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Archivio per il mese di Novembre 2010


domenica 21 Novembre 2010, 13:12

Appuntamenti sulla governance di Internet

Nei prossimi giorni si svolgeranno due eventi legati alle politiche di gestione di Internet.

Domani a Milano, il MIX tiene la sua conferenza annuale, dedicata quest’anno alla neutralità della rete (per chi non conoscesse l’argomento, il link porta al paper divulgativo che ho scritto qualche mese fa per i quaderni ISOC) come elemento fondamentale di Internet. Insieme ad altri illustri relatori discuteremo del tema, e anche se prevedo una discreta convergenza a favore di questo principio, sarà senz’altro una discussione interessante.

La settimana prossima a Roma si tiene invece IGF Italia 2010, la conferenza in cui tutti gli stakeholder della rete si incontrano per discutere le questioni più attuali, allo scopo di preparare i contributi nazionali per il processo dell’Internet Governance Forum delle Nazioni Unite. Vi è un fitto programma di eventi collaterali, tra cui la sessione organizzata da Società Internet e presieduta da me, che discuterà del modello di governo della rete basato sulla collaborazione tra tutti gli interessati (governi, industria e società civile). Si svolge nella mattinata di martedì nella stessa sala che nel pomeriggio ospiterà la plenaria, alla sede centrale del CNR, e contiamo dunque su una buona partecipazione.

Già che ci siamo, vi lascio con un video che ancora non ho fatto girare: lo spezzone dalla regia ufficiale che contiene il mio intervento alla sessione conclusiva dell’IGF 2010 a Vilnius. Se sembro un po’ così, è perché avevo la febbre.

[tags]internet, internet governance, igf, igf italia, isoc, cnr, vilnius, nazioni unite, mix, neutralità della rete, nnsquad[/tags]

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venerdì 19 Novembre 2010, 18:24

Il sequestro del presidio No Tav di Chiomonte

Essere un blogger impegnato ha i suoi grandi privilegi. Ieri, per esempio, un mio sogno della vita si è compiuto: ho potuto finalmente interpretare il ruolo di Tricia Takanawa nel video che vedete qui sotto.

Capisco che la dizione sia un po’ incerta, mentre un torrente d’acqua mi si rovesciava nel collo; d’altra parte col cappuccio in testa sarei sembrato decisamente un Rocky Balboa grasso.

Detto questo, la situazione è invece molto seria: il presidio che il movimento No Tav stava costruendo alla Maddalena di Chiomonte – dove dovrebbe sbucare il tunnel esplorativo della Torino-Lione – è stato posto sotto sequestro dalla magistratura in quanto abusivo, in seguito a una ordinanza di sgombero del sindaco di Chiomonte Renzo Pinard, molto vicino al governo regionale di Cota e all’assessore ai Trasporti Barbara Bonino.

La costruzione è (probabilmente) abusiva; ma si tratta comunque di una azione prettamente politica, dato che un simile attivismo delle istituzioni e dei magistrati – nel giro di una settimana sono arrivate l’ordinanza di sgombero, quella di demolizione, il sequestro dell’edificio e la denuncia penale – non si è mai visto in Italia per alcuna situazione del genere, anche se l’intera Valsusa è piena di scempi di ogni genere. E’ ironico che il provvedimento sia giustificato con la necessità di proteggere un “sito di interesse archeologico e paesaggistico” che dovrebbe essere a breve sventrato dall’imbocco di un tunnel di otto chilometri.

Perdipiù, la denuncia è stata presentata solo a carico di poche persone politicamente schierate, e non delle decine di cittadini comuni che partecipavano alla costruzione; ed è stata notificata con grande evidenza, mobilitando decine di agenti. E’ chiaro il tentativo di intimidire i No Tav.

Il Movimento No Tav considera quanto accaduto una gravissima provocazione e risponde convocando una prima mobilitazione generale per domani alle 8,30 davanti al municipio di Chiomonte – con il sole o con la neve noi ci saremo.

[tags]no tav, chiomonte, presidio, denuncia, abusivismo, magistratura[/tags]

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giovedì 18 Novembre 2010, 10:32

Animali e libertà

Il video che ho montato dovrebbe essere autoesplicativo, almeno se lo guardate tutto:

Io credo che tenere in gabbia degli animali di grandi dimensioni per puro divertimento sia inaccettabile; ed è sufficiente avere guardato una volta qualcuno di questi animali negli occhi per capirlo. Le immagini che ho girato allo zoo di Pechino sono state tra le più strazianti della mia vita, e vederle così comunque non rende affatto la sensazione terribile provata dal vivo. Non credo che la condizione di vita di animali che devono essere tenuti e trasportati in strutture mobili di città in città possa essere tanto diversa.

Non c’è nessun bisogno di schiavizzare degli animali per mettere in piedi un bello spettacolo di circo, tanto è vero che io non andavo al circo da trent’anni e non pensavo che ci sarei mai più andato, e invece quest’estate sono stato riconquistato dalla magia di un circo contemporaneo: un circo senza animali. Sarebbe dunque un passo avanti per la nostra città vietare questi spettacoli: una scelta di civiltà e rispetto per la vita.

[tags]torino, circhi, lav, animali, zoo, sudafrica, kruger, pechino[/tags]

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martedì 16 Novembre 2010, 18:32

Se Youtube ci cancella

Mi ha molto colpito una notizia che ancora non è arrivata sui grandi media e sospetto che non ci arriverà mai, e che è uscita soltanto qui. In pratica, nella notte dell’11 novembre, Youtube (cioè Google) avrebbe effettuato un vero e proprio “crackdown” sui video che contenevano spezzoni di trasmissioni Mediaset, su richiesta della stessa. Non solo tutti questi video sarebbero stati rimossi, ma molti degli account ad essi associati sarebbero stati chiusi, rimuovendo tutti i loro video.

A prima vista uno potrebbe dire “chi se ne frega”: non esiste un diritto costituzionale a riprodurre spezzoni di Grande Fratello su Youtube. Leggendo in giro, però, si trovano racconti di situazioni ben diverse: l’eliminazione avrebbe riguardato anche spezzoni di telegiornali utilizzati in base al diritto di cronaca che la legge italiana comunque tutela, per informare o per commentare il taglio editoriale del telegiornale stesso. L’eliminazione avrebbe riguardato anche video che Mediaset stessa, anni fa, aveva messo liberamente a disposizione degli utenti per lo scaricamento dai suoi siti (non si sa con quale licenza).

Ma il problema più grave si verifica per chi magari aveva un solo video contenente estratti da trasmissioni Mediaset, ma si è visto chiudere l’account, eliminando decine e decine di video autoprodotti perfettamente legittimi. E’ il caso dei Powerillusi, una delle storiche band indipendenti di Torino, il cui canale è stato completamente cancellato senza preavviso. Anche disponendo di una copia di riserva del materiale, il danno è enorme: oltre alle giornate perse per caricare il materiale, i filmati spesso sono linkati ed embeddati in centinaia di siti, nei quali non risulteranno più disponibili.

Google è legalmente obbligata a rimuovere da Youtube i filmati che violano il copyright di qualcuno, se questo glielo segnala; e capisco la difficoltà di una azienda a cui Mediaset ha già chiesto 500 milioni di euro di danni. Tuttavia, non sono affatto obbligati ad andare oltre; quella di inserire nei termini del servizio una clausola che permette di chiudere l’account dopo un certo numero di segnalazioni è una loro precisa scelta politica, come lo è quella di avvalersene a tappeto come appena accaduto, senza riguardo per la libertà di comunicazione dei loro utenti, magari solo per risparmiarsi il tempo e il costo di fare un lavoro di fino. Esiste una procedura di appello; vedremo se funziona. Resta il fatto che, nel dubbio, Youtube preferisce schierarsi dalla parte dei grandi media invece che da quella dei suoi utenti, abbondando con l’eliminazione preventiva.

Vi è dunque un chiaro problema, specialmente per noi che usiamo la rete per controinformare: possiamo fidarci di Youtube? Chi ci garantisce che domani mattina tutti i video di Tony Troja non spariranno di botto, visto che sicuramente ce n’è almeno uno con dentro qualche secondo di trasmissione Mediaset? Il problema non riguarda solo Youtube; anche Facebook rimuove note e video su segnalazione, senza andare tanto per il sottile.

Gli amanti del libero mercato rispondono che sono fatti nostri; se non ci piacciono le condizioni di Youtube o di Facebook abbiamo solo da usare qualcos’altro. Eppure queste sono piattaforme che rappresentano quasi un monopolio, un elemento informativo fondamentale della rete. A me va benissimo che loro siano obbligati a rimuovere il materiale protetto da copyright, però vorrei anche che fossero obbligati a non rimuovere il materiale che non viola un bel niente. Se ci sono dubbi, che le parti vadano da un giudice che stabilirà se il contenuto è legale o meno. Ma non trovo accettabile che la censura del nostro materiale sia affidata a un operatore di call center o peggio ancora a un bot automatico. Costa? Cavoli loro, fa parte del servizio che devono offrire.

Perché se no si comportano come il direttore di un giornale che, quando un suo editorialista si becca una denuncia, non solo rettifica l’articolo, ma lo licenzia in tronco e cancella dagli archivi tutti gli articoli che ha scritto. E allora non mi vengano a dire che Google non è un editore.

[tags]google, youtube, facebook, mediaset, libertà di espressione, copyright, contenuti, censura, informazione libera, powerillusi, tony troja, internet governance[/tags]

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lunedì 15 Novembre 2010, 19:47

Meno clic e più welfare

Della vicenda di Paola Caruso, giornalista precaria del Corriere della Sera che ha iniziato lo sciopero della fame e della sete per farsi assumere, hanno parlato un po’ tutti in questi giorni. Lei stessa spiega così la sua situazione: “da 7 anni lavoro per il Corriere e dal 2007 sono una co.co.co. annuale… Aspetto da tempo un contratto migliore… La scorsa settimana si è liberato un posto… Ho pensato: “Ecco la mia occasioneâ€. Neanche per sogno. Il posto è andato a un pivello della scuola di giornalismo”. E’ la storia di tanti italiani precari tra i venti e i quarant’anni, e infatti sul momento c’è stata un’ondata di simpatia e di clic su “Mi piace”, e la sua iniziativa è stata promossa da Macchianera e rilanciata dai maggiori blog italiani, da Gilioli a Mantellini. Poi però sono cominciate le critiche – le meglio argomentate che ho trovato sono questa e questa.

Trovo ragionevole quasi tutto quel che è stato detto, da una parte e dall’altra. E’ vero che le aspettative della signora Caruso sono quantomeno irrealistiche: il Corriere della Sera, come tutti i quotidiani cartacei, è in stato di crisi e fa fatica a pagare gli stipendi, figuriamoci a regolarizzare i precari; anche a me magari piacerebbe fare l’astronauta assunto a tempo indeterminato, ma di questi tempi non conosco nessuno che assuma astronauti; e l’argomento per cui “sono in coda da sette anni dunque ora tocca a me” è una cosa che proprio non condivido, dato che molte delle disgrazie italiane derivano proprio dall’idea che non conti il merito ma lo “stare in coda”; concetti come “si è liberato un posto” (indipendentemente da requisiti, mansioni, capacità necessarie ecc.) ricordano più le corti dei feudatari, che fanno e disfanno le fortune dei sudditi, che una società moderna; il fatto di essere rimasti lì fermi per sette anni, invece che trovarsi nuove attività e condizioni migliori da soli, secondo me è un demerito e non un merito; infatti, tanta gente nella stessa situazione ha semplicemente aguzzato l’ingegno e si è sbattuta fino a venirne fuori; ed è pure vero che la gara alla protesta più clamorosa non mi piace, se no finiremo a dare il lavoro a chi grida più forte.

Però… c’è anche il però. Però non si può pensare che una persona che lavora da sette anni, anche non fosse così brillante da meritare un contratto principesco, possa restare all’infinito senza alcuna certezza. E non si può pensare che le difficoltà di un intero settore vengano scaricate soltanto su alcuni, sui più giovani e deboli, mentre magari a fianco c’è la grande firma che prende migliaia di euro al mese ma si rifiuta di adattare il suo pezzo per la versione Web o di leggere i commenti dei lettori perché “da contratto non sta tra le mie mansioni” (pensate voi all’equivalente sul vostro posto di lavoro).

Dunque è sbagliato pensare di affrontare questa questione guardando il caso singolo, ed è invece necessario guardarla a livello di sistema. Per quanto pochi soldi ci siano nella nostra economia, non è accettabile che essi siano distribuiti in maniera totalmente iniqua, garantendo a certe professioni, generazioni e classi delle garanzie che spesso sconfinano nel privilegio, e costringendo gli altri ad accettare qualsiasi trattamento pur di lavorare. Mi spiace che tante persone reagiscano con “zitta e lavora”: certo, in Italia dobbiamo lavorare meglio e di più, dobbiamo rimboccarci le maniche per ricostruire un Paese, ma prima dobbiamo essere sicuri che lo facciano tutti, con equità di trattamento.

Molte proposte secondo me intelligenti circolano da anni: quella di un unico contratto per tutti i lavori di concetto, senza fare figli e figliastri a seconda del settore; quella di abolire la selva di tipologie di contratto (indeterminato, determinato, co.pro, partite IVA che fanno fattura sempre alla stessa azienda…) e averne uno solo, in cui le garanzie sul posto di lavoro aumentano con l’esperienza e la qualifica, ma non sono legate al “salto” da precario ad assunto; quella di un sistema di assistenza a chi perde il lavoro che non dipenda dal tipo di contratto, ma che garantisca un reddito pieno per il tempo necessario a cercare un nuovo lavoro, esaurendosi poi progressivamente per evitare di creare disoccupati di professione; quella di un sistema pensionistico basato finalmente solo sui soldi versati da ognuno, con una integrazione ai minimi finanziata con la fiscalità generale e non con i contributi degli altri lavoratori, e magari anche con un contributo di solidarietà a carico delle pensioni più elevate, specialmente quando, grazie al vecchio sistema retributivo, sono superiori ai contributi effettivamente versati.

Sono idee, sono da elaborare, da verificare… ma almeno sono possibilità per un cambiamento vero. Altrimenti, se stiamo tutti a lamentarci e al contempo stiamo tutti arroccati su ogni briciola di “diritto acquisito”, non succederà mai niente, se non una disperata guerra tra poveri.

[tags]paola caruso, corriere della sera, precariato, giornalismo, economia, welfare, pensioni, contratti, contributi[/tags]

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domenica 14 Novembre 2010, 14:40

Il muro di sabbia, il muro di bit

È un bene che, ogni tanto, si parli ancora di angoli di mondo dimenticati. Se l’Iraq e l’Afghanistan sono ogni giorno sui nostri media – a ricordarci di quanto sia “opportuno” investire un sacco di soldi in armamenti per evitare che i cattivi terroristi ci attacchino -, se della Birmania e del Tibet ci si ricorda soprattutto quando c’è da criticare un po’ la Cina, se del Darfur si parla ogni tanto quando se ne occupa qualche rockstar, il Sahara Occidentale è dimenticato sin dagli anni ’70. Provate a chiedere all’italiano medio qualcosa su questa nazione: se riuscirà a capire dov’è è solo perché il nome è autoesplicativo, ma di lì in poi sarà buio pesto.

Il Sahara Occidentale, con l’eccezione di qualche isoletta qua e là, è secondo le Nazioni Unite l’ultima colonia rimanente sulla faccia della Terra; l’ultimo territorio a non essere mai uscito dal periodo dell’occupazione coloniale. Esso, infatti, fu una colonia spagnola fino a metà anni ’70, quando gli spagnoli se ne andarono precipitosamente; un verdetto della Corte di Giustizia Internazionale respinse le pretese dei vicini Marocco e Mauritania e stabilì che il Sahara Occidentale era un territorio autonomo con diritto all’autodeterminazione, come richiesto dal Fronte Polisario, il locale movimento per l’indipendenza del popolo sahrawi – i berberi del deserto.

Tuttavia, prima che le cose potessero assestarsi il vicino Marocco invase e si annesse l’intera nazione, compresa una parte prima occupata dai mauritani, dando il via a una guerra civile che si trascinò fino al 1991, quando un armistizio cristallizzò la situazione: il Marocco controlla tutta la costa e le zone economicamente significative (le uniche due industrie sono la pesca e l’estrazione dei fosfati) mentre i sahariani sono relegati nell’interno del Sahara, dietro un muro di sabbia e mine costruito dai marocchini. Di fatto, il governo sahariano in esilio e il suo popolo vivono a Tindouf, una città-campo profughi nel deserto algerino. Gli accordi del 1991 prevedevano un referendum per l’indipendenza, che però i marocchini non hanno mai organizzato, anche perché non si è mai raggiunto l’accordo su chi dovesse votare – se solo i sahariani, o anche le frotte di coloni nel frattempo spediti dal Marocco a stabilirsi nel Sahara Occidentale occupato.

Io mi sono interessato alla questione nel 2007, quando ero nel Board di ICANN; era giunta infatti dai rappresentanti del Fronte Polisario la richiesta di ottenere l’assegnazione del dominio .eh. Il Sahara Occidentale, infatti, è riconosciuto come territorio indipendente e ha il suo bravo codice nella lista ISO 3166-1: dunque qualcuno avrà ben il diritto di usarlo… Appena la cosa venne fuori, subito il governo del Marocco si oppose veementemente: per il Marocco quelle sono terre loro (e il Polisario è un gruppo di terroristi). La richiesta dei sahariani, non a torto, si basava anche su questo: se il Sahara marocchino non è un territorio occupato ma una parte integrante del Marocco, allora non c’era contesa, e il dominio .eh poteva tranquillamente essere attivato per la parte di Sahara controllata dal Polisario.

L’ICANN si è sempre difeso dalle accuse di parzialità su questioni come questa (inevitabilmente caldissime dal punto di vista politico) aggrappandosi appunto alla lista ISO: in altre parole, sono cavoli dell’ISO (che a sua volta si appoggia a definizioni e risoluzioni delle Nazioni Unite) definire cosa sia una nazione o territorio autonomo e cosa no. Dopodiché, ICANN sostanzialmente concede la delegazione al primo che si presenta, purché non sorgano contestazioni a livello locale, nel qual caso gli si dice “parlatevi e venite quando vi siete messi d’accordo”. Dunque, in apparenza non dovevano esserci grandi problemi nel riconoscere un dominio Internet nazionale al “territorio della nazione sahariana”, senza per questo dover prendere posizione su quale territorio effettivamente esso sia.

Eppure, c’erano due piccoli ma fondamentali problemi. Il primo è che il Marocco è un grande alleato degli Stati Uniti, che a loro volta hanno un potere di influenza morale e materiale non trascurabile su ICANN. Il secondo è che la comunità di ICANN è interessata soprattutto alla tranquilla sopravvivenza della rete e degli affari ad essa connessi, e quasi nessuno aveva voglia di infilarsi in casini politici potenzialmente distruttivi solo per i diritti di, letteralmente, “quattro beduini” (come li apostrofò qualcuno). Al Board fu consigliato di rifiutare qualsiasi contatto con i sahariani; io ci parlai lo stesso, insieme a qualche altro più sensibile ai problemi di democrazia e libertà, come il mio collega cileno ex esule a Parigi; presi le loro parti e questo mi costò un cazziatone nientepopodimenoche da Vint Cerf. Alla fine, anche il governo marocchino presentò una richiesta per ottenere il dominio .eh; ICANN ebbe così un valido motivo per rifiutarsi di assegnare il dominio a chicchessia.

Cosa deve fare un popolo per farsi notare dalla CNN? Alla fine, qualche mese fa, dopo trentacinque anni di lotta e vent’anni di silenzio, i sahariani hanno mobilitato ventimila persone, che si sono accampate nel deserto della zona occupata, vicino alla teorica capitale, chiedendo il referendum per l’autodeterminazione. L’esercito marocchino ha sfollato il campo con la violenza. Per un attimo, il mondo si è ricordato della loro esistenza; ma solo per un attimo. Da domani, ritorneranno nascosti nel deserto, dietro il muro di sabbia e di bit.

[tags]sahara occidentale, marocco, colonie, nazioni unite, polisario, icann, domini internet, .eh, stati uniti, geopolitica[/tags]

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sabato 13 Novembre 2010, 12:07

La politica secondo un sindacalista FIOM del PD

Il forum dei tifosi del Toro è omnicomprensivo: si parla di tutto e anche di politica. La sezione politica è frequentata in buona parte da militanti del PD; e così ieri mi sono trovato uno di questi, tesserato PD e sindacalista della FIOM-CGIL, che ha così raccontato le dinamiche interne al suo sindacato, con cui hanno rovesciato il dominio della corrente più agguerrita – la Rete 28 Aprile – sostituendola con una maggioranza più disposta a scendere a patti con Bonanni & C.:

Ah, si è liberato un posto nel direttivo regionale FIOM…Presto sarò all’altezza della tua compagna :mrgreen:
Sono contento, sai quando fai una battaglia politica, come una partita a scacchi, e la vinci ?
Questi hanno chiesto posti, funzionari, posti in segreteria, bisognava piazzare pure la “protetta” di Giorgio Cremaschi proveniente da Roma… Noi siamo andati dal candidato segretario, e gli abbiamo detto:”Un posto in segreteria e un funzionario e chiudiamo l’accordo” “Un posto in segreteria” “Ok”
Poi abbiamo sparso la voce dell’accordo, 28 Aprile si sono incazzati e hanno abboccato, votando contro e tagliandosi le palle. Capolavoro. E sono contento perchè ho avuto un ruolo di primo piano nell’architettura e nell’organizzazione. Sono contento.

Io non ci potevo credere: avrei capito se il sindacalista piddino avesse detto che loro non erano d’accordo con quelli là su questo e quest’altro punto, e allora sono andati dagli incerti e li hanno convinti con la forza delle loro argomentazioni a schierarsi con loro e a cambiare maggioranza… Invece ha detto che il motivo per cui la maggioranza è passata dalla loro parte, in sostanza, è che hanno chiesto solo una poltrona invece di molte! Non che la componente avversaria ragionasse diversamente, ma è stata una gara al ribasso da vero sindacalista: vince chi chiede di meno a chi ha il potere in mano.

E il bello è che tutto questo è visto come una cosa normalissima, tanto è vero che quando ho obiettato qualcosa mi hanno dato del “qualunquista” e della “sinistra che non vuole andare al governo e preferisce stare all’opposizione, perché così non si occupano le poltrone e non ci si sporca le mani”… Al contrario, io nel Movimento sono tra quelli che il problema di come andare al governo per cambiare qualcosa se lo pongono; ma se la logica è quella… no grazie!

[tags]politica, pd, cgil, fiom, sindacato, sindacalisti, correnti, poltrone[/tags]

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venerdì 12 Novembre 2010, 16:07

Gli stranieri alle elezioni comunali

Un’altra notizia che ha tenuto banco sulla cronaca locale in settimana è stata quella della ragazza di origine romena che fa da guida turistica alla mostra di Palazzo Reale.

Un signore ha scritto a Specchio dei Tempi dicendo sostanzialmente: “l’altro giorno a Palazzo Reale mi sono trovato una guida romena, possibile che nessun italiano voglia più fare nemmeno questi lavori?”. Era una critica ai “bamboccioni” italiani e non tanto al fatto che fosse stata assunta una guida romena; peccato che una affermazione del genere tradisca un pregiudizio sottile, quello per cui un lavoro – specialmente un lavoro culturale, ma non fa differenza – possa essere fatto da uno straniero soltanto se non c’è nessun italiano che lo vuole fare. L’idea che la ragazza romena potesse essersi presentata ai colloqui e potesse essere risultata più capace e preparata degli aspiranti italiani proprio non aveva sfiorato il lettore.

Naturalmente il dibattito è stato caldo: tanti si sono indignati, tanto che La Stampa ha dovuto bilanciare la questione con una intervista alla ragazza, ma altrettanti hanno sostenuto che aveva ragione il lettore, che gli stranieri non dovrebbero avere un lavoro se prima non è stato rifiutato dagli italiani, che le reazioni alla lettera perplesse o addirittura indignate erano opera dei “soliti sinistrorsi”. C’è un chiaro problema di portafoglio: di fronte alla crisi, ben indottrinati dai media, gli italiani si lanciano nella guerra contro i poveri, anziché in quella contro i loro sfruttatori. Ma non è solo questione di portafoglio: qualche giorno fa parlavo con una signora di una certa età e di ottima posizione sociale, e per dieci minuti mi ha detto che “i non italiani dovrebbero stare a casa loro” e “gli altri Paesi europei sono costretti perché avevano le colonie, ma noi che possiamo dovremmo mandarli via”.

Eppure è chiaro che in una società cosmopolita e globalizzata le frontiere non funzionano più. Io (come già dissi) non sono certo a favore dell’immigrazione incontrollata e sregolata, né di una totale libertà di movimento delle persone (o delle merci), perché a fronte delle differenze globali mi pare una ricetta sicura per il disastro; eppure non posso nemmeno concepire un mondo basato sui nazionalismi e sulle autarchie, come era fino a qualche decennio fa.

Al contrario, io vorrei che Torino fosse un centro di attrazione di persone da tutto il mondo, selezionandole in positivo; accogliendo le persone capaci, aperte e volenterose e respingendo quelle che non si integrano o che delinquono. La strada per la convivenza civile, infatti, è l’uguaglianza di trattamento: chi vive qui deve rispettare le regole e pagare le tasse torinesi, e deve essere trattato allo stesso modo indipendentemente dall’origine.

Per questo trovo molto giusto che – come da norma europea – tutti i cittadini europei con residenza a Torino possano votare alle prossime elezioni comunali. E’ facile, ma richiede un’azione da parte loro: devono registrarsi presso l’ufficio elettorale del Comune, inviando una richiesta via fax con copia di un documento o presentandosi di persona. I romeni costituiscono ormai una fetta importante della nostra città, non solo numericamente, ma anche culturalmente; fatevi un giro al mercato coperto di corso Racconigi se non ci credete. Sarebbe bello se la guida romena, così come molti suoi connazionali, partecipassero attivamente anche alla vita politica della città in cui vivono: sarebbe un segnale di quanto ormai si ritengano non “immigrati romeni”, ma “torinesi romeni”.

[tags]torino, elezioni comunali, immigrazione, romania, razzismo, pregiudizi, discriminazione, guida turistica, palazzo reale, la stampa, nazionalismo, globalizzazione[/tags]

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giovedì 11 Novembre 2010, 13:07

A cosa serve il treno

La vicenda di Arenaways, operatore ferroviario privato che si è messo in testa di competere con Trenitalia per i treni tra Torino e Milano (ma anche per le tratte Torino-Alessandria e Alessandria-Milano), è arrivata in cima alla stampa locale solo recentemente – ma per chi segue da vicino il mondo dei trasporti si trascina ormai da anni.

Riassumendo, Arenaways vorrebbe offrire un servizio che sta a metà tra i regionali e l’alta velocità: al prezzo di 17 euro sola andata (contro i 9,55 del regionale e i 32 dell’AV) si viaggia in un tempo uguale (anzi persino un po’ superiore) a quello del regionale, ma su carrozze pulite, confortevoli, accessibili, col posto garantito e una serie di servizi aggiuntivi utili a chi viaggia per lavoro (dalla panetteria al wi-fi).

Da settembre dovevano partire due corse al giorno (partenza da Torino Porta Susa alle 7:22 e ritorno da Milano Porta Garibaldi alle 19:40; partenza da Milano Porta Garibaldi alle 7:04 e ritorno da Torino Porta Susa alle 18:14), che sono poi state rinviate di settimana in settimana, tra crescenti polemiche per i continui ostacoli burocratici, fino a fissare il nuovo avvio a lunedì prossimo.

Peccato che ieri l’apposito ufficio del Ministero dei Trasporti abbia comunicato che ad Arenaways sarà vietato effettuare qualsiasi fermata intermedia tra Torino e Milano, in quanto ciò costituirebbe una forma di concorrenza con i treni regionali di Trenitalia, che sono sussidiati dalla Regione Piemonte; dunque Trenitalia andrebbe immediatamente a chiedere dei soldi alla Regione Piemonte per indennizzarla della perdita di clienti; e la Regione Piemonte non vuole pagare.

Ciò deriva dal fatto che la concorrenza è permessa sui servizi ferroviari a media-lunga percorrenza, mentre sui servizi locali vige il monopolio di ciascuna regione, che tramite un bando internazionale affida il servizio a un operatore ferroviario; casualmente vince sempre o Trenitalia, o una joint venture tra Trenitalia e la Regione in questione. Dunque Arenaways faccia pure il Torino-Milano diretto, ma non fermi a Novara, Vercelli o Santhià, perché questo costituirebbe un danno per la Regione Piemonte e il suo monopolio; e chi se ne frega se invece ne vengono danneggiati l’azienda privata e soprattutto i suoi potenziali clienti.

La motivazione è pretestuosa per molti motivi. Per prima cosa, se queste fermate intermedie sono illegali, non si capisce perché allora vengano svolte quotidianamente da un certo numero di intercity di Trenitalia, anch’essi classificati come treni in regime di concorrenza: a questo punto dovrebbero vietare anche quelli.

Ma soprattutto, il servizio regionale Torino-Milano è per Trenitalia una miniera d’oro: facendo viaggiare treni vecchi, sporchi e assolutamente insufficienti rispetto alla domanda – tanto che nelle ore di punta è normale avere l’intero treno pieno di gente in piedi per buona parte del percorso – lucra pesantemente sui pendolari piemontesi, rifiutandosi allo stesso tempo da anni di mettere più treni con scuse varie (una volta era “la linea è satura, serve l’alta velocità”, poi l’alta velocità è arrivata e il servizio regionale invece di migliorare è anche peggiorato). L’argomento per cui due treni da tre vagoni al giorno provocherebbero un danno a Trenitalia non sta in piedi; al massimo, ridurrebbero di un pochino i suoi profitti.

Ancora più agghiacciante è la posizione della Regione Piemonte, che invece di festeggiare perché finalmente i piemontesi potrebbero avere una alternativa in più (liberi poi di usufruirne o meno) a costo zero per il pubblico, e di difendere questa possibilità, fa di tutto per impedirne lo sviluppo. La stessa Regione che (con giunte di ambo i colori) non è mai stata in grado di ottenere da Trenitalia un servizio decente, né di bloccare a febbraio un insensato aumento del 20% del prezzo, ora si schiera con Trenitalia e contro gli interessi dei piemontesi.

A vedere come la politica faccia di tutto perché il servizio ferroviario tra Torino e Milano faccia schifo (mettiamoci anche i treni alta velocità rari e carissimi) davvero ci si chiede se l’obiettivo ultimo non sia favorire l’autostrada dell’amico gruppo Gavio, coi suoi bravi autogrill di Benetton… sarà mica a quello che servono i treni?

[tags]piemonte, trenitalia, arenaways, regione, treno, autostrada, ferrovia, concorrenza[/tags]

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mercoledì 10 Novembre 2010, 09:21

Primarie del Movimento 5 Stelle di Torino – secondo turno

Stamattina leggerete sui giornali della nostra conferenza stampa di ieri mattina, in cui abbiamo presentato ufficialmente il processo delle primarie del Movimento 5 Stelle Torino. Vorrei dunque chiarire a tutti cosa succederà adesso.

Domenica il gruppo ha selezionato tre candidati: Viviana Ferrero, Antonino Iaria e un certo Vittorio Bertola che già conoscete. Nelle prossime due o tre settimane i candidati si confronteranno in pubblico; in particolare, sabato 20 sera e domenica 21 pomeriggio si svolgeranno due dibattiti all’americana, a cui siete invitati a partecipare. Il voto avverrà in data da definire, verso fine mese, e potranno votare tutti i residenti a Torino che siano già iscritti o che si iscrivano in questi giorni sul sito nazionale del Movimento 5 Stelle. Per iscriversi è necessario compilare un modulo con i propri dati e allegare (dopo la registrazione) la scansione di un documento d’identità, in modo da controllare la veridicità dei dati ed evitare voti farlocchi (vogliono un JPG di massimo 150 kB, dunque non esagerate con la risoluzione della scansione).

Chi prenderà più voti online farà il candidato sindaco: Grillo ci ha chiesto di eliminare il voto pesato di cui avevamo discusso nelle scorse settimane, e noi abbiamo accondisceso con piacere – in particolare io, essendo quello che sosteneva sin dal mese di giugno l’idea delle primarie online aperte a tutti i cittadini. Dunque, ora la scelta è completamente nelle vostre mani, come è giusto che sia.

Chiudo allegando la parafrasi del discorso che ho fatto ieri durante la conferenza stampa, quando mi hanno chiesto di spiegare perché mi candido e quale sia la mia visione per il futuro di Torino. Spero che vi piaccia.

Mi candido per mettere le mie capacità e la mia esperienza internazionale al servizio della mia città, pensando di poter essere un buon sindaco per ringiovanire e rilanciare Torino.

Torino è una città economicamente in crisi: è la città più indebitata d’Italia pro capite (quasi 6000 euro per abitante) e anche l’economia privata sta svanendo – chiudono non solo le fabbriche ma anche gli uffici, e per trovare un lavoro stabile si deve spesso emigrare a Milano o all’estero. Finora questa situazione è stata nascosta sotto il tappeto delle Olimpiadi, dei grandi eventi, dei comunicati trionfali; Chiamparino sta vivacchiando e rimandando i problemi per arrivare a scadenza. Chiunque si troverà ad amministrare il Comune si troverà di fronte a una situazione drammatica, sia dentro che fuori dalle casse comunali.

Io credo che la città abbia le risorse e i valori per aprire una nuova stagione e uscire dalla crisi, a patto che si verifichi un cambiamento profondo, generazionale. Né il centrosinistra né il centrodestra sono capaci di questo; sono privi di idee, legati alle clientele e ai salotti, e ragionano con modelli di sviluppo ottocenteschi – la grande fabbrica, la grande infrastruttura. Ma nel ventunesimo secolo, nell’Occidente sviluppato, la ricchezza può derivare solo dalle idee, dai servizi, dalle produzioni immateriali e sociali.

Dunque a Torino servono due cose: innovazione e meritocrazia. L’innovazione è necessaria perché le nostre aziende offrano prodotti che a qualcuno interessa comprare; la meritocrazia, attraendo a Torino i migliori giovani cervelli d’Italia e del mondo e affidando la città a persone capaci anziché agli amici dei salotti, permette alle idee intelligenti di emergere e venire realizzate.

In questo modo si può riportare a Torino lo sviluppo; ma uno sviluppo nuovo, che non miri all’incremento della produzione di beni materiali, ma alla solidarietà, alla qualità della vita, a un nuovo senso di comunità, a un benessere durevole per tutti. L’obiettivo della politica non deve essere l’arricchimento di pochi, ma la felicità di tutti. Noi saremmo contenti se potessimo amministrare questa città con questo obiettivo: quello di rendere ogni torinese innanzi tutto un po’ più felice.

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