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sabato 19 Maggio 2007, 16:00

Applausi

La notizia, apparentemente, è che il Garante della Privacy si è costituito in giudizio nel caso Peppermint Jam, la casa discografica tedesca che, tramite una società specializzata svizzera e mediante lo studio legale “Signorina Rottenmeier di Bolzano, ha recuperato gli indirizzi IP di quasi quattromila utenti Internet di tutta Italia, ne ha prontamente ottenuto i nomi dai vari provider, e li ha riempiti di raccomandate chiedendo 330 euro per non denunciarli. Il motivo sarebbe il fatto che questi utenti condividessero o avessero scaricato da Internet brani prodotti da tale casa discografica.

Ora, ci sono alcune cose poco chiare nella vicenda, primo tra tutti cosa possa spingere un essere umano a scaricare brani di artisti del calibro di James Kakande, Roachford o Omar. Comunque, il tema di fondo è scottante: perchè il mio provider deve rivelare la mia identità al primo che passa e che millanta crediti tutti da dimostrare nei miei confronti? Il tutto aggravato dal fatto che la società che ha ricercato i dati è svizzera, quindi i dati sono stati esportati al di fuori dell’Unione Europea, operazione vietata dalle nostre leggi sulla privacy a meno che non vi siano certe garanzie.

Sono contento che il Garante si sia mosso, e certamente c’è lo zampino di Fiorello Cortiana, che da un paio di settimane mandava mail e comunicati in merito. Spero che salti fuori un bel pronunciamento che io possa usare nella mia parallela battaglia perché il database Whois, contenente gli intestatari dei domini Internet, sia finalmente reso compatibile con le leggi sulla privacy anche nei domini globali, a partire dal .com. Ma, ripeto, questa non è la notizia.

La vera notizia è che il TG1 dell’ora di pranzo ha parlato del caso, e con ampiezza, e nemmeno particolarmente alla fine; e non solo: invece di emettere il solito bollettino discografico cucinato dai Mazza, propinato dai Faletti e infiocchettato dai Mollica, ha intervistato una associazione di consumatori permettendole di dire ciò che tutti pensiamo da anni, e cioè che la legge sul diritto d’autore, così come concepita oggi, è una cagata pazzesca.

Chissà in quante case la gente si è alzata in piedi per i canonici novantadue minuti di applausi.

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