza mondiale e meta di immigrazione e investimenti dal mondo. Ormai questo è il passato; gli stranieri non vengono qui a investire, ma a colonizzarci; e la nostra immigrazione si riduce principalmente a un’area vicina culturalmente (Romania) o almeno geograficamente (Africa settentrionale e occidentale), spesso come primo passo verso altri paesi europei più allettanti; al massimo, si viene qui perché siamo i meno capaci a gestire i flussi e a far rispettare le regole. In compenso, alla nostra emigrazione da paese sviluppato degli anni ’50 e ’60 – quando esportavamo soprattutto lavoratori poco qualificati – si è sostituito un pattern di emigrazione di tipo africano, in cui ad emigrare sono i più brillanti e i più attivi.

Eppure, noi vogliamo ancora fare gli americani; e quando ci parlano di Kirghizistan e Kazakistan noi pensiamo alle capanne di fango del film di Borat. Come appunto fanno gli americani, che però, tutto sommato, possono ancora permetterselo. Per noi, invece, è giunta davvero l’ora di mettersi a studiare le cartine.

[tags]geopolitica, globalizzazione, economia, immigrazione, emigrazione, kirghizistan, kazakistan, cina[/tags]

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mercoledì 7 Aprile 2010, 10:14

La lunga via per la democrazia

Ieri sera si è tenuta una interessante riunione del Movimento 5 Stelle Piemonte; e può una riunione del Movimento non essere movimentata? No di certo. Le questioni trattate sono piuttosto importanti e dunque sono meritevoli di una discussione con i miei elettori e con il pubblico sul blog.

Come saprete, uno dei punti fondamentali della nostra idea di politica è quella dell’eletto come “dipendente dei cittadini”; non una persona che una volta eletta ti saluta e per cinque anni fa quel che gli pare, ma una persona che riceve costantemente direttive dall’elettorato.

Purtroppo, in Italia, la Costituzione (pensata in condizioni totalmente diverse, quando il rischio da considerare erano le minacce fasciste ai deputati) prevede la totale libertà di mandato; non è tanto facile vincolare legalmente un eletto. Tuttavia, condividendo la visione di cui sopra, tutti i candidati alle regionali hanno firmato un impegno che li vincola almeno moralmente al ruolo di “dipendente”.

E dato che ogni contratto necessita di una controparte, prima delle elezioni è stata costituita legalmente una associazione di 18 persone, in rappresentanza un po’ di tutti i gruppi del Piemonte, che detiene il potere di controllo dei nostri due consiglieri, e ha il diritto-dovere di decidere sull’uso dei fondi concessi al gruppo e sulle posizioni politiche del movimento in Regione, agendo come organizzatore e intermediario della consultazione continua del pubblico e dei vari “meetup” e liste civiche attivi sul territorio, come previsto appunto dal contratto.

A questo punto, nella prima riunione dell’associazione dopo il voto, si trattava di decidere come farla evolvere: includere altri soci perché fosse più rappresentativa, mettere in piedi gli organi sociali che si sarebbero interfacciati con i due consiglieri e cominciare a discutere la scelta dello staff.

E qui, però, si sono scontrate due visioni opposte del mondo. Io, dopo tanti anni di Nazioni Unite e organizzazioni internazionali, sono un “formalista”; disegno architetture istituzionali a menadito. E dunque, la mia proposta era di ammettere nell’associazione tutte le persone conosciute e attive durante la campagna elettorale, in modo da creare una base di 40-50 iscritti assolutamente fidati; e di far eleggere a loro sia un direttivo, che seguisse le questioni economiche, che un organo politico, in cui fossero equamente rappresentate le varie zone del Piemonte, per discutere con i consiglieri le linee da prendere. (Tenere separati i soldi dalle policy è in genere una buona cosa, è quel che succede ad esempio nelle università con Consiglio d’Amministrazione e Senato Accademico.) Dopodiché, si sarebbe potuto lavorare con calma a una piattaforma di deliberazione partecipativa, da usare almeno per le grandi decisioni, usando nel frattempo il blog come “termometro” delle opinioni del pubblico.

Dall’altra parte però è emersa una posizione diversa: tutte queste regole non servono, complicano le cose e creano uno strato intermedio di burocrati. Manteniamo dunque la gestione dei soldi in mano ai 18 membri iniziali, e lasciamo le scelte politiche a un organismo informale, fuori dall’associazione, deciso dai consiglieri e/o dal gruppetto originario che già decise i candidati; o anche, lasciamo che i consiglieri facciano ciò che vogliono, in quanto sono già vincolati dal programma, possono interpellare la rete e saranno controllati dalla rete stessa. Qualcuno ha addirittura proposto di chiudere l’associazione e lasciare anche la gestione dei soldi in mano ai consiglieri.

Alla fine si è giunti a una votazione, e il gruppo si è diviso in due. Due terzi hanno votato a favore del modello formalizzato che avevo proposto io, mentre un terzo ha votato per svuotare l’associazione il più possibile. Il problema è che questo terzo comprendeva Davide Bono e alcune tra le altre persone più in vista del gruppo, che non l’hanno presa affatto bene; ed è partita un’oretta di discussione e critiche reciproche, piuttosto concitata, prima che l’ora tarda mandasse tutti a dormire.

In realtà, si scontrano due preoccupazioni entrambe legittime. In chi vorrebbe smontare l’associazione, c’è la paura che essa si trasformi in un classico ambiente da vecchio partito, con la gara a far iscrivere gli amici, le lotte per farsi eleggere nel direttivo e così via; e c’è il desiderio di mantenere il controllo nelle mani del gruppetto originario per paura dell’arrivo di malintenzionati e riciclati vari. In chi vuole formalizzare delle regole precise, c’è la paura di perdere il controllo dei propri rappresentanti nelle istituzioni, e che tutte le belle parole sul politico “dipendente dei cittadini” e al servizio del gruppo vengano prontamente rimangiate una volta ottenuta l’elezione; e c’è perplessità di fronte alla resistenza ad allargare tale potere di controllo almeno ad altre persone conosciute ed attive.

Stanotte ho tentato una proposta di mediazione, suggerendo che l’organo politico potrebbe essere nominato non dall’associazione ma dai consiglieri stessi, affidando però all’assemblea associativa un potere di ratifica o bocciatura in blocco (dunque costringendo i consiglieri a sceglierlo in modo ragionevole). Sono alchimie istituzionali anche un po’ astruse, e che vengono viste con crescente fastidio.

Eppure, io resto convinto del fatto che, nonostante la corrente di pensiero “facciamo un po’ quel cazzo che ci pare” che in Italia va per la maggiore, il diritto e le regole vanno di pari passo; non ci sono diritti senza regole, non c’è democrazia senza regole. Capisco la preoccupazione per gli eccessivi formalismi, capisco la cautela nell’evitare dinamiche da corrente politica, ma non si può pensare di fare politica senza meccanismi di decisione politica: ci hanno chiesto per esempio se aderiamo al gay pride, e questo chi lo decide?

Anche l’idea che la rete da sola controlla e smentisce è soltanto un mito. Già abbiamo un problema con Beppe Grillo, a cui bisogna fare un monumento per tante cose, ma con cui vi è il nodo irrisolto per cui ogni tanto si sveglia e dall’alto del suo blog, senza consultarsi con nessuno, scarica un De Magistris o decide che fare dei rimborsi elettorali. Aggiungerci dei Beppe Grilli locali, che senza regole e senza vincoli interpretano l’umore del popolo e decidono da soli quello che gli pare, non è democrazia: oltre ad essere il contrario di ciò che abbiamo promesso agli elettori, è il peggior populismo che potremmo tirar fuori.

E però: ma voi, che ne pensate?

[tags]movimento 5 stelle, politica, beppe grillo, davide bono, organizzazione, vincolo di mandato, qualunquismo[/tags]

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martedì 6 Aprile 2010, 16:13

Wikitestedure

Lo so, non ci crederete. Ma, ecco… in fondo questa è una storia che voi fedeli lettori avete seguito in diretta, e allora non potevo mancare di segnalare la nuova puntata.

Perché dopo che alle elezioni il Movimento 5 Stelle è diventato il caso politico dell’anno, naturalmente a qualcuno è venuto in mente di andare su Wikipedia e di creare la relativa voce, “inspiegabilmente” mancante.

E ovviamente, tempo due giorni, ne è stata chiesta la cancellazione. Per la terza volta.

screenshot_wikipedia_m5s_III.png

La motivazione è “non è chiaro perchè ora sarebbe enciclopedico”. Già, non è chiaro: in fondo ha soltanto preso mezzo milione di voti e quattro consiglieri regionali pur candidandosi in sole cinque regioni, ma mica vuoi paragonarlo a formazioni come Veneto per il Partito Popolare Europeo e Società Aperta Circoli per l’Altra Italia.

Per fortuna ora il limite del ridicolo è stato ampiamente superato, e così la votazione sulla cancellazione si sta evolvendo con una valanga di “-1” (sfavorevole alla cancellazione). Con un po’ di fortuna, i wikipediani riusciranno dunque a non finire di nuovo sui giornali per l’ennesima prova della parzialità della loro enciclopedia.

A questo punto vorrei fare a chi di dovere (che, ricordiamo, non esiste) un’altra domanda: stante che non ho denunciato nessuno e non ho nemmeno intenzione di farlo, il mio account può essere sbloccato?

[tags]wikipedia, movimento 5 stelle[/tags]

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lunedì 5 Aprile 2010, 20:28

Sorveglianza

Oggi in Piemonte era una giornata eccezionale, di quelle che capitano una volta l’anno quando va bene. Il cielo era blu intenso e non c’era una nuvola; il sole era caldo al punto giusto; e vicino agli alberi ancora spogli si alternavano campi gialli di terra smossa e altri già verdi dei primi germogli. Allontanandosi appena un attimo dalle case, il silenzio era perfetto; e ci si poteva dedicare all’osservazione delle lucertole e dei fiori di ciliegio. Intorno, in lontananza, la vista era maestosa; dai dintorni di Alessandria si vedeva il Monte Rosa bianco di neve, e dall’altra parte il Monviso e giù fino agli Appennini. Insomma, è stata una di quelle giornate in cui si può osservare la natura in tutto il suo splendore e sentirsi piccoli piccoli.

P1030596.jpg

Ma in mezzo a questi chilometri di meraviglia, all’inizio del paese, come lascito di presenza umana, un cartello diceva: “Piepasso – Frazione di Quattordio – COMUNE VIDEOSORVEGLIATO”. Certo che gli esseri umani sanno sempre come rendersi ridicoli…

[tags]pasquetta, natura, piemonte, telecamere[/tags]

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domenica 4 Aprile 2010, 21:03

Infelice come una Pasqua

Nel giorno di Pasqua sarebbe meglio raccontare una storia a lieto fine; e questa non lo è. Però è una storia che dice molto dei nostri tempi.

E’ la storia di un camionista che gratta, gratta e infine vince: trova il biglietto della vita, un milione e 740 mila euro vitalizio compreso. Ma lui non è pratico di quel particolare tipo di biglietto, la cassiera si sbaglia, in due non capiscono e buttano via il biglietto, credendo che non valga niente. Dopo una settimana, scopre la verità; torna, setaccia la tabaccheria, perquisisce i cassonetti, visita persino la discarica; ma il biglietto, ovviamente, non esiste più.

Se il biglietto ora saltasse fuori, o se perlomeno (impossibile) gli fosse riconosciuta ugualmente la vincita, sarebbe una storia pasquale: di morte e resurrezione. E non sembri blasfemo il fatto che la morte in questo caso sia una morte di denaro, la scomparsa non di una vita ma di una montagna di soldi; perché nella nostra società, nella testa degli esseri umani che qui e ora vivono, la montagna di soldi vale come e spesso più della vita.

La ricchezza improvvisa è un bel problema da avere, ma è lo stesso un grosso problema; gli annali sono pieni di persone che, dopo aver vinto alla lotteria o al totocalcio, in breve tempo finiscono male; rovinati, imprigionati, persino ammazzati. Perché nella nostra società essere ricchi è, in apparenza, la soluzione ai propri guai, la libertà dalla schiavitù di un lavoro infame, dai creditori alle porte, dai mobili di cartone comprati a rate; è, soprattutto, la rimozione dei propri freni inibitori, perché ai ricchi tutto è permesso (soltanto i poveri sono pazzi, i ricchi sono eccentrici). Nella realtà questo non è poi così vero, ma, se è vero che i soldi non danno la felicità, almeno si evita l’infelicità che certamente dà la povertà.

Molto peggiore è il problema di aver perso la ricchezza improvvisa. Le dichiarazioni del camionista nell’articolo sanno di shock profondo; e, in una società in cui la ricchezza è propagandata come il principale obiettivo della vita, ci vogliono mezzi culturali e caratteriali molto forti per reggere a tale shock… e li deve avere anche chi ti sta attorno, altrimenti passerà la vita a rinfacciarti l’occasione perduta.

L’infelicità da povertà, peraltro, è indotta; viviamo in un sistema economico che si regge sul rincoglionire le persone con la comunicazione per indurre in loro falsi bisogni, distraendoli da quelli fondamentali (affetto, compagnia, cibo, calore e poco altro). La nostra è una società in cui l’infelicità è calcolata e promossa come strumento per rendere schiave le persone, per convincerle a lavorare docilmente e poi a ridare a chi di dovere il denaro faticosamente guadagnato, in cambio di un benessere materiale che per la maggior parte non serve, né compensa l’alienazione e il dolore provocati dalla competizione e dallo stress. Una vera riforma dovrebbe partire anche da questo; ma vorrebbe dire, davvero, rovesciare completamente il nostro ordine sociale.

[tags]torino, gratta e vinci, lotteria, ricchezza, povertà, ordine, schiavitù, infelicità, bisogni[/tags]

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venerdì 2 Aprile 2010, 16:48

La bomba assoluta

Piace a tutti sognare il futuro; fa parte della natura umana. Specialmente quando si è giovani e non ancora feriti, il senso del futuro si accentra su ciò che è più direttamente normale: amarsi, riprodursi, condividere la vita.

Per questo fanno ancora più impressione le immagini delle terroriste bambine di Mosca; perché sono la caricatura innocente e diabolica della vita stessa. Nate e cresciute in terre incancrenite di vendetta, compiono un atto disumano per eccellenza come una strage, spinte da un motore umano per eccellenza come il dolore. Diversamente dall’arroganza amorale di chi uccide per prepotenza e per interesse, uccidono e muoiono per un ideale distorto; che altro non è però che un velo di finzione che ricopre la rabbia di una persona che ha perso tutto, perché ha perso l’amore.

L’odio scava solchi che imbarazzerebbero una bestia; è un sentimento tipico dell’umanità evoluta. Il perdono è un sentimento del cervello, l’odio viene dal profondo del cuore. Senza la saggezza dell’età e del dolore capito, l’odio è fuori controllo, e figlierà altro odio; come il vaso di Pandora, una volta aperto il contenuto maligno si sparge incontrollabilmente in ogni angolo.

Spero che anche chi nelle nostre società, con leggerezza, sparge intolleranza, non ci porti a scoprire che stiamo giocando col fuoco.

[tags]mosca, attentati, terrorismo, odio, intolleranza[/tags]

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giovedì 1 Aprile 2010, 18:53

Grillo e De Magistris, le sirene del vecchio

Avevo promesso di cambiare argomento, ma oggi pomeriggio Beppe ha dedicato un post piuttosto pesante a Luigi De Magistris (all’inizio pensavo addirittura fosse un pesce d’aprile), che ha suscitato commenti molto forti sia a favore che contro; e così ho interrotto quello che stavo scrivendo per pubblicare alcune considerazioni.

La questione di fondo è quella che ci pongono in molti: ma voi, col vostro 4%, dove pensate di andare? Avete un bel programma, ma come pensate di realizzarlo restando all’opposizione di tutto? Non sarebbe meglio fare alleanze con partiti che la pensano in maniera abbastanza simile a voi, a partire da IDV?

Io stesso mi sono posto queste domande, molte volte: non sono un antipolitico, non mi piace la critica fine a se stessa, e credo di avere il dovere di portare ai miei elettori i risultati che gli ho promesso – non solo parlarne all’infinito per prendere qualche seggio e godermelo con i miei amici. A prima vista, dunque, l’idea di mettere in piedi qualche alleanza è interessante: nella base dei partiti, sia di sinistra che di destra, ci sono senz’altro molte ottime persone, che spingono per un rinnovamento interno di cui noi possiamo essere un catalizzatore.

Ma poi, a una seconda analisi, l’idea non regge. Il dialogo ci sarà certamente, e senz’altro non ci saranno problemi a presentare e votare insieme a questo o quel partito specifiche proposte che condividiamo nel merito. Ma un’alleanza organica non è possibile: perché ad essere morta è la forma partito, e noi dobbiamo essere quelli che la seppelliranno. Perché la democrazia della delega è finita, e non è compatibile con la partecipazione. E perchè il rinnovamento dei partiti è sempre, invariabilmente, soltanto apparente, dato che l’accumulo di potere insito nelle gerarchie e nei politici di professione porta questi ultimi a diventare servi del potere stesso (spesso anche della criminalità organizzata).

La proposta di De Magistris di una grande alleanza di sinistra, comprendente grillini, IDV, SEL, popolo viola e così via, in realtà è un abbraccio della morte, almeno se non si accompagna a un cambiamento radicale della mentalità e dei modi di operare di chi sta nel sistema politico tradizionale. L’unico che l’ha capito pare Vendola; peccato che gli manchi il salto dalla politica delle ideologie a quella delle idee, che non si schiera ma propone.

A Torino ancora insistono con la favoletta per cui noi siamo estremisti di sinistra; o lo fanno in cattiva fede, cercando di ridurci al partitino rifondarolo che non siamo e non saremo mai, o continuano a non capire. Giudicando da quel che mi scrivete e mi dite voi per strada, l’80% di chi ci vota non voterebbe più né la destra né la sinistra; sono voti sottratti all’astensione.

Del resto, dopo l’elezione, il comportamento di De Magistris e, in parte minore, di Sonia Alfano è stato oggettivamente deludente, e ancora di più lo è stato quello del loro partito.

Di Pietro ha fatto un giochino non proprio pulito: alle europee, elezioni che notoriamente nella politica italiana contano come il due di picche, ha “aperto alla società civile” portando a casa i voti grillini e quelli di tanta altra gente a cui i partiti non piacciono, e aprendo una vaga ipotesi di rinnovamento; dopodiché, alle regionali, ha rimesso il partito in mano ai boiardi ex democristiani, ha appoggiato De Luca, e praticamente tutti i candidati dell’area De Magistris-Alfano – da Serenetta Monti a Roma a Benny Calasanzio, nipote di Borsellino, in Veneto – sono stati sonoramente trombati dall’apparato di partito.

Da parte loro, De Magistris e Alfano si sono allontanati dalla loro base (c’è chi dice che il primo screzio risalga a quel 4 ottobre 2009, alla presentazione del Movimento a Milano, in cui Grillo li ha presentati al pubblico ma non li ha fatti parlare dal palco). A Sonia, che è rimasta indipendente, si può appuntare poco altro che l’aver portato e sostenuto candidati nelle liste IDV, in concorrenza con quelli delle cinque stelle; che però è già una bella scelta di campo (io, onestamente, spero che ci ripensi e lasci l’IDV del tutto). A De Magistris, invece, si può obiettare molto di più; l’aver accettato la candidatura De Luca in Campania, e nonostante questo aver preso la tessera di IDV, due giorni prima del voto; e i risultati concreti del suo lavoro, che se esistono sono francamente invisibili ai più. L’abbiamo eletto per fare l’eurodeputato, non certo per girare per le televisioni e lottare per diventare il numero 2 di IDV a livello nazionale.

Certo anche a me spiace veder litigare Beppe e De Magistris; io non avrei usato quei toni, e magari avrei tentato di far riflettere De Magistris sui propri errori. Ma l’unità dell’opposizione è un falso mito; per eliminare Berlusconi bisogna eliminare il berlusconismo, di cui i partiti attuali sono tutti figli e sostenitori. Dunque, avanti per la nostra strada, senza ascoltare le sirene – quelle il cui unico obiettivo è riportare i nostri voti all’indietro, nel vecchio teatrino dei partiti.

[tags]politica, beppe grillo, de magistris, movimento 5 stelle, idv, vendola, berlusconi[/tags]

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