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domenica 14 Novembre 2010, 14:40

Il muro di sabbia, il muro di bit

È un bene che, ogni tanto, si parli ancora di angoli di mondo dimenticati. Se l’Iraq e l’Afghanistan sono ogni giorno sui nostri media – a ricordarci di quanto sia “opportuno” investire un sacco di soldi in armamenti per evitare che i cattivi terroristi ci attacchino -, se della Birmania e del Tibet ci si ricorda soprattutto quando c’è da criticare un po’ la Cina, se del Darfur si parla ogni tanto quando se ne occupa qualche rockstar, il Sahara Occidentale è dimenticato sin dagli anni ’70. Provate a chiedere all’italiano medio qualcosa su questa nazione: se riuscirà a capire dov’è è solo perché il nome è autoesplicativo, ma di lì in poi sarà buio pesto.

Il Sahara Occidentale, con l’eccezione di qualche isoletta qua e là, è secondo le Nazioni Unite l’ultima colonia rimanente sulla faccia della Terra; l’ultimo territorio a non essere mai uscito dal periodo dell’occupazione coloniale. Esso, infatti, fu una colonia spagnola fino a metà anni ’70, quando gli spagnoli se ne andarono precipitosamente; un verdetto della Corte di Giustizia Internazionale respinse le pretese dei vicini Marocco e Mauritania e stabilì che il Sahara Occidentale era un territorio autonomo con diritto all’autodeterminazione, come richiesto dal Fronte Polisario, il locale movimento per l’indipendenza del popolo sahrawi – i berberi del deserto.

Tuttavia, prima che le cose potessero assestarsi il vicino Marocco invase e si annesse l’intera nazione, compresa una parte prima occupata dai mauritani, dando il via a una guerra civile che si trascinò fino al 1991, quando un armistizio cristallizzò la situazione: il Marocco controlla tutta la costa e le zone economicamente significative (le uniche due industrie sono la pesca e l’estrazione dei fosfati) mentre i sahariani sono relegati nell’interno del Sahara, dietro un muro di sabbia e mine costruito dai marocchini. Di fatto, il governo sahariano in esilio e il suo popolo vivono a Tindouf, una città-campo profughi nel deserto algerino. Gli accordi del 1991 prevedevano un referendum per l’indipendenza, che però i marocchini non hanno mai organizzato, anche perché non si è mai raggiunto l’accordo su chi dovesse votare – se solo i sahariani, o anche le frotte di coloni nel frattempo spediti dal Marocco a stabilirsi nel Sahara Occidentale occupato.

Io mi sono interessato alla questione nel 2007, quando ero nel Board di ICANN; era giunta infatti dai rappresentanti del Fronte Polisario la richiesta di ottenere l’assegnazione del dominio .eh. Il Sahara Occidentale, infatti, è riconosciuto come territorio indipendente e ha il suo bravo codice nella lista ISO 3166-1: dunque qualcuno avrà ben il diritto di usarlo… Appena la cosa venne fuori, subito il governo del Marocco si oppose veementemente: per il Marocco quelle sono terre loro (e il Polisario è un gruppo di terroristi). La richiesta dei sahariani, non a torto, si basava anche su questo: se il Sahara marocchino non è un territorio occupato ma una parte integrante del Marocco, allora non c’era contesa, e il dominio .eh poteva tranquillamente essere attivato per la parte di Sahara controllata dal Polisario.

L’ICANN si è sempre difeso dalle accuse di parzialità su questioni come questa (inevitabilmente caldissime dal punto di vista politico) aggrappandosi appunto alla lista ISO: in altre parole, sono cavoli dell’ISO (che a sua volta si appoggia a definizioni e risoluzioni delle Nazioni Unite) definire cosa sia una nazione o territorio autonomo e cosa no. Dopodiché, ICANN sostanzialmente concede la delegazione al primo che si presenta, purché non sorgano contestazioni a livello locale, nel qual caso gli si dice “parlatevi e venite quando vi siete messi d’accordo”. Dunque, in apparenza non dovevano esserci grandi problemi nel riconoscere un dominio Internet nazionale al “territorio della nazione sahariana”, senza per questo dover prendere posizione su quale territorio effettivamente esso sia.

Eppure, c’erano due piccoli ma fondamentali problemi. Il primo è che il Marocco è un grande alleato degli Stati Uniti, che a loro volta hanno un potere di influenza morale e materiale non trascurabile su ICANN. Il secondo è che la comunità di ICANN è interessata soprattutto alla tranquilla sopravvivenza della rete e degli affari ad essa connessi, e quasi nessuno aveva voglia di infilarsi in casini politici potenzialmente distruttivi solo per i diritti di, letteralmente, “quattro beduini” (come li apostrofò qualcuno). Al Board fu consigliato di rifiutare qualsiasi contatto con i sahariani; io ci parlai lo stesso, insieme a qualche altro più sensibile ai problemi di democrazia e libertà, come il mio collega cileno ex esule a Parigi; presi le loro parti e questo mi costò un cazziatone nientepopodimenoche da Vint Cerf. Alla fine, anche il governo marocchino presentò una richiesta per ottenere il dominio .eh; ICANN ebbe così un valido motivo per rifiutarsi di assegnare il dominio a chicchessia.

Cosa deve fare un popolo per farsi notare dalla CNN? Alla fine, qualche mese fa, dopo trentacinque anni di lotta e vent’anni di silenzio, i sahariani hanno mobilitato ventimila persone, che si sono accampate nel deserto della zona occupata, vicino alla teorica capitale, chiedendo il referendum per l’autodeterminazione. L’esercito marocchino ha sfollato il campo con la violenza. Per un attimo, il mondo si è ricordato della loro esistenza; ma solo per un attimo. Da domani, ritorneranno nascosti nel deserto, dietro il muro di sabbia e di bit.

[tags]sahara occidentale, marocco, colonie, nazioni unite, polisario, icann, domini internet, .eh, stati uniti, geopolitica[/tags]

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2 commenti a “Il muro di sabbia, il muro di bit”

  1. MailMaster C.:

    Ciao Vittorio,
    un cazziatone da Cerf non riesco proprio ad immaginarmelo, ma immagino che non sia stata una passeggiata, considerando credo la tua posizione nei confronti della sua… :)

    Mandi

  2. vb:

    Beh, lo stile di Vint è sempre da gentleman… e comunque fidati che le mie idee le so difendere :)

 
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