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sabato 8 Marzo 2008, 11:52

Suzukimaruti e la sindrome di Gabriella

Stamattina, leggendo la mia quotidiana sfilza di blog, sono rimasto affascinato dall’ultimo post di Enrico aka Suzukimaruti. Premetto che Enrico è un amico da oltre quindici anni, e anche se negli ultimi dieci ci siamo frequentati poco, quella polvere di ciclostile che ci ha ricoperto mentre facevamo insieme il giornalino del liceo costituisce un legame inscindibile (e poi era pure cancerogena, che sfiga).

Pur essendo un pensatore anarchico e indipendente, Enrico ha una caratteristica commovente: è rimasto fedele al Partito, quello con la P maiuscola, quello a cui tutti noi sabaudi occidentali, cresciuti nella Greater Stalingrado dell’Ovest (la parte di conurbazione torinese compresa tra piazza Sabotino e il castello di Rivoli), abbiamo dedicato cuori e passioni per anni.

Certo, il Partito non ha nemmeno più la P nel nome (anzi no, in effetti nel passaggio da DS a PD ce l’hanno rimessa), eppure Enrico continua a dedicargli sforzi appassionati e argomentazioni razionali, cercando di riuscire nella disperata impresa di provare come esista ancora la famosa diversità, e come insomma PD e PDL non siano più o meno la stessa roba, come ormai pensa la grande maggioranza degli italiani.

Peccato che il momento sia poco propizio: non solo perché tra il PD di Veltroni e il PDL di Berlusconi c’è la stessa differenza che c’era tra il PSI di Craxi e il PSDI di Nicolazzi, ossia una lettera nel nome e il numero di conto in banca; ma perché la blogosfera è piena di casi come quello di Gabriella Carlucci, dove un esponente di partito si sdraia a difesa di una posizione del partito stesso in maniera talmente acritica ed evidentemente slegata dai fatti – nel senso che qualsiasi fatto opposto alla tesi viene ignorato o rigirato in modo da provare la superiorità del proprio schieramento – da suscitare ondate di commenti che svariano tra lo sdegno e lo sberleffo.

Enrico certo non è paragonabile a Gabriella, non ne ha le tette né il patrimonio e anzi, come dicevo prima, la sua indipendenza di pensiero gelosamente conservata è ciò che gli impedirà una carriera politica che con meno onestà intellettuale avrebbe potuto tranquillamente avere; insomma, loda il PD per amore e non per interesse.

Stamattina l’ho un po’ sbeffeggiato anch’io: d’altra parte come si fa a postare un pippone indignato sull’immoralità del centrodestra nel candidare il leader della protesta di casta dei tassisti romani contro la liberalizzazione, quando il centrosinistra ha come candidato premier il sindaco che ha risolto tale protesta imponendo una tariffa fissa per l’aeroporto del 15% più alta del prezzo precedente, alla faccia del mercato e della concorrenza?

Tuttavia, nonostante questo, credo che sia meglio non infierire più di tanto. Enrico – ma come lui molti altri, chi di noi non ha un amico che è ancora convintissimo elettore del centrosinistra? – è come un fidanzato che tesse le lodi della propria innamorata: a tutti gli amici che la guardano sembra indistinguibile dalle altre dieci ragazze attorno a lei, ma, si sa, l’amore è cieco.

[tags]elezioni, politica, pd, pdl, partito democratico, suzukimaruti, carlucci, l’amore è cieco[/tags]

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23 commenti a “Suzukimaruti e la sindrome di Gabriella”

  1. .mau.:

    Parla per te, io sono cresciuto là ma non ho mai amato il Partito.

  2. rectoscopy:

    A quanto sembra la Stalingrado dell’Ovest produce più blogstar che funzionari di partito.

  3. vb:

    @.mau.: E’ perché tu abitavi ai margini dell’universo conosciuto (“après moi, les carrosseries”).

    @rettoscopia: Veramente la Stalingrado dell’Ovest ha prodotto sia l’ultimo segretario del Partito che l’ultimo segretario del partito… (anche se ti concedo che bisognerebbe estenderne i confini geografici qualche chilometro più in là, oltre il castello di Rivoli).

  4. Tizio:

    uè, ma allora ‘sta Stalingrado dell’ovest porta una sfiga tremenda!
    sgrat sgrat sgrat sgrat
    sgrat sgrat sgrat
    sgrat sgrat
    sgrat

  5. Suzukimaruti:

    Vittorio: la differenza tra PD e PDL c’è ed è enorme. Lo dicono i programmi, le facce, le persone, i modi, gli stili di vita, le storie personali, ecc.

    Non mi sforzo affatto per quello. Semmai resto stupito da quanto siano mostruose le cose che propone la destra berlusconiana.

    Perfino sulle liberalizzazioni, per esempio quella dei taxi che mi contesti, da un lato c’è chi ha tentato una liberalizzazione (eventualmente riuscita solo in parte: chi lo nega), dall’altra candidano chi ha materialmente lottato per mantenere lo status quo e si propone di lottare contro tutte le liberalizzazioni.

    Non c’è partito che tenga (contando che non ho più una tessera di partito dal 1989), la differenza in questo caso credo si veda bene. E se devo scegliere tra chi ha provato e chi non vuole cambiare nulla, so da che parte stare.
    .
    Rispetto alla Carlucci concedimi una differenza sostanziale: contrariamente a lei so di cosa parlo e soprattutto mi so documentare.
    .
    Rivendicherei anche che mi fosse attribuita una maggiore autonomia di pensiero rispetto a quella del PD (che, sottolineo, voterò convinto visto che negli anni passati ho votato tranquillamente di peggio, come presumo abbiano fatto tanti di noi: è la volta di incoraggiare il cambiamento) e credo che la mia storia personale e perfino il mio disordinatissimo blog lo dimostrino (penso a quando mi sono incazzato per la “tassa sui SUV” fortunatamente ritirata, o quando contestai *nel 2006, prima delle elezioni* l’alleanza con la sinistra estrema).
    .
    Boh, non mi considero di certo un pasionario di una causa, ma un fottutissimo pratico con un po’ meno puzza sotto il naso rispetto alla media della blogosfera, dovuta forse al fatto che per un po’ di tempo sono stato effettivamente povero e male in arnese o semplicemente perché ho scoperto che l’intransigenza edonistica è un lusso che non ci si può permettere.

    Credo anche che sottovalutare lo sforzo di cambiamento fatto da Veltroni e ossessionarsi su quanto ancora non è cambiato, finendo per non votare PD, non avrà altro esito che fermare il rinnovamento.
    Se il PD non pareggia o “perde bene” le prossime elezioni, tutto lo sforzo sarà vanificato e finiremo per riabbracciare gli estremisti conservatori.

    Già mi vedo il processo politico e un bel pastone tipo l’Unione, con un programma socialconfuso, alle prossime elezioni del 2013.

    Sta a noi decidere se guardare quanto ha fatto Veltroni o quanto non ha *ancora* fatto. E sappiamo che il corso delle cose dipende un bel po’ dal nostro voto. E forse è un voto più importante del risultato stesso delle elezioni.

  6. vb:

    Infatti, nell’ambito della mia persistente indecisione nel valutare tutti i fattori, credo che l’eventuale vero motivo per votare PD sia farlo contro Bertinotti, non certo contro Berlusconi. Non ho paura di cinque anni di governo Berlusconi, ma ho paura che questo timido rinnovamento verso una sinistra liberale e moderna, che Veltroni comunque ha provato a mettere giù, venga immediatamente troncato in caso di pesante sconfitta del PD.

    Per il resto nessuno ti ha paragonato a Gabriella, anzi c’è proprio scritto nel post :-P

  7. Suzukimaruti:

    vitto: hai perfettamente inquadrato il problema. cioè, il voto al PD in questo momento è più importante del risultato elettorale, che è scontato che vedrà Berlusconi governare e l’Italia prendersi un sacco di mazzate (così impara).
    Il voto al PD conta in prospettiva, cioè come rafforzamento dell’idea che la sinistra italiana vada modernizzata con una terapia shock.

    Tieni conto che vedo già (e li sento cantare vittoria) gli avvoltoi pronti a profittare della sconfitta elettorale del PD, peraltro annunciatissima. E se non si perde bene il risultato è uno solo: torniamo a Bertinotti e ai notav e ai fans della dittatura cubana, oltre che ai ministri che fanno i cortei contro il proprio governo.

    Ecco, io voto PD anche e soprattutto per quello. E per premiare il partito che più sta facendo per civilizzare la politica italiana.
    Ho vissuto di sponda il processo di formazione delle liste del PD in Piemonte e ti posso assicurare che il rinnovamento è una faticaccia tremenda. Anzi, mi chiedo come Veltroni riesca a farlo senza farsi 2 o 3 infarti nel mezzo.
    Ogni pezzo fresco e rinnovato di PD è frutto di ore e ore di lotte, scazzi, resistenze, ecc. Mezzo establishment passato del centrosinistra è in rivolta. Ed è un buon segno. Perderemo voti? Who cares. Rinnoviamo. Non possiamo che fare così.

  8. Alberto:

    Personalmente trovo che tra PD e PDL intercorra una differenza diversa da quella che intercorreva tra CdL e Unione, ma forse dal nostro punto di vista di italiani più importante e più profonda. La differenza non corre sui consueti binari della contrapposizione tra liberismo e ridistribuzione, tra confindustria e sindacati, tra lavoro e capitale. La contrapposizione oggi è più, se si vuole, europea tra resistenza e convivenza con le trasformazioni storiche che dobbiamo affrontare. Significativa è la questione Malpensa. Non è strano che chi è pronto a correre al capezzale di un azienda pubblica in crisi, con potente iniezione di denaro pubblico, per salvare il carrozzone di Malpensa, sia proprio la destra? Non è strano che Prodi prima, e adesso il PD, siano i cattivi che vogliono approvare un’operazione condotta alla luce delle logiche del mercato e non del santo Stato che veglia su tutti noi? Non solo la sinistra ha fatto (seppure in forma minimale) le privatizzazioni in cui la destra neppure si era cimentata ma la candidatura del tassista romano ci dice che nella prossima legislatura Berlusconi ha intenzione di frenare anche su questo aspetto.
    Questa è la differenza fondamentale che si delinea sempre più chiara tra gli uni e gli altri. In questo ribaltamento di ruoli il primo a rimetterci è poi Bertinotti che continua a cercare di coniugare ambientalismo e cooperazione con lotta di classe, con risultati sempre più deludenti.

  9. Thomas Jefferson:

    alberto: privatizzazioni o liberalizzazioni? E nel secondo caso, secondo te, che vuol dire liberalizzazioni?

  10. Alberto:

    @Thomas Jefferson: Grazie, era un refuso. Intendevo liberalizzazioni.
    Liberalizzazioni, secondo il De Mauro, significa: “adeguamento ai principi del liberismo economico, spec. mediante l’abolizione di restrizioni valutarie, dazi, monopoli e simili”. Ad esempio la limitazione del monopolio delle licenze dei taxi è una liberalizzazione.

  11. Thomas Jefferson:

    Alberto: non è una liberalizzazione. Liberalizzazione vorrebbe dire che tu hai una macchina e, se vuoi, ti metti a fare il tassista. Altrimenti è solo una differente regolamentazione. Se lo stato non arretra non c’è liberalizzazione. E’ come i cinque euro di ricarica. Non è una liberalizzazione quando lo stato dice ad un’azienda privata su come guadagnare.
    L’unica liberalizzazione che hanno fatto è quella dell’orario di apertura dei barbieri.

  12. for those...:

    TJ, quella di cui parli tu assomiglia tanto all’anarchia. Anzi, forse di più a un’altra teoria politica: “faccio ‘r cazzo che me pare” :))

  13. Thomas Jefferson:

    For those: assolutamente no. O meglio, l’estremo del liberalismo classico cioé il libertarismo, è alla fine anarco-capitalismo (ben diverso dall’anarchismo europeo – di stampo socialista). D’altro canto per il liberale il ruolo dello stato è solo garantire la fruizione dei diritti di vita, libertà e proprietà, nient’altro.

    Ma, a prescindere, qualunque liberale (non liberal che in comune ha solo le prime 7 lettere del nome e nient’altro) sarebbe del parere che liberalizzazione è, ad esempio, abolizione degli ordini professionali, riduzione della tassazione e via dicendo – non certo un’ulteriore ingerenza dello stato – per quanto auspicata da tanti consumatori. Oggi tutti si dicono liberali perché è di moda, pochi lo sono davvero.

  14. simonecaldana:

    Formiamo il cerchio, unite le vostre mani alle mie!
    Spirito di Ayn Rand, ci senti?

  15. Thomas Jefferson:

    simonecaldana: Tu invoca Ayn Rand, io procedo con Rothbard, von Mises e Frederic Bastiat :-P

  16. simonecaldana:

    Ero ironico, TJ.

  17. Thomas Jefferson:

    simonecaldana: infatti. Io non ho particolare simpatia per Ayn Rand (ma questo potevi non saperlo).

  18. Alberto:

    Thomas Jefferson: forse tu hai una definizione della liberalizzazione diversa dal De Mauro. Ma laddove la liberalizzazione sia intesa come la definisce il De Mauro non necessariamente coincide con una deregolamentazione. D’altra parte questo è il discorso fatto tante volte sul fatto che la libertà non è affatto garantita dall’assenza della norma.
    La limitazione di un monopolio spesso si raggiunge, al contrario, con efficaci leggi antimonopolio come gli Stati Uniti ci insegnano. Nel caso dei tassisti una limitazione del monopolio è già il fatto di sbloccare le licenze, anche se forse molti avrebbero preferito una ulteriore riduzione dei vincoli. Personalmente però dubito che chi è salito sulle barricate contro chi proponeva un primo passo completerà il cammino ma magari sono io che sono scettico per natura…

  19. Thomas Jefferson:

    Alberto: sbagli e di molto. Aumentare il numero di licenze significa solo deprezzare le licenze già in possesso di altri. Il mio concetto di liberalizzazione è assolutamente in accordo con quanto afferma il de mauro. Infatti sto parlando dell’abolizione del monopolio di chi concende le licenze, non nel suo allentamento.

  20. Alberto:

    Thomas Jefferson: Mi dispiace per lo sbaglio ma ti confesso che non mi è chiaro dove sia il mio marchiano errore.
    Far affluire nuovi concorrenti su un mercato è uno dei modi di limitare il monopolio secondo qualunque letteratura economica. Un modo ancora più drastico è certamente quello di eliminare ogni vincolo di ingresso al mercato (quindi eliminare le licenze) ma qui subentrano altri temi, ad esempio la garanzia per il cliente che chi lo fa salire sulla sua auto è uno che lo fa di lavoro e non uno che ti porta in un luogo buio e poi ti rapina…

  21. Thomas Jefferson:

    Alberto: chi nasce socialista o socialdemocratico muore tale. Quello che non capisco è perché tutti si affannino a dirsi liberali e a parlare di liberalizzazioni.
    La questione delle licenze è (anche) che implica un monopolio di chi rilascia le licenze. A un liberale non piacciono i monopoli e li vuole eliminare o limitare, senza eccezione.
    Quello che tu chiami “far affluire nuovi concorrenti su un mercato” per me è soltanto una forma di controllo statale di un mercato, e questo, oggettivamente, non lo puoi negare.

  22. Bruno:

    Hai ragione, TJ, i rossi sono rossi e rossi rimangono e rossi muoiono. Non farlo sapere a Ferrara e Liguori, però, potrebbero offendersi.

  23. Thomas Jefferson:

    Bruno: affari loro :-)

 
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