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Archivio per il mese di Maggio 2006


mercoledì 24 Maggio 2006, 13:55

Quello che vedete di me

Da una decina d’anni, cioè da quando esiste, sono iscritto a Punto Informatico. Da quando esiste, sono iscritto anche a Virgolette, il servizio che ogni giorno invia a mezza Italia una citazione salace o buffa presa da qualche parte in rete. E, lo confesso, mi è successo un certo numero di volte di pensare: chissà se prima o poi citeranno anche me.

Ebbene, è successo oggi: prima ancora che mi arrivasse la mail, è venuto in chat Simone a dirmi che ero apparso su Virgolette. Così sono andato a verificare sul sito, chiedendomi che cosa mai avessero citato: un giudizio politico? una battuta divertente? un consiglio tecnico?

Nulla di tutto ciò: la frase è la seguente: …credo che Internet abbia esaurito il proprio potere comunicativo. Se non altro, è una finta mockery, versione onanistico-nevrotica, di ciò che i rapporti interpersonali dovrebbero essere in una società sana

Io l’ho letta, ho strabuzzato gli occhi, e ho detto: ma ho veramente scritto questa roba? La firma diceva “Toblog, aprile 2006”, ma all’inizio ho addirittura pensato che fosse un commento di qualcuno (se non fosse che commentate sempre in pochi…). Invece, l’ho davvero scritta io, qui.

Quando ho scritto quel post, ero in uno stato mentale piuttosto alterato, dovuto alle trentasei ore di aereo appena sopportate per tornare dalla Nuova Zelanda, e ad una delle mie cicliche ondate depressive, che mi tendono agguati imprevedibili e poi, come un giorno improvviso di nuvole grigie in mezzo a un periodo di anticiclone, si dissipano completamente. La citazione da Blue Monday dei Flunk era quindi appropriata, e lo stile volutamente ampolloso anche.

E la sostanza, tutto sommato, non è sbagliata: stante che una delle cause di quel post e di quello stato era legata agli effetti collaterali dei miei periodici sfoghi – e qui colgo l’occasione per ringraziare, senza il minimo intento sarcastico, la ex donna della mia vita, che, oltre a tante altre cose, è stata la Beatrice di alcune delle mie produzioni letterarie più struggenti – mi ero lucidamente reso conto che comunicare via Internet, via blog, è un modo traverso e distorto, onanistico e nevrotico appunto, per non dover vincere la paura di comunicare direttamente con gli altri.

E siccome i miei momenti devastati occupano al più un paio di giorni al mese, ma ci sono sempre tutti gli altri per comportarsi e vivere felicemente, colgo l’occasione per sottoscrivere di nuovo il messaggio.

Allo stesso tempo, mi resta la sensazione inquietante che l’unico messaggio che passi veramente, di tutto quello che scrivo, sia proprio lo spettacolo d’arte varia; che indubbiamente dev’essere interessante per chi è meno coinvolto, deve fare incazzare chi è più coinvolto, ma dal mio punto di vista è solo una piccola parte del tutto.

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martedì 23 Maggio 2006, 21:55

Ancora Massimo

A Ballarò, Casini ha appena perso completamente le staffe davanti a D’Alema, e gli ha urlato in faccia, davanti a tutta l’Italia, “sono fiero di averti impedito di andare al Quirinale, perchè sei un arrogante”. Con tanto di dito puntato. E io gongolo, visto che ancora una volta Massimo ha punto persino il più democristiano dei leader del centrodestra…

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martedì 23 Maggio 2006, 20:58

Whatchagonnado

C’è un programma televisivo che è l’icona dell’America violenta, caotica e dalle armi facili. La sua sigla, Bad Boys degli Inner Circle (Bad boys, bad boys, whatcha gonna do / Whatcha gonna do when they come for you) è diventata l’inno della polizia americana, il simbolo del reality televisivo, e l’occasione per innumerevoli spin-off e parodie occasionali, dai Simpson a Doonesbury.

Stiamo parlando di Cops, serie che dal 1989, a mo’ di documentario, spedisce gli operatori a fianco dei poliziotti, sulle strade, negli inseguimenti, nelle irruzioni. Non giudica, non prende posizione esplicitamente, ma libera la voglia voyeuristica degli americani, che si ritrovano davanti al televisore a tifare per i buoni, i poliziotti, contro i cattivi, solitamente neri, ispanici o barboni.

Tuttavia, le immagini concitate di poliziotti normali che corrono dietro a delinquenti normali, comunicando continuamente via radio, spaventandosi, sorprendendosi, eccitandosi, in mezzo a rumori di sgommate e a grandi fiatoni, sono assolutamente ipnotiche: una finestra iperreale sull’incessante e forse futile lotta tra guardie e ladri.

Oggi è in onda anche in Italia, tutte le sere alle 20:45 su FX, canale 113 di Sky. Se non l’avete mai visto, merita.

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martedì 23 Maggio 2006, 20:46

“Normale amministrazione”

Così, pare, l’autista di Moggi ha commentato la propria visita forzata alla procura di Napoli, per un interrogatorio di oltre tre ore. Sarà: vuol dire che per fare l’autista di Moggi bisogna mettere in conto un interrogatorio alla settimana?

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lunedì 22 Maggio 2006, 23:29

Una domenica da ultrà

Dopo avervi raccontato del mio pessimo sabato, ecco anche il racconto di una interessante domenica: la mia prima trasferta calcistica, a Brescia.

La trasferta inizia alle 8,30 di domenica mattina, quando il piazzale davanti alla stazione Lingotto brulica di maglie granata. Un migliaio abbondante di persone si affolla, versando le quote di trenta euro per ricevere in cambio il biglietto della partita, l’accesso al treno e una maglietta; e nel frattempo chiacchiera placidamente, legge il giornale o fa colazione al bar.

Ci vuole oltre un’ora per caricare tutti sul treno, attraversando una timida perquisizione da parte di un manipolo di poliziotti. Il treno ha una dozzina di carrozze, che sono suddivise a seconda del gruppo che ha venduto il biglietto. Io sono con il gruppo dei Geneticamente Granata, quello della curva Primavera, che per quanto riguarda le trasferte è affiliato ai Viking Granata. Saliamo tra gli ultimi, e per un colpo di fortuna troviamo uno scompartimento ancora libero, che viene prontamente occupato.

Scopro così che i treni dei tifosi non sono come i treni normali. Si tratta di carrozze vecchissime, adibite a questo solo scopo, e già deturpate da innumerevoli partite, ultima delle quali apparentemente un Livorno-Inter che ha lasciato a pennarello vari cazzi nerazzurri. La nostra carrozza risale probabilmente agli anni cinquanta, è una di quelle vecchissime carrozze a scompartimenti con i sedili di pelle marrone, tutti scassati, i braccioli rotti, l’illuminazione non funzionante. Un carro bestiame, insomma, in cui dobbiamo pigiarci in nove o dieci, stringendoci e facendo i turni a stare in piedi nel corridoio.

Nonostante questo, la trasferta parte verso le 10,20 in grande allegria. Il treno si dirige verso Alessandria; partono i cori, ed ogni occasione è buona per sporgersi dal finestrino e gridare qualcosa ai passanti. Il treno comincia a rallentare, a fermarsi, poi prende inopinatamente verso Pavia. Ci chiediamo da dove vogliono farci passare, visto che probabilmente ci rallentano per farci arrivare appena appena in tempo; ma poco importa.

Il momento più surreale si raggiunge all’altezza di Opera, alla periferia di Milano, quando il treno rallenta e si ferma in mezzo alla campagna, proprio di fronte a un campo di golf. I cumènda milanesi, vestiti griffati, sgranano gli occhi, quando un migliaio di persone si sporge dai finestrini e comincia a gridare come un sol uomo: “MERDE! BORGHESI DEL CAZZO! EHI, TU! QUELLA PALLINA INFILATELA SU PER IL CULO!”. Poi cominciamo a prenderli di mira facendogli “oooo…” mentre si concentrano per il drive. A un certo punto, dopo un quarto d’ora di fermata che ha decimato i golfisti, ci siamo rotti le scatole e cominciamo a gridare: “SE NON FATE RIPARTIRE IL TRENO SCENDIAMO E FACCIAMO PRANZO SUL VOSTRO PRATO!”. Detto fatto, il treno riparte di corsa.

Attraversiamo la periferia milanese e prendiamo per Treviglio. Man mano che ci avviciniamo a Brescia, diventiamo un po’ più seri; sappiamo che non è una trasferta qualsiasi. Non c’è buon sangue tra le tifoserie, e a Brescia ci sono ultras tanto duri quanto pericolosi.

Comunque, il treno arriva indenne in stazione alle 14, un’ora prima della partita, dove ci attendono su un binario secondario, a fronte del quale hanno piazzato un vecchio treno merci per evitare che qualcuno possa fuggire attraverso i binari. Tramite un cordone di agenti, ci forzano nel sottopassaggio, e poi… ci tengono lì. Per una decina di minuti un migliaio di persone sono pigiate in un corridoio di due metri per due; sudiamo, ci manca l’aria. Alla fine ci fanno uscire, e scopriamo che siamo rimasti soli.

Difatti, lo stadio di Brescia è lontano, ragion per cui i locali si sono dotati di appositi autobus per trasportare le tifoserie ospiti allo stadio (foto). In pratica, hanno preso i più vecchi bus urbani che avevano, hanno tolto i vetri, e li hanno sostituiti con delle grate di ferro spesso. Altri carri bestiame, insomma, su cui i tifosi vengono pigiati all’inverosimile. Ma i poliziotti, si sa, non sono forti in matematica: e per quanto si pigi, sui pullman che dovevano portarci allo stadio non ci stavamo tutti. E così, in un centinaio siamo rimasti indietro, staccati dal grosso; e questo, dal punto di vista dell’ordine pubblico, è demenziale: un invito all’agguato da parte dei bresciani.

T., uno dei capi degli Ultras, ci guarda in faccia uno per uno, e fa: “Siamo pochi…”. Poi sorride e aggiunge: “Pochi ma buoni!”. Nel frattempo il tempo passa; si fanno le 14,20, le 14,30… Siamo nervosi, abbiamo paura di perdere la partita: partono bordate di fischi. Nel frattempo, dal tam tam dei cellulari arrivano le prime notizie: il fotografo di Toronews aggredito da infami, quindici ultras contro due in una macchina targata Torino; sassaiole continue su tutti i pullman, sia i nostri che quelli dei club organizzati arrivati direttamente allo stadio.

Alla fine, alle 14,45, arrivano quattro autobus a prenderci. Saliamo di corsa, incazzati, tesi. I tre “vecchi” che erano con noi hanno cambiato faccia; salgono per ultimi, si tolgono le cinture e le preparano, si aggrappano alle porte e gridano all’autista finchè non ottengono che l’autobus parta a porte aperte. Quest’ultimo è un requisito essenziale per tanti motivi; sia per non restare intrappolati se ti attaccano; sia per poter scendere e rispondere; sia per potersi sporgere a guardare avanti, ed anticipare gli agguati. E così, ci facciamo tutta Brescia a ottanta all’ora senza fermarci, tra camionette della polizia a sirene spiegate, con due persone appese e sporte fuori a far la guardia.

Quando arriviamo allo stadio sono le tre meno uno; l’autista non sa dove fermare, e sceglie il posto peggiore. Saltiamo giù, e ci rendiamo conto di essere esattamente a metà tra la testuggine dei caramba da un lato, e la prima fila di ultras, a volto coperto, dall’altro. Ci togliamo di mezzo alla svelta, ma la carica non parte: sta per iniziare la partita, e così ci affolliamo sull’unico cancelletto del settore ospiti.

Nessuno vuol perdere la partita a causa della disorganizzazione della polizia, e quindi i controlli all’ingresso non esistono più: si sfonda. Probabilmente qualche decina di persone entra senza biglietto, e volendo si sarebbe potuti entrare con un bazooka in tasca. Peraltro, il decreto Pisanu sui biglietti nominativi è chiaramente una pagliacciata: il mio biglietto non era nominativo, e in un tale delirio, in un ingresso bersagliato di bottigliette e sassi dai tifosi locali della curva a fianco, non c’è certo modo di star lì a chiedere documenti.

Entriamo, e la partita è iniziata da poco. Lo stadio Rigamonti è ridicolo: all’inizio credo di aver sbagliato posto. Sembra un campetto di periferia, con gli spalti fatiscenti e tenuti su col bostik, tutti uno diverso dall’altro, tutti storti, la maggior parte fatta coi tubi di alluminio; una specie di delirio dadaista progettato da un geometra ubriaco. Però siamo vicini al campo, anche se praticamente a livello terra.

Seguono novantanove minuti di delirio totale. Una partita vista così, da bestie pigiate, è un’altra cosa: tremila voci in una bolgia che non smettono un attimo di cantare. I tifosi locali sono annichiliti; a un certo punto parte “LA GENTE VUOLE SAPERE”, e lo sentono fino a Bergamo. Loro sono divisi in due curve, e passano il tempo a insultarsi tra di loro, e nel tempo che avanza a insultare i propri giocatori.

Il Toro gioca bene, nonostante un arbitro cornuto che caccia Lazetic per lesa maestà; e il gol di Abbruscato è lì a pochi metri, fa subito partire il delirio. Anche io perdo il controllo, scendo gli ultimi gradini sull’orlo dell’infarto, mi attacco alla barriera trasparente e urlo con tutto quel che ho (mi perdonino le signore): “SUUUCAAAAAAAA!!!”. Il secondo tempo non comincia mai, non finisce mai, pure sospeso per i loro fumogeni; la partita è dominata di intelligenza dal Toro, nonostante un paio di brividi.

Ma il meglio deve ancora venire: usciamo nell’antistadio, saliamo sui pullman, sempre più pigiati; a un certo punto parapiglia, ci fanno scendere, vediamo gente dei nostri che corre a rifugiarsi verso di noi. Si scopre che i bresciani si sono sparsi fuori, a ronde di venti persone, cercando di picchiare ogni bagliore granata; anche le donne, anche i bambini, anche i vecchi che cercano solo di riprendere la macchina. Restiamo pigiati dentro per un’ora, con la polizia a far da cordone; alla fine ci caricano sugli autobus e partiamo. Io sono finito sull’ultimo, e la cosa non promette nulla di buono.

Difatti, al primo incrocio c’è la pula, con ampio spiegamento di camionette; al secondo incrocio c’è la pula; al terzo incrocio non c’è più nessuno, salvo l’agguato dei bresciani.

Il nostro è l’unico autobus che si ferma, a forza di minacce all’autista, mentre ci arriva addosso qualche bottiglia e qualche pietra; ma loro sono solo quattro o cinque, di cui uno con un motorino; come armi hanno un casco, un ombrello e una stampella. Pensano di farci paura, corrono verso di noi; peccato che gli Ultras si siano organizzati, spargendo un po’ di gente tosta su ognuno dei pullman. Mentre l’adrenalina scorre e io non so che fare, scendono un po’ dei nostri, le cinghie in mano. Il motorino vola e si polverizza, mentre il suo proprietario se ne prende a sufficienza; i bresciani che possono scappano come conigli, ma li massacrano lo stesso. Dopo non più di quindici secondi, dalla porta entra l’ombrello, usato per agganciarsi al mancorrente e tirare su gli altri già di ritorno, mentre il pullman viene fatto ripartire sgommando. Dopo venti secondi arriva la pula, ma non c’è più nessuno. (Anche se pare che abbiano poi fermato uno dei nostri.)

E così, abbiamo vinto due volte: sul campo e in strada. Il ritorno è festoso ma stanchissimo. Per battezzarmi, mi dicono di insultare qualcuno o qualcosa alla stazione di Alessandria; fuori è un deserto, e mi esibisco in un grido di protesta contro quel che c’è, cioè “POSTE ITALIANE VAFFANCUUULOOOOO!!!”. Applausi. Alle 22,30 siamo di nuovo a Lingotto: una domenica da incorniciare.

Naturalmente, adesso mi aspetto un po’ di commenti moralisti a proposito della violenza e del teppismo negli stadi. Questa era la mia prima trasferta in treno organizzato, in una città calcisticamente calda come Brescia, ed è stata fonte di molte sorprese.

Una è stata scoprire quanto è divertente; ho passato dieci ore in treno ridendo, scherzando e divertendomi, condividendo bibite e panini e cantando. Un’altra è stata vedere l’incapacità e il menefreghismo di chi dovrebbe difendere l’ordine pubblico, mentre ad esempio sono stati i nostri stessi ultras, i presunti teppisti violenti, a organizzare le scorte ai tifosi “normali” e a salvarli dagli agguati dei bresciani.

Infine, è stato interessante accorgersi che la violenza non è affatto imposta da un manipolo di delinquenti; si tratta di un intero sistema anti-sistema, in cui le regole del vivere civile vengono temporaneamente sospese per la soddisfazione di tutti. La società ti permette di insultare le vecchiette e i golfisti e, se vuoi, anche di menarti (ma se non vuoi e non sei fesso non ti succede nulla); in cambio, ti tratta da bestia per tutto il tempo.

Potremmo discutere se ci abbiano trattato da bestie perchè ci comportiamo come tali, oppure se ci comportiamo da bestie perchè tutto è organizzato per trattarci come tali. E’ una domanda interessante.

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sabato 20 Maggio 2006, 19:57

M come merdamonio

Vi devo confessare, con un po’ di vergogna, che oggi la mia partecipazione a questo matrimonio è stata decisamente da dimenticare.

Non credo che serva farne un lungo racconto; forse può bastare qualche highlight in collegamento dallo studio. Come quando stamattina verso le cinque, non riuscendo più a tenere a bada i miei fantasmi, ho capito che l’unico modo per dormire ancora un po’ era una sorsata del vino del Lidl; oppure quando in chiesa, mentre la messa era già sulla via del decollo, mia mamma mi ha inseguito e strattonato per presentarmi una ragazza con cui secondo lei dovrei fidanzarmi, nonchè i di lei genitori, e di cui mi stava “casualmente” parlando da settimane. Inutile dir che io, preso in questa specie di commedia di Gilberto Govi cinquant’anni in ritardo, non ho potuto far altro che spallucce; a quel punto, anche mi fosse stata presentata Nicole Kidman sarebbe stato uguale. Ma un bel “FATTI I CAZZI TUOI” gridato forte verso mia mamma è comunque uscito qualche tempo dopo.

Peggio ancora il pomeriggio, in cui, relegato a un tavolo con i miei colleghi di lavoro, due quindicenni, e una ragazza simpatica su cui si è subito avventato il mio collega baccaglione, la conversazione si è rivelata frizzante come un elenco del telefono, e la mia unica compagnia è stata la bottiglia dell’Arneis. Dopo un po’, avendo esaurito sia la capienza alcoolica che la presenza di spirito, ho dovuto escogitare altri strumenti; prima un lungo giro alla toilette, appena in tempo per perdermi i primi; poi una seduta meditativa sul portico, a guardare il panorama lontano di Mondovì, e calcolare mediante le formule di fisica del liceo quanto tempo avrebbe impiegato un corpo di dimensioni approssimativamente simili al mio a cadere giù dal ponte ferroviario (Mondovì, simbolicamente, sarebbe un posto adatto per morire).

Quindi ho dormito un po’ con la faccia sul tavolo, sono tornato dentro in tempo per agganciare i secondi, ma in breve il sonno, aiutato dal Barbera, l’ha di nuovo avuta vinta; e ho appena avuto il tempo di accorgermi brevemente delle risate generali, e di realizzare quindi l’elevata densità di stronzi in sala. Non volendo affatto seguire il mio istinto e spaccare la faccia a qualcuno degli altri invitati, ho preferito andare a dormire all’esterno, su una panchina; cosa abbastanza inutile, perchè i saccenti impaludati si sono presto espansi anche là. Quindi, al risveglio, ho semplicemente deglutito il San Simone e atteso l’inevitabile fine.

Ad ogni modo, si trattava di un matrimonio misto celebrato da un prete giovane, e la messa è risultata per questo molto simile a un talk show; non mi avrebbe sorpreso l’arrivo improvviso di Maria de Filippi per intervistare gli intervenuti a proposito del senso della vita. Eppure, anche in questo caso il prete non si è risparmiato tutte le ipocrite sparate sull’amore dono del Signore e su tutte le meravigliose conseguenze di tutto ciò; e se una parte di me vorrebbe poterci credere ancora, la mia esperienza di vita mi ha insegnato a non fidarmi più.

Più ho amato, e più sono stato ferito, sfruttato, ingannato, usato senza pietà; e che ciò sia stato fatto per calcolo o più facilmente per inesperienza, poco cambia il risultato. Più ho avuto bisogno di aiuto, e meno l’ho avuto dalle persone a cui ho dato; mentre invece ne ho avuto da persone a cui probabilmente non ho mai restituito abbastanza, a dimostrazione del fatto che le relazioni umane sono per definizione inique e dolorose.

Forse la morale che ne devo trarre è che l’amore non esiste, e che ognuno di noi deve badare innanzi tutto, con sommo cinismo, agli interessi e ai desideri propri. O forse è che (pur con tutta la sincera contentezza per chi è così fortunato da poterne godere) non devo più accettare inviti a matrimoni.

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sabato 20 Maggio 2006, 08:45

Auguri

Auguri a Nicola e Paola, oggi sposi.

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venerdì 19 Maggio 2006, 22:12

[[Robert Post – Got None]]

Giusto per completare il discorso di cui al post precedente, c’è anche questo pezzo che mi fa compagnia, da un po’ di tempo, nelle serate malinconiche e solitarie che non possono non capitare in primavera a una persona disaccoppiata. Probabilmente ne avete già sentito qualche secondo in una pubblicità, ma il brano intero, solo voce e chitarra acustica, merita l’ascolto. Con testo a fronte.

When I was a little boy I used to wonder
Just how old you’d have to be to feel good
Now I’ve seen a thousand girls but I still wonder
Cause they just don’t make sense to me
God knows I’ve tried

I’ve tried to be the unpredictable one
I’ve tried to be the friend that they could rely on
I’ve still got none
I’ve got nothing at all

And so I fall into the open
Just singing out your name
And when I’m done, I’m crashed and maimed
I hope that’s where you’ll find me

You know that if it’s up to me I’ll still be holding
My own hand the day I die
So please release me now

I’ve tried to be the mean mysterious one
I’ve tried to be the sweetest candy you’d suck on
I’ve still got none
I’ve got nothing at all

And so I fall into the open
Just singing out your name
And when I’m done, I’m crashed and maimed
I hope that’s where you’ll find me
And so I fall into the open
Just singing out your name
And when I’m done, I’m crashed and maimed

And it’s a good day for being found
Just crawling in the dirt with my head underground
And it’s a good day for you to come
Collecting all the pieces of the damage done

And after all the bandages are gone
I hope you’ll find a favorite part you can work on
Cause I’ve got none
I’ve got nothing at all

And so I fall into the open
Just singing out your name
And when I’m done, I’m crashed and maimed
I hope that’s where you’ll find me
And so I fall into the open
Just singing out your name
And when I’m done, I’m crashed and maimed
Into the open
Singing out your name
Collecting all the pieces of the damage done

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venerdì 19 Maggio 2006, 22:00

Lebbra

E’ uscita recentemente una nuova versione di One degli U2, una canzone bellissima a cui sono molto affezionato. Dopo un inizio convenzionale, irrompe sulla scena Mary J Blige, che con la sua voce incredibile travolge e oscura immediatamente tutto il resto: Bono, The Edge, musica e parole. La trovo una versione emozionante, pur con tutte le difficoltà del confronto con l’originale.

Comunque, vi racconto tutto questo perchè mi sono tornati in mente alcuni dei versi di questa canzone che da sempre mi colpiscono di più:

Have you come here for forgiveness
Have you come to raise the dead
Have you come here to play Jesus
To the lepers in your head

Come tutte le grandi canzoni, anche questa ha dei versi in cui ognuno può leggere ciò che ci sente dentro, e scoprire nuovi significati in fasi diverse della vita. Nel mio caso, mi hanno fatto riflettere sul fatto di come anche io, probabilmente, abbia cercato per troppo tempo non solo di resuscitare una persona morta (morta, per fortuna, solo nel mio mondo interiore, e non in quello esteriore), ma anche di guarirne malattie (malesseri, meglio) che esistono solo nel mio cervello.

E quindi, guardando le cose freddamente, non c’è una ragione sensata per cui continuare a tornare.

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giovedì 18 Maggio 2006, 22:24

Stile Juventus

Questa sera, per divertirci un po’, parliamo un po’ di stile Juventus.

Stile Juventus è, come avvenne anni fa, chiedere dei soldi per portare la squadra a giocare in una amichevole di beneficenza per ricordare il povero Andrea Fortunato, il giocatore della Juve che morì di leucemia.

Stile Juventus è anticipare la campagna abbonamenti (iniziata questa settimana, 250 euro per la curva) in modo da spremere un po’ di denaro dai propri tifosi senza che questi possano sapere se con quei soldi vedranno la partita col Milan, o quella col Pizzighettone.

Stile Juventus è essere così griffati e marchettari che quando viene la Finanza a perquisire la tua sede cercando i falsi che hai fatto in bilancio, li puoi mandar via con le carte impacchettate in eleganti sacchetti con il logo della società.

Stile Juventus è il figlio di Moggi che spende 10.000 euro per portare a cena in jet privato a Parigi la conduttrice di Campioni, Ilaria d’Amico, cercando disperatamente di farsela dare: e va lo stesso in bianco.

Ma, per chi dice che è solo un problema di Moggi, potete anche leggere lo stile Juventus con cui un vero gobbo istruisce il figlio di otto anni, a proposito di come rispondere all’amichetto milanista che lo prende in giro, e riporta orgogliosamente: “E così ha risposto: Rossonero pezzo di merda! Rossonero ebreo!”. E tutti gli altri che applaudono la risposta, “Grande!”, “Così si fa!”

P.S. Nel caso vi serva un controesempio, potete anche leggere cosa è successo ieri sera su Toronews quando un cretino, in risposta a un messaggio di uno juventino, si è permesso di ironizzare sulla tragedia dell’Heysel. Prendendosi immediatamente due pagine di reprimenda infuriata dagli altri tifosi del forum.

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