Andare
Sapere che manca poco alla partenza, al momento in cui d’improvviso si dovrà lasciare un luogo e una forma familiari, e cominciare un cammino nell’ignoto.
La stanza è buia, c’è soltanto una piccola luce in un angolo, e un riverbero strano che sembra primordiale, antico, uguale a se stesso da mille e mille anni – come se questa scena, in fondo, fosse già avvenuta mille e mille volte.
Guardarsi attorno e incontrare per caso con lo sguardo dettagli che si erano temporaneamente lasciati affondare, e scomparire sul fondo della memoria; tirarli fuori ed osservarli con occhi ormai così diversi, e con l’affetto con cui si osserva qualcosa che ci era tanto piaciuto, che era stato bello e importante, ma che appartiene senza ombra di dubbio ad un’epoca ormai chiusa.
Capire che si è rimasti fin troppo in questo luogo, senza voler vedere la realtà , come a cercare di rianimare un corpo ormai freddo e dai battiti sempre più lenti, piano, piano.
La dolcezza di ciò che è passato per un attimo mi assale; poi, riflessa nel vetro, sembra anche un fantasma cattivo, e persecutorio. Infine, sottilmente, un segnale immaginario ma solido risuona, ad indicare che il tempo concesso è terminato. Non ci si crede, non ci si vorrebbe credere, perchè non si è mai pronti per partire del tutto, sapendo che non si tornerà più indietro.
Ci sarebbero state ancora delle cose da fare, qui; potrei enumerarne a centinaia. Molte delle cose che lascio mi mancheranno, anzi, forse le lascio proprio perchè il dolore della loro mancanza è troppo grande, e va schiacciato e nascosto là dove si può fingere di non vederlo. Eppure, allo stesso tempo non c’è più niente da vedere, se non la nuda pietra che rimane quando ci si spoglia di ogni cosa, si chiudono le porte, e si rimane soli a guardare il tramonto, senza trovare più il coraggio di lasciar andare in pace il sole, e di concedersi infine alla notte.