Avevo promesso il racconto del mio primo maggio milanese; per non tediarvi troppo, comunque, lo farò a spizzichi e bocconi.
Chiacchierando a metà pomeriggio con Fiorello Cortiana (che è candidato alle comunali, e su cui vi farò una testa tanta: votatelo) gli dicevo appunto che Milano mi sembra una città in crisi di identità , visto che molti di coloro che ci vivono non si sentono milanesi, ma torinesi, bolognesi, veneti, romani prestati temporaneamente a Milano per motivi di lavoro; e che in generale i suoi stessi abitanti sono troppo persi dietro allo stress per far caso anche solo un po’ allo stato della loro città .
Credo di aver avuto una prova di tutto questo al mattino, quando, arrivato via autostrada e dopo aver atteso per mezz’oretta ulteriori istruzioni in piazzale Lotto, verso mezzogiorno mi sono dovuto confrontare con il problema urgente di trovare un bagno pubblico.
Non che a Torino sia facile trovare un bagno pubblico; non ce ne sono molti, specie in periferia, e sono quasi invisibili. Tuttavia, ci sono una serie di luoghi dove ci si aspetterebbe di trovare con una certa probabilità perlomeno un orinatoio; i giardini e i parchi di una certa dimensione, ad esempio, o le fermate della metropolitana, o i viali alberati, o i parcheggi, o i mercati.
Peraltro so perfettamente che la soluzione italiana al problema – a differenza delle città di mezzo mondo, dove i bagni pubblici sono gratuiti, abbondanti e sempre ben tenuti – è quella di andare in un bar ed ordinare un caffè; peccato che, essendo il primo maggio, la città apparisse completamente deserta: tutto completamente chiuso.
E così, il mio primo tentativo è stato in piazzale Lotto, zona con tanto di giardini e luoghi di attrazione pubblica; nulla.
Di lì, dovendo andare a Porta Ticinese, mi sono diretto verso piazza Amendola, davanti all’ingresso della Fiera (ormai “fieramilanocity”, per distinguerla da quella nuova a Rho). Mi son detto: figurati se non c’è un bagno pubblico tra la metro e la fiera, dove in certe giornate passeranno centomila persone. E invece no: c’è un gabinetto dentro la fermata della metro, ma era fuori servizio; fuori non ho trovato nulla.
Con lo stimolo crescente, ho ripreso l’auto, ho tirato diritto e mi sono fermato alla stazione della metro di Pagano, altra zona potenzialmente interessante: c’è la stazione, un grande parcheggio, e un bel giardino. Ma in nessuno di questi luoghi c’era un gabinetto, e non ho voluto fare come un signore che, nel mezzo del giardino pienissimo di mamme e bambinetti, si è messo tranquillamente a orinare su un albero (e nessuno sembrava farci caso…).
Così ho ripreso l’auto e ho avuto l’illuminazione: certamente ci sarà un bagno alla stazione FS di Porta Genova, praticamente attaccata alla mia destinazione! Così, sgommando per le deserte vie milanesi, ho tirato dritto fino a girare a destra in via Colombo e mollare l’auto davanti alla stazione.
Entro, nel deserto generale, seguo la freccia per le sale d’attesa, ma… non porta da nessuna parte. Allora sbuco sul binario, vedo l’insegna, vado là e… entrambi i bagni di una delle stazioni più frequentate di Milano sono “fuori servizio per otturazione scarichi”.
A quel punto, piegato in due dallo stimolo, mi sono rotto le scatole e ho pensato: milanesi, volete che la vostra città sia un cesso? E cesso sia. E così, ho fatto pipì a bordo dei binari, in un angolo dove già decine e decine di persone parevano averlo fatto, nell’indifferenza generale.
Ma la mia già pessima impressione del livello di civiltà di Milano è peggiorata ulteriormente.