Sky
Vittorio vb Bertola
Affacciato sul Web dal 1995

Gio 21 - 10:00
Ciao, essere umano non identificato!
Italiano English Piemonteis
home
home
home
chi sono
chi sono
guida al sito
guida al sito
novità nel sito
novità nel sito
licenza
licenza
contattami
contattami
blog
near a tree [it]
near a tree [it]
vecchi blog
vecchi blog
personale
documenti
documenti
foto
foto
video
video
musica
musica
attività
net governance
net governance
cons. comunale
cons. comunale
software
software
aiuto
howto
howto
guida a internet
guida a internet
usenet e faq
usenet e faq
il resto
il piemontese
il piemontese
conan
conan
mononoke hime
mononoke hime
software antico
software antico
lavoro
consulenze
consulenze
conferenze
conferenze
job placement
job placement
business angel
business angel
siti e software
siti e software
admin
login
login
your vb
your vb
registrazione
registrazione

Archivio per il mese di Luglio 2009


venerdì 31 Luglio 2009, 20:16

Estate in val d’Aosta (MI)

Le vacanze in Val d’Aosta sono interessanti: stando ben lontano dai centri abitati si è tranquillissimi, ma là dove si raggruppano gli umani ci si ritrova un po’ come nel centro di Milano.

Oddio, in realtà dipende: per esempio ieri siamo scesi giù nella valle (che da giorni è coperta da una cappa di calore inquietante) e siamo andati a visitare il castello di Fenis e poi la mostra The Art Of Games in centro ad Aosta. (Per chi viene da una città, parlare di “centro” ad Aosta sembra superfluo, in quanto l’intera città è racchiusa tra la ferrovia e la montagna e ha un raggio di un chilometro a dir tanto, anche se l’edizione locale della Stampa poi parla di “cintura” per indicare le borgate sparse a mezza costa su per i monti o la zona di capannoni e medi supermercati che ti accoglie tra i prati arrivando dall’autostrada: una terminologia interessante.)

Il castello di Fenis colpisce sempre, con un bellissimo cortile affrescato e il complesso ancora integro (nel senso di ricostruito ma non troppo); e lì, oltre al milanese, senti parlare anche altre lingue italiche e persino francese e spagnolo. La mostra ad Aosta è interessante; in pratica è una esposizione di stampe su tela di concept art di videogiochi e copertine di libri fantasy, tutte molto belle; si vede in mezz’oretta e costa solo tre euro, che per noi sono diventati due perché avevano “finito i biglietti interi”, che non so se sia un segnale di grande successo o di scarso successo, ma all’interno c’eravamo solo noi, dunque niente milanesi. E un giro a piedi per la via principale di Aosta è piacevole, poi ora ho scoperto anche dov’è la fumetteria (l’unica di tutta la val d’Aosta)… dunque suggeritemi fumetti interessanti per l’estate…

Stamattina invece siamo andati al mercato a Champoluc, e lì invece l’invasione bauscia era inesorabile: tanto è vero che il mercato del venerdì di Champoluc è costituito da una dozzina di banchi di alimentari tipici (quasi tutti dalle province di Cuneo, Torino e Biella) e da una cinquantina di banchi di abbigliamento (tra cui andavano alla grandissima i maglioncini di cashmere) e di souvenir, attorno ai quali ronzano decine di SUV alla ricerca di un parcheggio a non più di cinquanta metri dall’inizio dei banchi. Ci hanno praticamente regalato una cassetta di pomodori, dato che la gente sembrava interessata solo ai maglioncini!

Torneremo dunque a Champoluc, ma solo martedì sera quando al cinema Sant’Anna (aka chiesa del seicento dismessa per spostare la parrocchia in un cubo di cemento moderno) danno Gran Torino; per il resto della settimana danno Harry Potter 77 e la sala sarà indubbiamente monopolizzata da torme di ragazzini meravigliati al grido di “uè, figaaaa”

[tags]val d’aosta, turismo, champoluc, aosta, milano, fenis, the art of games, fumetti[/tags]

divider
giovedì 30 Luglio 2009, 13:08

La gaia Stampa

Già vi ho parlato di come La Stampa stia facendo una campagna tremenda contro la vita notturna in città: a forza di articoli scandalistici è riuscita a far passare la privatizzazione notturna di piazza Vittorio, dove da qualche tempo l’intera piazza e tutto il quartiere circostante, per tutte le notti del weekend, è adibita a parcheggio gratuito e riservato per il sindaco (che lì abita) e i suoi vicini di casa. Gli indiscutibili eccessi e la pronta cafonaggine di molti ventenni sono stati sfruttati per creare un ulteriore privilegio per chi già, abitando in quella parte della città, non ha di certo problemi ad affittarsi un garage; il tutto grazie a vigili e telecamere pagati con i soldi di chi, abitando in periferia, magari ha gli stessi problemi di rumore o affollamento notturno, ma evidentemente non è un pupillo dell’amministrazione.

A scanso di equivoci, la campagna continua: per esempio, questa era l’apertura della pagina di cronaca cittadina ieri pomeriggio sul Web:

screenshot-lastampa-movidakiller.png

Da notare come molti degli investimenti da guida ubriaca non siano certo causati da ragazzini in uscita dal disco-pub, ma da quarantenni alcolizzati con la vita distrutta o da immigrati senza nemmeno la patente; eppure il titolo sugli investitori ubriachi viene subdolamente associato alla foto di un locale notturno, in modo da scolpire tale associazione nella mente. E subito sotto, naturalmente, un altro articolo contro i locali notturni di piazza Vittorio…

Ieri, però, mi sono veramente scandalizzato per un’altra cosa: in questo furore anti vita notturna il giornale ha pubblicato su Specchio dei Tempi una lettera (la seconda in pochi giorni), a firma della signora Clara Manfredi, che si lamentava del locale notturno installato nel Parco Michelotti; e passi (ribadisco che anche a me piace dormire, e che sia le violazioni degli orari di chiusura che l’abbandono di sporcizia in giro vanno combattuti a suon di multe). Ma il passaggio centrale della lettera è il seguente:

“Qua e là, in una atmosfera e un rumore assordante da discoteca, (in un parco!!!!!) coppie di travestiti o omosessuali festeggiava spensierata e incurante di famiglie con bambini e anziani che nell’area limitrofa hanno da anni la loro pista da ballo.”

In altre parole, il problema della signora Clara è che ci sono “coppie di travestiti o omosessuali” all’aperto, in un parco, vicino ai bambini e agli anziani.

Io trovo sinceramente vergognoso che un giornale di un paese che pretende di essere civile pubblichi una cosa del genere – una lettera apertamente razzista, che invoca la chiusura degli omosessuali in “locali più adatti” a mo’ di galera, come dei reietti – con la massima tranquillità, senza almeno dissociarsene in qualche modo. L’ho subito scritto nei commenti, e per fortuna sono poi arrivate tante persone ad associarsi. Eppure, c’è stato anche uno che mi ha invitato a “tornare in Africa” (non ho ben capito, ha scritto solo quello) e un altro che ha tirato fuori un argomento vecchissimo: non dovrebbe essere permesso a tutti di esprimere sul giornale le proprie idee, anche quelle apertamente razziste?

Chiunque si occupi un minimo di diritti umani, di leggi e convenzioni internazionali, sa che la risposta è no: nei paesi occidentali non esiste la libertà di professare idee razziste e anzi gli Stati si impegnano a vietarne la circolazione. Persino negli Stati Uniti, il paese tradizionalmente più liberale in questo senso, esprimere in pubblico idee discriminatorie può costare il posto di lavoro e la credibilità personale. Naturalmente varia da Paese a Paese la sensibilità, per cui negli Stati Uniti è soprattutto il razzismo verso i neri ad essere represso, mentre da noi c’è più attenzione a fermare la circolazione del nazismo e del razzismo verso gli immigrati. Ma nessun giornale di nessun paese civile avrebbe mai pubblicato con tanta nonchalance una lettera del genere.

Noi, purtroppo, ci stiamo sempre più distinguendo: abbiamo politici che invocano apertamente il divieto di professare la religione islamica o che intonano cori contro i napoletani. Non stupisce quindi che La Stampa del nuovo direttore Calabresi abbracci il perbenismo ipocrita e baciapile di ispirazione vaticana; del resto si sa che La Stampa è in odore di cessione dagli Elkann a Caltagirone, dunque a Casini, il prototipo dei vizi privati e pubbliche virtù. E’ però terribile notare come il nostro sia sempre più un Paese alla deriva, destinato a chiudersi, a ritornare agli anni ’50, alla caccia agli omosessuali e agli immigrati, alla repressione (in pubblico, poi i ricchi continueranno a farlo in privato) dell’aborto, dell’eutanasia e della fecondazione artificiale: un Iran cattolico, sempre più marginale e sempre più arretrato rispetto al resto del mondo. Naturalmente l’isolamento culturale porta anche la povertà materiale: poveri, razzisti e bacchettoni. Che bella prospettiva.

[tags]la stampa, torino, vita notturna, piazza vittorio, razzismo, discriminazione, omofobia, omosessuali, diritti umani, arretratezza, crisi, casini, calabresi[/tags]

divider
mercoledì 29 Luglio 2009, 11:51

Motivi poco noti per contestare Urbano Cairo

In questi giorni, nel mondo dei tifosi, è successo un fatto piccolo ma storico. Da sempre, i tifosi di calcio sono divisi in tre grandi categorie: gli ultras, i club e i tifosi non organizzati. Da sempre, la politica delle curve è fatta dagli ultras, e al massimo dal coordinamento dei club; sono loro a decidere quando si festeggia e quando si contesta, e spesso anche a fare e disfare i presidenti; al Toro, Sergio Rossi fu cacciato dagli ultras, mentre Urbano Cairo arrivò soprattutto grazie a loro. Le tre categorie non si mescolano quasi mai; gli ultras vivono nel loro mondo di “mentalità” e di rivalità anche fisica; i club vivono di feste, di amicizia, di trasferte insieme; per i tifosi sciolti il tifo si accende con il fischio d’inizio e finisce a fine partita.

Che tutto questo stia cambiando è evidente da un po’; gli ultras sono sempre di meno, decimati dalle leggi e dai divieti, ma anche da una società sempre più controllata e sempre meno “di strada”, e la Maratona non è certo più quella degli anni d’oro dal ’75 al ’95. In compenso, grazie a Internet sono nati “i forum”: se prima i tifosi non organizzati non avevano alcun mezzo per farsi sentire, ora sono diventati un nucleo di migliaia di persone che agiscono indipendentemente ma che sono in grado di organizzare e di esprimere una opinione in modo mediaticamente rilevante.

Per la prima volta adesso, grazie a un paio di assemblee aperte a tutti i tifosi, è emerso un tentativo di esprimere una opinione collettiva della tifoseria che possa essere sottoscritto da tutti – dai club come dai tifosi singoli. Non più un comunicato di un direttivo, ma un lavoro di tutti che chiunque può sottoscrivere (testo e indicazioni qui o qui o qui)… e che nasce per molte valide ragioni.

Nasce come critica costruttiva a Urbano Cairo, perché Cairo è difficilmente sostituibile in questo momento, ma criticabile per tante ragioni; le più importanti però sono pressoché sconosciute al grande pubblico, ed è per questo che vale la pena di spiegare un attimo alcuni punti del comunicato.

La critica a Cairo non è particolarmente legata ai risultati; i risultati non sono esaltanti ma nemmeno tremendi, se paragonati al Toro degli ultimi quindici anni. I problemi veri del Toro però sono altri; del resto non è possibile che giocatori vecchi o giovani, di nome o promettenti, si imbrocchiscano improvvisamente tutti dal primo all’ultimo arrivando a Torino, dunque ci deve essere qualche problema sistematico.

Cominciamo dal più banale: l’organizzazione societaria. In quattro anni il Toro ha cambiato otto volte allenatore, e quattro o cinque volte direttore tecnico/sportivo. In pratica, Cairo è un accentratore che prende tutte le decisioni e poi usa i propri collaboratori come capro espiatorio alla bisogna – oppure sono loro che se ne vanno, dato che a nessuno piace quel ruolo. La gestione della società è improntata alla promozione personale del suo proprietario e all’incremento della sua popolarità, fino all’assurdità continuata degli SMS e delle telefonate amorose che decine di tifosi scambiano col presidente, che risponde a ogni ora del giorno e della notte come un quattordicenne per difendere ad oltranza qualsiasi sua decisione.

Tutte le società di A e B e la maggior parte di quelle di Lega Pro hanno un proprio centro sportivo di proprietà o comunque un luogo unico per gli allenamenti di tutte le squadre, generalmente completo di foresterie per le giovanili e punto vendita per gadget e biglietti. Tutte, tranne il Toro, le cui varie squadre si allenano un po’ dove capita – la prima squadra alla Sisport, un impianto dove non c’è nemmeno una bandiera granata su un palo, e se un tifoso vuole andare a vedere l’allenamento rischia seriamente di non capire dov’è. Il famoso progetto di ricostruzione dello stadio Filadelfia è tutt’altro che uno sfizio da nostalgici; il Toro è stata la prima società in Italia, forse al mondo, a inventare questo modello di “base sportiva” che adesso è considerato normale e adottato ovunque, e che permette un circolo virtuoso in cui i professionisti di oggi fanno da esempio a quelli del futuro; è stato quello che ha permesso al Toro di diventare la società italiana più vincente della storia a livello giovanile, e di restare ai vertici negli anni ’70 e ’80 anche con meno risorse degli altri. Ma Cairo è talmente interessato al futuro del Toro che (oltre a non fare mai nulla di concreto per il Filadelfia) quest’anno per risparmiare 40.000 euro di stipendio ha licenziato Pigino – uno dei migliori tecnici giovanili d’Italia – e ha eliminato l’intera squadra dell’annata 1989.

Veniamo ora al trattamento dei tifosi, cioè dei clienti. Cominciamo dagli aspetti economici: dai 230 euro di abbonamento in curva dell’anno scorso in A (prezzo superato solo da Juve, Inter e Milan) si è scesi in B a 160; è comunque un prezzo da media serie A. In più il Toro è quasi l’unica società che non applica riduzioni in curva ai minori; o meglio, a furor di popolo, il giorno dopo la pubblicazione dei prezzi sui giornali, è stata introdotta al volo una riduzione a 90 euro per la sola curva Primavera, tante erano le proteste; in Maratona niente. Infine, per legge i minori di 14 anni hanno diritto a entrare gratis allo stadio, insieme a un adulto abbonato o pagante, in almeno metà delle partite; generalmente le società pubblicizzano per bene questa possibilità, ma il Toro non lo scrive da nessuna parte (del resto il sito del Toro è abbastanza imbarazzante) e se si insiste al centralino si scopre che la possibilità è limitata al solo settore di tribuna bassa (un posto dove abbonati non ce ne sono e dove l’adulto pagante sarà spennato per una visibilità pessima) e solo chiamando un 199 e spendendo vari euro per fare il biglietto “gratuito”. Tutte le società di calcio investono sui giovani e sulle famiglie; per esempio a Genova, per vedere l’alta serie A, una famiglia di due adulti e un bambino si abbona con circa 500 euro nelle tribune (non in curva). Da noi l’anno scorso il conto in curva faceva 690 euro; quest’anno, in B, sono 480 in Maratona e 410 in Primavera. Evidentemente a Cairo non frega niente di costruirsi un pubblico per i prossimi vent’anni… ma nemmeno per quest’anno (negli anni molte società retrocesse dalla A hanno messo gli abbonamenti a 100 euro per riempire lo stadio e facilitare la risalita). E stiamo parlando in totale di sconti per poche centinaia di migliaia di euro, che nel bilancio di una società professionistica contano davvero poco – molto meno delle perdite da mancata promozione per scarso entusiasmo nell’ambiente.

Anche sull’aspetto economico ci sarebbe da discutere; sicuramente Cairo ha speso parecchi soldi (male, pagando milionate di stipendio a giocatori bolsi e sul viale del tramonto), ma d’altra parte non ha speso un euro per l’acquisto della società; le sue campagne di mercato sono state tutte condotte al risparmio, puntando soprattutto a prestiti, acquisti a metà, ingaggi di quel che è rimasto libero all’ultimo secondo – e questo non è necessariamente un male, ma certo le spese non sono state stratosferiche. Ogni volta che va in televisione Cairo si bulla di quanti soldi ha speso, ma se uno va a vedere i bilanci del Toro scopre che l’ultimo finanziamento non è nemmeno stato messo come aumento di capitale, ma come finanziamento in conto soci – in pratica, un prestito da Cairo al Toro che il prossimo acquirente dovrà rimborsare. Le stesse sponsorizzazioni sono mal cercate e mal gestite; molti sponsor sono un regalo del caso (o meglio, di alcuni tifosi che costruiscono da soli le operazioni, per puro amore) e la società è pure riuscita a maltrattarli fino a farne scappare parecchi alla prima occasione.

Ma torniamo ai clienti: il Toro è una delle pochissime società che non si appoggia a una banca né per gli acquisti a rate né per la rete di vendita. In pratica, i biglietti del Toro sono acquistabili solo in poche tabaccherie; per dire, dalla val d’Aosta il punto più vicino è Aglié, e mezza Liguria deve andare fino a Genova; e non parliamo dei non pochi tifosi del Centro e Sud Italia (ci sono persone che, oltre a fare 1500 km ogni volta per vedere la partita, devono farne centinaia solo per comprare il biglietto). Anche a Torino, chi ha dovuto rinnovare l’abbonamento in questi giorni (scade oggi) ha avuto a disposizione solo una dozzina di tabaccherie, buona parte delle quali erano chiuse per ferie. Non parliamo delle partite fuori abbonamento: gli anni scorsi, per vedere la Coppa Italia o le amichevoli estive bisognava fare da un’ora a un’ora e mezza di coda alle biglietterie dello stadio. Quanto ai disabili, la società se ne è lavata le mani e ha affidato la gestione dei relativi posti al club dei Tori Seduti, che si smazza tutte le pratiche ogni volta (comprese quelle dei disabili ospiti), a fronte di posti in buona parte inagibili e della carenza di parcheggi riservati dentro l’impianto (vuoi mica far spostare le Porsche dei giocatori). Non è certo un segno di grande interesse per i propri clienti.

Tutto, insomma, fa pensare a una gestione abborracciata, mirata all’esposizione personale di Cairo, senza alcuna programmazione o investimento per il futuro; e non si capisce se è perché Cairo aspetta soltanto l’offerta buona per vendere, o se veramente questo è lo stile gestionale del personaggio.

Ma non è finita qui: ci sono cose più inquietanti. Da quest’anno la società, di sua iniziativa pare unica in Italia, ha messo un limite al numero di abbonamenti acquistabili per persona: quattro. Cosa vuol dire? Vuol dire che tutti i club, che da mezza Italia si organizzavano e mandavano una persona sola a fare gli abbonamenti per tutti, non possono più farlo. Di fatto, dato che questo era il motivo principale per cui molti si iscrivevano al club, vuol dire segare le gambe ai club. Perché?

Credo che la cosa sia collegata alla crisi della Maratona: come tutti hanno potuto osservare, per gran parte della scorse stagione la curva è rimasta spoglia, senza striscioni o quasi, senza coreografie, senza le insegne di molti gruppi storici, talvolta senza nemmeno andare ufficialmente in trasferta. E’ come se il tifo organizzato non esistesse più, ma cosa c’è al suo posto?

Io non lo so, perché non frequento quella curva, ma mi limito a registrare le bruttissime voci che ormai girano apertamente. Per tutta la stagione passata, di fronte alla Maratona, c’erano dei bagarini che vendevano a venti, trenta, cinquanta euro centinaia di biglietti marcati “omaggio” per una curva teoricamente esaurita dagli abbonamenti. Ora, gli omaggi esistono solo per gli sponsor e gli amici della società, ma sono in numero limitato e non certo per la curva… Tutto questo alla faccia del biglietto nominale e dei controlli dei documenti che dovrebbero essere fatti all’ingresso, dalla società e dalla polizia. Io non so come sia possibile, ma mi limito a fare un rapido conto: 250 biglietti per 20 euro (a tenersi stretti) per 19 partite sono 95.000 euro l’anno in contanti; ce n’è abbastanza per tutti senza nemmeno arrivare all’altro noto business delle curve, quello di “chiedere” una percentuale sulla vendita di magliette, cappellini, sciarpe e così via (in certe curve vige anche il dazio sull’esposizione di striscioni e sull’organizzazione di trasferte).

Da un po’, su Forzatoro.net, c’è una “running gag”: quando si comincia a parlare di questa cosa, qualcuno posta un panorama di una ridente località denominata Pizzo Calabro. Questo lo sa Cairo, lo sa la Digos, lo sanno assolutamente tutti; evidentemente gli va bene così.

Capite allora come una lettera come quella di oggi vada sottoscritta di corsa; e poi ci si chiede ancora perché non contestare Cairo…

[tags]serie a, calcio, toro, ultras, cairo, pizzo calabro[/tags]

divider
martedì 28 Luglio 2009, 17:38

Mele piccole e soffici

Oggi mi arrabbio con Apple; anche se il mio nuovo MacBook Pro è un bell’oggetto e ha un sacco di vantaggi, c’è una cosa che mi fa arrabbiare moltissimo.

Tutto è cominciato quando, usando OpenOffice col nuovo portatile, improvvisamente i miei documenti hanno cominciato ad allargarsi e rimpicciolirsi da soli. Sei lì che scrivi, poi magari cerchi di selezionare una frase col trackpad, o semplicemente muovi il puntatore, e il tuo documento in un millisecondo diventa enorme o minuscolo – e in quest’ultimo caso il cursore viene anche portato sulla prima pagina e devi poi scorrerlo tutto di nuovo.

Per un po’ di tempo mi sono adattato cercando di capire cosa succedeva, poi mi sono rotto le scatole e ho fatto qualche ricerchina. E ho scoperto questo, che è solo uno dei tanti: uno di tanti thread di utenti Mac furiosi per questa situazione.

Già, perché – come spiega bene questo blog – il problema è dovuto a una delle meravigliose caratteristiche del nuovo “trackpad senza bottone” introdotto dalla Apple: in pratica, con un gesto di due dita che si allontanano o si avvicinano, è possibile ingrandire o rimpicciolire l’immagine. E’ comodissimo (pare) in iPhoto: peccato che io, come altri milioni di clienti Apple, non usi il mio Mac da una capanna sulla spiaggia per apprezzare i più minimi dettagli delle mie foto di surfisti californiani, ma lo usi per lavorare – e scrivere documenti senza impazzire ne è una componente fondamentale. D’altra parte, chi di noi non ha mai sentito l’esigenza di zoomare il proprio documento da 100% a 1% in una frazione di secondo con un solo semplice gesto?

Beh, direte voi, che problema c’è? Basta disabilitarlo… e invece no: non si può. Se uno apre le preferenze di sistema e va alla gestione del trackpad, esiste l’opzione “Pinch Open & Close”… ma non esiste una checkbox per abilitarla o disabilitarla: c’è e te la tieni, perché Apple ha deciso per te. In particolare, dopo averti abituato per anni a usare il trackpad a due bottoni cliccando con l’indice, ha deciso di renderti la vita impossibile. E meno male che i prodotti Apple dovrebbero essere il massimo dell’intuitività: la situazione è talmente disperata e invalidante che Adobe ha rilasciato prontamente un plugin-antidoto per Photoshop. Qualcuno ha anche trovato una soluzione per Firefox e Safari – e nei commenti suggeriscono di incollare sul trackpad un pezzetto del tappo di un contenitore Tupperware. Eppure, nonostante mesi di furia degli utenti, Apple non è ancora stata capace di rilasciare una patch per disabilitare il gesto in tutte le applicazioni.

Mi sa che le mele di Cupertino, un tempo belle dure e robuste, con il successo sono diventate piccole e soffici: voleranno anche loro giù dalle finestre?

[tags]apple, mac os x, trackpad, zoom, bachi, interfaccia utente, steve jobs crepa, aziende che se la tirano troppo[/tags]

divider
lunedì 27 Luglio 2009, 13:06

Un aiuto ai viaggiatori

Sì, sono in montagna. Collegato col cellulare, che prende e non prende. Fermamente intenzionato a non essere troppo coinvolto dal gorgo del flusso informativo globale. Posterò, ma quando capita.

Però sono sempre disponibile ad aiutare gli altri, e così quando ho visto nella mail l’avviso di un messaggio privato su Tripadvisor ho dedicato ancora un po’ di connessione a 13 kbps per andarlo a leggere. Tripadvisor è il mio strumento preferito per trovare alberghi, ristoranti, attrazioni e altre indicazioni quando viaggio all’estero: mi sono sempre trovato bene, e per questo motivo cerco di contribuire pubblicando le recensioni degli alberghi in cui sto.

E così, riguardo al The Pod di New York (buffo ma moderno albergo in piena Midtown che raccomando se avete un budget limitato e non ve ne frega troppo della dimensione della stanza e del letto, altrimenti lasciate stare) mi è arrivata la seguente richiesta:

“Ciao vbertola,,perdonami del disturbo,,ma devo prenotare l’hotel x new yorke sn disperato
Ho visto che 6 stata al POD..vorrei prenotare anch’io, ma ancora riesco a capire se la DOUBLE POD ROOM(quella che voglio prenotare io x due adulti,cioè io + la mia donna)è con bagno privato.Sai non vorrei il bagno comune.
Un ultima domanda, tu da dove l’hai prenotato l’hotel POD?on-line dal sito dell’hotel?expedia,?agenzia, si può fare anche con la postepay?Grazie inifinite e scusa del disurbo ma sono disperato ed ho paura di sbagliare.
Buona serata”

Ora io son ben contento di dare due dritte a uno skonsct ke e disperato e ha la barra spaziatrice rotta, e posso anche sorvolare sul fatto che basterebbe leggere le descrizioni e le pagine dei vari siti (poi mica è obbligatorio sapere l’inglese per andare a New York). Ma il fatto che mi considerino una tipa sl perkè il mio nick finisce x “a”, questo proprio no!

[tags]turismo, alberghi, new york, tripadvisor, italiano, kkkk, da dv dgt?[/tags]

divider
venerdì 24 Luglio 2009, 18:53

Malattie incurabili

Sì, è vero, noi tifosi del calcio – noi del Toro in particolare – siamo spesso lamentosi e complottisti. Quando scrissi che il Genoa (il cui presidente Preziosi è tuttora inibito per cinque anni per illecito sportivo) nel finale di campionato era stato tutt’altro che sportivo, e che nell’ambiente tutti parlavano di spintarelle di vario genere date al Bologna per restare in serie A, probabilmente sembravano soltanto dei vaneggiamenti da malato di tifo, non quello incurabile al 10% ma quello incurabile al 100%. Certo leggere dopo un mese l’annuncio di Moggi assunto come dirigente dal Bologna fece venire qualche perplessità anche ad altri, tanto è vero che la società fu costretta a fare rapida retromarcia e comunque a subire una inchiesta sportiva e persino l’onorevole ira dei propri tifosi.

Ma allora come si devono sentire ad Alessandria? Dopo aver dominato il campionato di seconda divisione (l’ex C2), persero la finale decisiva per salire di categoria contro il Como anche per un arbitraggio davvero strano, con una espulsione dopo pochissimi minuti e un’altra più tardi che segnarono la partita a svantaggio dei mandrogni. E in questi giorni cosa leggono sui giornali? Che il Como neopromosso sta per venire comprato da Marcello Dell’Utri, in società con Feltri e la Santanché.

Sicuramente non ci sarà nulla di strano sotto; tutto normale, tante belle partite segnate dalla massima sportività. Certo che la credibilità del nostro calcio ormai si avvia a raggiungere quella del nostro ciclismo (praticamente ogni ciclista italiano che abbia fatto qualcosa di decente a livello internazionale negli ultimi due anni è prontamente stato beccato per doping).

Ma allora, perché io in questi giorni sto guardando il Tour de France e domani andrò a rifare l’abbonamento al Toro? Per vedere sport truccati, non faremmo prima ad abbonarci al wrestling sulla pay-tv? Evidentemente c’è qualcosa di incurabile che ci tiene legati…

[tags]sport, calcio, ciclismo, toro, alessandria, bologna, genoa, como, dell’utri, doping[/tags]

divider
giovedì 23 Luglio 2009, 13:51

Tre case per un albergo

Dunque ricapitoliamo. Non più tardi di ieri La Stampa pubblica un articolo che spiega come i maggiori alberghi di lusso cittadini siano sull’orlo del fallimento, pronti a essere trasformati in alloggi; a cui si aggiunge poi la notizia della chiusura di un altro albergo. Oggi naturalmente la Pravda sabauda pubblica in bella evidenza un nuovo articolo in cui si rassicura la cittadinanza sul fatto che le notizie di ieri erano false e in realtà tutto va bene: non sia mai che a Torino ci sia qualcosa che non va meravigliosamente, addirittura ci dicono che “Reggia di Venaria” è fra le “cinque più gettonate in assoluto” (nel mondo!) tra le parole che i turisti “cliccano sul Web”, qualsiasi cosa ciò significhi.

Nel frattempo si scrive un altro bell’articolo per descrivere la nuova grande idea per il recupero del Palazzo del Lavoro (già di suo un obbrobrio che ricorda la miglior architettura comunista di Bucarest) cioè metterci dentro un centro commerciale – l’ennesimo, a un chilometro dall’8 Gallery, in un momento in cui soltanto sabato scorso metà dei centri commerciali cittadini erano paralizzati dagli scioperi contro i tagli derivanti dalla crisi. E in fondo all’articolo si aggiunge: già che ci siamo, sull’Alenia di corso Marche vogliamo fare un grattacielo alto cento metri (il quarto o quinto della città) e l’immancabile albergo; a questo punto davvero inutile se non come collettore di finanziamenti pubblici per il turismo, dato che gli altri stanno chiudendo e che a due isolati da lì c’è l’Holiday Inn di piazza Massaua permanentemente semivuoto.

E’ evidente che queste vicende sono collegate a speculazioni immobiliari, sfruttando spesso l’ampia disponibilità (per gli amici) di fondi pubblici di varia provenienza ed etichettatura; e questa crisi degli alberghi costruiti per le Olimpiadi, ampiamente sovvenzionati da noi, proprio non mi spezza il cuore se non per il destino dei dipendenti. La faccia tosta è tale che, buttata lì come fosse cosa da niente dentro l’articolo sulla chiusura del Jolly Hotel Ligure, c’è un “commento” proveniente da Palazzo Civico che anticipa l’idea che il costruendo albergo di lusso nella ex casa Gramsci di piazza Carlina – quella che fu assegnata dal Comune con un’asta contestata alla Immobiliare Galileo dei soliti De Giuli della De-Ga, invece che agli svedesi Radisson – venga tranquillamente trasformato in lucrosissimi appartamenti prima ancora di aprire (ammesso che ci stiano lavorando davvero, alla trasformazione in albergo, e che non stiano semplicemente aspettando la prevista variante d’uso in modo da non dover nemmeno fare i lavori due volte). Ma no! Chi l’avrebbe mai detto!

Peccato che, invece di avere dei giornalisti che chiedono conto a Chiamparino & c. di queste evidenti contraddizioni (per non dire di peggio), abbiamo dei giornalisti che le propagano scodinzolando…

[tags]torino, urbanistica, crisi, alberghi, turismo, reggia di venaria, speculazioni edilizie, centri commerciali, palazzo del lavoro, chiamparino[/tags]

divider
mercoledì 22 Luglio 2009, 16:37

Assuefazione

Ci sono parecchie notizie interessanti dall’Italia che potrei postare oggi.

Ma sono tutte negative.

E allora ci si assuefa: ormai la crisi è normale, la precarietà è normale, l’insicurezza sul lavoro o per strada è normale, lo spaccio è normale, lo spreco di risorse pubbliche e i privilegi per pochi sono normali. E’ anche normale trovarsi in mezzo non ai tentativi di migliorare le cose, ma a quelli di scaricare la colpa su qualcun altro o di dimostrare che sì, ci si è comportati male, ma in giro c’è ben di peggio quindi non rompete le scatole.

Dunque fate finta che anche oggi io mi sia normalmente indignato; l’effetto pratico sarà uguale.

[tags]italia, crisi[/tags]

divider
martedì 21 Luglio 2009, 16:04

Commento critico a “Una bloggata eccezionale”

“Con “Una bloggata eccezionale” il Bertola raggiunge vertici insuperati nel genere letterario del “blog d’autore”, affermatosi con grande rilievo nei primi anni Duemila. Si tratta di un duplice post che l’autore effettuò sul suo blog personale tra il 20 e il 21 luglio 2009, il cui testo può essere reperito qui e qui.

Il piano superficiale dell’opera, evidente, è dato da un sottile dileggio verso la scena sociale e culturale in cui l’autore si trova ad agire ma in cui evidentemente non si ritrova. Con un tono fintamente aulico, numerosi artifici retorici tipici della satira di costume vengono impiegati per costruire un crescendo di feroce sarcasmo, che viene poi brutalmente interrotto rimandando a “domani”, come se il post rappresentasse la presentazione enfatica e vacua di un qualsiasi grande evento televisivo, però resa da un presentatore ignorante, incapace e destinato a rendersi ridicolo da solo. Se la lettura letterale del testo può dunque portare a interpretarlo come un banale “trailer”, ignorando o mancando di notare gli errori e le assurdità del testo, anche il lettore un po’ più attento e consapevole si limiterà ad individuare in tali errori e in tali assurdità un banale espediente per incrementare la comicità e l’attrattività della presentazione.

E’ proprio questo, tuttavia, che porta fuori strada il processo di assimilazione del testo. Vi è, infatti, un piano di lettura subito sottostante, in cui l’oggetto del discorso non è il testo ma il suo autore. In questo senso “Una bloggata eccezionale” rappresenta volutamente la messa a nudo, la distillazione essenziale del post medio di moltissimi blogger, nonché dell’autore stesso; partendo dall’esporre le motivazioni psicologiche del bloggare – stupire e attrarre il lettore, farsi ricordare, ottenere riconoscimento tra pari – il testo elimina completamente il proprio contenuto, riducendo la bloggata ai suoi veri scopi e insieme evidenziando come tali scopi siano del tutto disconnessi dal contenuto; bloggare, insomma, non come strumento per comunicare ma come strumento per inserire se stessi in un contesto sociale. Sottilmente ma chiaramente, il post evidenzia come per l’autore il contenuto dei propri post sia in fondo poco rilevante, tanto da poter essere tranquillamente rimandato al giorno successivo, mentre l’essenza dello scrivere stia nello scrivere stesso.

Ma il contenuto più profondo e recondito del messaggio sta nascosto bene in fondo, destinato a chi riesca ad isolarsi dal sovraccarico informativo e dalle ondate testuali che – tramite il Web, tramite la mail, tramite Facebook e tutti gli altri sistemi di comunicazione elettronica – sommergono il lettore del tempo: a questi il post regala un quadro impressionistico ed intimista della situazione dell’autore come giovane uomo del ventunesimo secolo, un quadro vibrante nel suo essere appena accennato. Racchiusa tra la propria esigenza di emergere e la realtà della propria improduttività, tra gli estremi sogni d’infanzia di ognuno di noi e lo scontro con la normalità di una esistenza precaria, sta la condizione umana in tutta la sua fallibilità. Come un Grisù aspirante pompiere, non manca giornata in cui l’autore si alzi e cominci a scrivere il proprio capolavoro, la propria bloggata eccezionale; e non manca giornata in cui, alla fine, essa si concluda con un deferimento al giorno successivo, accompagnato da una fatua reiterazione della propria (in realtà vacillante) determinazione. Aspettando in eterno il Godot della propria affermazione letteraria, egli chiude così perfettamente il cerchio di una ieratica e infinita coazione a ripetere.

Una nota merita infine la scelta, questa sì innovativa, di far seguire al post un finto commento critico, a firma di un sedicente e ignoto Alberto B., che, con un linguaggio tronfio e pretenzioso, ne spiega il significato ai lettori. Secondo l’epistolario del Bertola così come ritrovato nel suo comodino, la scelta è tutt’altro che casuale, e anzi il secondo post va considerato parte integrante dell’opera esattamente come il primo. Si realizza così un’opera complessa e sfaccettata, nella quale il significato emotivo (contenuto nel post) e quello razionale (contenuto nel commento) vengono prima separati e poi di nuovo fusi insieme, in un rituale incontro-scontro tra materializzazioni opposte dello stesso vissuto. Se così facendo l’autore si assicura che la sua opera venga effettivamente compresa, allo stesso tempo egli realizza una dualità metalinguistica senza precedenti, se non forse per quel filone di arti visuali dove un quadro è composto dalla fotografia di un quadro e così via. Aggiungendo all’opera la dimensione del tempo, essa diviene quindi un fulgido esempio di “performance art digitale” di cui anche i lettori-fruitori, catturati non solo come spettatori ma anche come commentatori attivi, divengono parte attiva per tutto il periodo della performance, compreso tra il primo ed il secondo post.

Alberto B.”

divider
lunedì 20 Luglio 2009, 15:40

Una bloggata eccezionale

Oggi – preparatevi – farò una bloggata eccezionale.

Uno di quei post che segnano la storia della blogosfera, che rimangono nella memoria e negli archivi di tanti, che vengono linkati e commentati ancora dopo anni. Uno di quei post che immediatamente interrompono il lavoro in tutti quegli uffici – e sono tanti – dove l’indefessa operosità dell’italiano medio può ancora, ma solo in casi veramente eccezionali, lasciare spazio a dieci minuti di ricreazione, pur se prontamente recuperati alla fine della giornata.

Uno di quei post che portano le persone a riflettere sul senso della vita, a rivedere in profondità le proprie convinzioni, a riconoscere i propri difetti e a ripromettersi di porvi rimedio; uno di quei post che svelano notizie mai sentite, retroscena fondamentali e gravi della storia patria, vergogne che tutti avremmo preferito dimenticare e invece no, arriva Internet e non perdona, e spara la verità su di un blog e di lì su un altro e poi ancora su un altro, e poi sui social network e nelle chat, fino a che ogni italiano saprà, si indignerà, si adirerà, si infurierà e poi dall’alto dell’esasperazione prenderà una birra e si rimetterà a guardare il Grande Fratello in televisione.

Uno di quei post che differenziano il blogghettino carino ma sterile, il diariuccio personale di interesse solo per gli amichetti, dall’olimpo dei blog nazionali; che, in una scena bloggarola italiana caratterizzata dall’altissimo livello letterario, dalla profonda dedizione al giornalismo senza compromessi e dalla spietata selezione meritocratica, permette infine di far arrivare i bloggher di qualità fino alla direzione nazionale di un partito o al ruolo di opinionista di un quotidiano, grazie ad illuminati dirigenti capaci di “distinguere il grano dall’olio”.

Ecco, quello di oggi è proprio uno di quei post.

Però lo scriverò domani.

[tags]blogosfera, letteratura, meritocrazia, italia[/tags]

divider
 
Creative Commons License
Questo sito è (C) 1995-2024 di Vittorio Bertola - Informativa privacy e cookie
Alcuni diritti riservati secondo la licenza Creative Commons Attribuzione - Non Commerciale - Condividi allo stesso modo
Attribution Noncommercial Sharealike