Vaffanculo campione
Avevo sempre creduto che certi comportamenti fossero solo italici, e invece no: qualche giorno fa La Stampa riporta il caso del ragazzino meraviglia del nuoto britannico, Tom Daley, che da quando è diventato famoso per aver partecipato alle Olimpiadi a quattordici anni non vive più in pace: a scuola lo prendono tutti in giro.
Naturalmente può darsi che le cose non stiano proprio così o che Daley sia un po’ troppo sensibile, ma viene proprio da chiedersi: se come zimbello della scuola viene scelto uno così, qual è il criterio per essere accettato (non dico ammirato) dai quattordicenni inglesi?
I campioni non hanno mai vita facile; le persone amano riporre aspettative spropositate in perfetti sconosciuti per poi criticarli e scaricarli al primo stormir di fronde. Nello sport succede spesso che giovani di belle speranze stupiscano e poi, alla prima difficoltà , si perdano; alle volte non riemergono più, alle volte finiscono proprio male, alle volte si riscoprono e ritrovano se stessi fuori tempo massimo e diventano campioni molti anni dopo, come l’Eugenio Corini. Pur lasciando Rosina alla sua crisi esistenziale sulle orme (queste o forse queste) di Domenico Morfeo, dal punto di vista prettamente umano non possiamo non chiederci perché questi giovanotti e giovanottissimi non vengano mai lasciati in pace (che poi è il presupposto per ritrasformare un vecchio ciccione in un eterno campione).
E’ come se l’essere umano medio avesse bisogno di un modello astrattamente migliore di lui, ma solo per usarlo come puntaspilli; con ciò confermando la teoria per cui l’umanità , statisticamente, preferisce il cazzeggio al progresso.
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