Sky
Vittorio vb Bertola
Fasendse vëdde an sla Ragnà dal 1995

Mèr 24 - 23:28
Cerea, përson-a sconòssua!
Italiano English Piemonteis
chi i son
chi i son
guida al sit
guida al sit
neuve ant ël sit
neuve ant ël sit
licensa
licensa
contatame
contatame
blog
near a tree [it]
near a tree [it]
vej blog
vej blog
përsonal
papé
papé
fotografie
fotografie
video
video
musica
musica
atività
net governance
net governance
consej comunal
consej comunal
software
software
agiut
howto
howto
internet faq
internet faq
usenet e faq
usenet e faq
autre ròbe
ël piemonteis
ël piemonteis
conan
conan
mononoke hime
mononoke hime
vej programa
vej programa
travaj
consulense
consulense
conferense
conferense
treuvo travaj
treuvo travaj
angel dj'afé
angel dj'afé
sit e software
sit e software
menagé
login
login
tò vb
tò vb
registrassion
registrassion
sabato 16 Agosto 2008, 11:09

La seconda guerra fredda

Nonostante la sua accurata programmazione all’interno della settimana olimpica, la crisi georgiana ha, alla fine, avuto un buon risalto sui nostri mezzi di comunicazione. Comunque, noi italiani siamo sempre un po’ troppo buonisti, per cui i nostri reportage di guerra si concentrano sul far vedere le vecchiette che sfollano e sul gossip politico internazionale; quasi mai, quando c’è una guerra, si riesce a capire perché è scoppiata.

La Georgia è teatro di scontri costanti sin dal collasso dell’impero sovietico; si può dire che, sin dal 1991, non sia mai stata veramente in pace. Naturalmente, i media italiani non ne hanno praticamente mai parlato, se non qualche volta quando, nell’ultimo paio d’anni, i georgiani si sono lamentati del fatto che i russi gli stessero tagliando gli approvvigionamenti alimentari; per il resto, la Georgia è esistita sui nostri schermi solo per qualche sporadica apparizione come squadra materasso nei gironi europei del calcio.

Il Caucaso è una regione complicata quanto i Balcani; esattamente come nei Balcani, vi sono etnie e sotto-etnie che si guardano male da centinaia di anni, complici differenze di lingua, di religione e di provenienza storica. I russi hanno sempre adottato una politica di “divide et impera”, suddividendo il territorio e le sue etnie tra vari Stati indipendenti che però, a loro volta, erano formati da federazioni di repubbliche autonome, di modo che i costanti scontri tra i vari Stati della regione, sommati a quelli interni tra le varie repubbliche dello stesso Stato, rendessero impossibile una rivolta del Caucaso contro Mosca.

Quando l’impero sovietico collassò e la Georgia si rese indipendente, le due repubbliche autonome dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia dichiararono a loro volta l’indipendenza dalla Georgia; la prima per riunirsi all’Ossezia del Nord, che è una repubblica autonoma di pari etnia ma situata all’interno della Russia; la seconda invece era comunque a prevalenza etnica georgiana, ma per un gioco politico i suoi dirigenti cercarono l’autonomia, e negli anni finirono per ribaltare la distribuzione etnica. Di fatto, la situazione di questi due territori è da vent’anni quella che era del Kosovo fino a poco tempo fa: una indipendenza di fatto, protetta da forze armate di interposizione (che nel caso specifico erano un po’ locali, un po’ georgiane e un po’ russe), però non riconosciuta da nessuno e internazionalmente non valida; allo stesso tempo, tenuta in piedi dagli aiuti e dal potere politico di Mosca, che è giunta persino a concedere con larghezza passaporti russi agli osseti del sud in modo da poter giustificare il proprio intervento “a difesa di propri cittadini”.

Quando, qualche mese fa, su pressione degli americani (di cui la Serbia è nemica e il Kosovo è satellite) il mondo decise di riconoscere l’indipendenza del Kosovo, era facile prevedere che tutte le secessioni del mondo si sarebbero presto messe in coda. Il presidente georgiano Saakashvili, un semi-dittatore amico degli americani, ha deciso così di agire d’anticipo: ha cercato di riconquistare con la forza le due repubbliche secessioniste prima che potessero procedere sulla via dell’indipendenza ufficiale. Mosca ha reagito, e si è arrivati così allo scontro di questa settimana.

All’inizio non si capiva bene cosa stesse succedendo, ma poi la cosa è stata chiara: si tratta del primo episodio caldo di una nuova edizione della guerra fredda tra la Russia e gli Stati Uniti. Qualche sospetto è venuto quando si è scoperto che i militari georgiani si muovevano su jeep americane nuove di pacca, mentre l’esercito osseto rispondeva con aerei russi su cui la bandiera di Mosca era stata cancellata con la gomma cinque minuti prima. Quando, nemmeno tre giorni dopo l’inizio del conflitto, gli americani hanno annunciato che una colonna di marines “umanitari” era già pronta allo sbarco sulle coste del Mar Nero, ecco, è parso chiaro come tutto questo fosse, dal lato georgian-americano, preparato da mesi.

Già, ma perché? Non vi è dubbio che si tratti di una piccola guerra militare, ma di una grande guerra mediatica; mitico quando entrambi i lati hanno proclamato un cessate il fuoco unilaterale davanti alle telecamere, per poi continuare a darsele di santa ragione. Il motivo è che gli Stati Uniti devono legittimare il proprio espansionismo nel Caucaso: continuando a ragionare con la mentalità della guerra fredda, vogliono andare a controllare i russi direttamente in casa loro. Vanno letti in quest’ottica sia gli annunci sparati secondo cui “la Russia si è posta al di fuori della legittimità internazionale” (che detto da gente che negli ultimi vent’anni ha invaso due o tre nazioni sovrane fa letteralmente pisciare dalle risate), sia quelli secondo cui la Georgia e l’Ucraina entreranno presto nella NATO, sia l’ultimo annuncio, quello che prevede l’installazione di missili americani in Polonia, praticamente alle porte di Mosca.

Quest’ultima notizia è passata un po’ sotto silenzio, ma è ancora più preoccupante, per due motivi: il primo è che per Mosca è una chiara provocazione che non passerà ignorata. Il secondo è che rappresenta l’ennesimo schiaffo della Polonia all’Unione Europea, visto che la politica estera dell’Unione andrebbe decisa insieme e che dubito molto che l’Europa abbia alcun interesse a schierarsi così apertamente contro la Russia. Arrivati da poco, i polacchi si sono subito distinti per aver preso l’Unione come un bancomat: ringraziano tanto per gli aiuti economici, ma quando c’è da fare qualsiasi concessione o da ragionare su interessi comuni fanno sempre e soltanto i fatti loro.

Proprio il ruolo dell’Europa in questa vicenda è, al solito, controverso. E’ andata un po’ meglio del solito, visto che Sarkozy ha avuto il buon senso di muoversi subito e accreditarsi fin dal principio come il massimo mediatore; peraltro anche questo potrebbe essere stato uno sviluppo calcolato in anticipo, visto che Sarkozy e Putin si piacciono (tra veri uomini ci si capisce). Dopodiché, però, l’Unione si è dimostrata al solito incapace di pesare davvero; il conflitto alle porte ha causato il solito megaincontro svogliato dei ministri europei, in cui si è distinto alla grande il nostro Frattini non andandoci nemmeno: per lui, la ripartenza della Guerra Fredda non è un motivo sufficiente per interrompere le vacanze alle Maldive.

Una Europa seria avrebbe la capacità, la credibilità e il peso per appendere al muro entrambe le superpotenze, spiegandogli che non è assolutamente il caso che si pestino nel giardino di casa nostra. Purtroppo, l’Europa è ancora un supercondominio dove tutti stanno insieme a parole, ma poi sono troppo impegnati a litigare sul conto della pulizia scale per riuscire a presentarsi seriamente all’esterno.

E ora, cosa succederà? Non so, non sono un esperto, ma Mosca ha il coltello dalla parte del manico; non solo può lasciare al freddo mezza Europa, ma ha mostrato peso militare e ha ricacciato i georgian-americani più indietro di prima. Gli americani, invece, sono un gigante dai piedi d’argilla: continuano a comportarsi come se fossero i padroni del mondo, grazie al loro indubbio dominio militare, ma hanno le pezze al culo, sono pieni di debiti quasi come gli italiani e la loro economia ha un futuro piuttosto dubbio. Se a russi e cinesi girasse di smettere di comprare i loro debiti, gli americani chiuderebbero baracca entro breve.

Per questo motivo, la seconda guerra fredda potrebbe finire molto diversamente dalla prima. La prima guerra fredda è stata vinta dagli americani sul piano economico, sfruttando il limite teorico del comunismo: l’incapacità di un sistema economico a pianificazione centrale ad evolversi a velocità comparabile con uno basato sulla libera iniziativa personale. Ora, però, Russia e Cina hanno capito il trucco; da quando Putin ha preso a mazzate nei denti la mafia che era fiorita tra una ciucca di Eltsin e l’altra, l’economia russa ha cominciato a galoppare; della Cina già sappiamo. Chissà che questi paesi non vincano la seconda guerra fredda sfruttando il limite teorico del capitalismo: l’incapacità di un sistema basato sulla libertà personale di sfruttare la propria manodopera quanto un sistema autoritario e collettivista.

Nessuno sa, in tutto questo, quale sarà il ruolo dell’Europa: per ora essa sta mettendo insieme il peggio dei sistemi capitalisti con il peggio di quelli socialisti, unendo bassa innovazione e bassa produttività e finendo dritta verso la recessione; e non è stata in grado di giocare il ruolo politico che invece le spetterebbe. Forse, tra un’edizione e l’altra di “scriviamo un incomprensibile trattato di duecentocinquanta pagine per poi farcelo bocciare da questo o quel paese membro”, sarebbe il caso di arrivare a una proposta chiara e convincente su questi piccoli particolari.

[tags]georgia, russia, stati uniti, polonia, europa, guerra fredda, politica internazionale[/tags]

divider

11 commenti a “La seconda guerra fredda”

  1. D# AKA BlindWolf:

    Non sono così convinto che l’economia russa stia così bene: si basa sostanzialmente sulle materie prime, che in questo periodo sono ben quotate (in parte per la richiesta dovuta al rapido sviluppo di alcune nazioni – Cina, India, Brasile – ed in parte perchè sono il rifugio da un mercato azionario in discesa).

    Per quanto riguarda il debito USA, il giochetto di ripianare il debito stampando dollari ormai non funziona più e per quanto riguarda l’indebitamento i privati cittadini sono messi molto peggio di noi (anzi, noi italiani siamo ancora relativamente “formichine” per quanto riguarda l’indebitamento privato; c’è il “boom” del credito al consumo perchè prima eravamo quasi a zero. Gli americani sono indebitati in media al 120% del proprio stipendio).

  2. Ciskje:

    Mi inchino davanti ad un analisi cosi’ precisa e irriverente della situazione attuale. Adoro la tua definizione di “limite teorico”.

    @BlindWolf, avere le materie prime al giorno d’oggi vuol dire dominare il mondo, senza alzare un dito.

  3. D# AKA BlindWolf:

    @Ciskje: verissimo, ma è un dominio a breve termine. Senza una strategia di investimenti a lungo termine si rischia un collasso da cui è difficilissimo riprendersi.

  4. vb:

    Beh, basta giocare qualche partita a una versione avanzata di Civilization per capire molto di come funzionano gli equilibri geopolitici di un pianeta :-P

  5. Mir:

    “Comunque vada sara’ una disfatta (per l’Europa)” (cfr con il chiambrettiano “Comunque vada sara’ un successo”).
    Comunque la si giri, con Stati Uniti in declino e/o con Russia/Cina in ascesa, noi ne usciamo sempre come il classico vaso di coccio tra i vasi di ferro.
    Non e’ un caso che lo si chiami il “vecchio continente”; siamo sterili, anche con l’apporto di popolazioni fresche immigrate, perche’ il modo di governare l’Europa che non c’e’ resta nella testa quello vecchio di 60 anni del Mercato Comune Europeo e anzi peggiore, perche’ non piu’ supportato da nazioni in crescita economica sostenuta.
    Vecchie idee, per vecchi capitalisti e vecchi banchieri con sempre minor voglia di rischiare. Peso politico ridicolo. Mi godo questo declino finche’ durano i soldi per arrivare a fine mese. Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare..

  6. Attila:

    E in tutto questo noi europei non abbiamo nemmeno i carrarmatini per attaccare la Kamcha… Kamich… Kamquella zona lì che tutti attaccano quando giuocano a Risiko…

  7. Alberto:

    Vb, io ho giocato solo un paio di volte a Civilization, in compenso ho letto qualche testo di storia e mi risulta che nel ventesimo secolo ci sia stata una lunga sequenza di sistemi autoritari (comunisti o fascisti) che hanno cercato di dimostrare quanto tu ipotizzi ovvero che un sistema autoritario riesce a sfruttare meglio di uno liberale la mano d’opera. In tutti i casi l’esito è stato lo stesso: mi viene da chiedere come mai nel ventunesimo secolo l’esito dovrebber essere diverso da quello del secolo precedente. L’unica differenza significativa è che oggi il livello di scolarizzazione di quei popoli è decisamente più elevato e questo complica ulteriormente le cose: l’ignoranza è un ottimo alleato dello sfruttatore.
    Per quanto riguarda Putin dargli dei meriti nella ripresa economica russa pare piuttosto forzato. Anche il Venezuela ha avuto uno sviluppo economico imponente da quando c’è Chavez, pochi però sono disposti ad attribuirlo alle doti del Presidente e non invece al rincaro vertiginoso del prezzo del petrolio. Il problema è semmai che l’economia russa dipende quasi esclusivamente dalle materie prime che, a differenza dell’industria, non si possono riconvertire. Se domani ci fosse una contrazione della domanda di petrolio o gas naturale (ad esempio in conseguenza della riconversione a fonti di energia diverse da quelle fossili) la Russia andrebbe incontro ad una crisi terrificante.
    Per la Cina il discorso è un po’ diverso ma vale anche lì il fatto che un sistema autoritario funziona fintanto che l’economia attraversa una fase positiva. Oggi i giovani cinesi sono enormemente più ricchi dei loro padri e non mettono in dubbio il sistema. Quando questa tendenza si invertirà il sistema sarà messo in discussione e lì si creerà la crisi. Il rischio grosso è che, in coincidenza della crisi, quando essa arriverà, Cina o Russia, come spesso tendono a fare i sistemi autoritari giochino la carta militare. Ed allora non si parlerà di seconda guerra fredda ma di terza guerra mondiale. Speriamo non succeda…
    Il problema invece di noi europei è che lamentiamo l’impotenza dei nostri governanti, la nostra difficoltà di essere forti ed influenti sullo scacchiere mondiale e poi esultiamo quando gli irlandesi bocciano il Trattato di Lisbona. Ho l’impressione che ci sia un forma di autolesionismo di massa dietro a tutto ciò. Chissà se i francesi che hanno votato contro la Costituzione Europea si rendono conto che se la Francia non facesse parte dell’Unione Europea a Mosca Sarkozy non saprebbero nemmeno chi sia?

  8. Mir:

    @Alberto: dagli tempo! La reignorantizzazione dell’Italia e’ gia’ in atto da tempo, come pure il famoso Piano di Rinascita Democratica di Licio Gelli.
    In quanto all’Europa.. forse pensero’ male, ma ho come la senzazione che tutto sto casino con la Georgia gli americani lo pompino per tirarci in mezzo con i russi e far scoppiare qualche grosso casino militare tra Russia e Europa, per poi poterci “aiutare” (che cari!). Avrebbero risolto in un colpo solo il problema dell’Euro forte, e delle loro banche che stanno andando nel c… (e in questo caso tra i creditori della loro carta straccia ci saremmo anche noi).
    Esagero, eh? Che dite?

  9. Alberto:

    @Mir: direi di sì. Al di là del caso italiano, i fenomeni storici sono difficilmente arrestabili. Un programmatore di software ad esempio è, per necessità, più scolarizzato di un operaio e qui nessun regime autoritario potrà mai farci nulla.

  10. vb:

    Alberto: Io mi riferivo all’interessante (in termini di scienze politiche) esperimento della Cina: autoritarismo coi deboli (cioè con la manodopera) e liberalismo coi forti (cioè con gli imprenditori). Ossia un tentativo di garantire manodopera ad alta produttività e basso costo come nei sistemi autoritari, ma allo stesso tempo di godere dell’innovazione e della libera iniziativa dei sistemi liberali. Concordo con te che difficilmente potrà durare nel lungo termine, nel senso che storicamente a questo tipo di fase segue una fase di lotte sociali che portano a un miglioramento delle condizioni delle classi sociali più deboli, a prezzo di una riduzione di produttività e competitività economica del sistema. Però è anche vero che la Cina è un caso particolare, comparabile forse solo al Giappone, perché la manodopera in gran parte si “autoschiavizza” per cultura.

  11. Alberto:

    vb, il raffronto con il Giappone in effetti può essere azzeccato perché in Giappone come in Cina il capitalismo ha trovato al suo innesto un terreno reso fertile dalla cultura locale. Il Giappone nei decenni passati, come la Cina oggi, si è trovato a dover competere con un capitalismo occidentale già sviluppato e quindi più debole e questo gli ha dato uno slancio iniziale fortissimo dopo il quale ha dovuto fare i conti con una nascente sindacalizzazione e con le dimensioni oggettivamente ridotte del paese.
    La Cina ha l’enorme vantaggio, rispetto al Giappone, di avere una grossa forza militare e diplomatica che le consente di rallentare molto il processo. Questo probabilmente le consentirà di posticipare la necessità di fare i conti con sindacalizzazione e diritti dei cittadini. Vedremo di quanto…

 
Creative Commons License
Cost sit a l'è (C) 1995-2024 ëd Vittorio Bertola - Informassion sla privacy e sij cookies
Certidun drit riservà për la licensa Creative Commons Atribussion - Nen comersial - Condivide parej
Attribution Noncommercial Sharealike