Obama go home
Ieri si assegnavano le Olimpiadi 2016 e la suspense era tutta per la sfida tra Rio de Janeiro e Chicago: da una parte una delle città più affascinanti e favolose del pianeta, in una delle grandi nazioni emergenti (l’unica delle prime dieci economie mondiali a non aver mai ospitato i Giochi, sottolineava Lula) e in un continente a cui mai, nella storia, le Olimpiadi erano state assegnate; dall’altra la città del presidente Obama, spinta dalla pressione degli sponsor e dei media americani.
Onestamente, a chiunque osservasse le cose con imparzialità , la scelta pareva ovvia. Solo un americano poteva pensare che una città statunitense di seconda scelta (manco hanno candidato New York o Los Angeles…) potesse prevalere su Rio, ma anche su Tokyo o sulla capitale europea di turno. Era successo solo per Atlanta, ma lì dall’altra parte c’erano Atene, Manchester e Toronto, mica Rio, Madrid e Tokyo; e nonostante questo già quella volta l’assegnazione era stata considerata un mezzo scandalo, con il CIO accusato in tutto il mondo di essersi venduto ai soldi della Coca-Cola – certo una esperienza che il CIO non avrebbe ripetuto volentieri.
E solo un americano poteva pensare che mandare il Presidente e sua moglie a far propaganda per la loro città di residenza, peraltro andandosene prima del voto, potesse aiutare la causa: in realtà ha fatto sembrare che gli Stati Uniti considerassero le Olimpiadi con tale sufficienza da poterle usare come regalino politico del loro Presidente per amici d’infanzia e sostenitori stretti, e fossero talmente sicuri di questo da non degnarsi nemmeno di restare qualche ora in più per assistere al voto, tipo “siamo venuti e vi abbiamo detto cosa dovete fare, ora fate i compiti, da bravi”.
Un tale coacervo di arroganza è stato commentato chiaramente dai membri del CIO: Chicago, la favorita, fuori al primo turno. E dato che nei corridoi di queste organizzazioni internazionali chi vota per chi è deciso e noto a tutti in anticipo, non è assolutamente un caso, ma un messaggio chiaro: Obama go home.
L’unica nota negativa di questo risultato è che i giochi 2020 saranno certamente nel Nord del mondo, dunque (a meno che gli americani non si sveglino ricandidando New York) quasi certamente in Europa, e, dato che è dal 2004 che non ci candidiamo mentre nel frattempo le altre grandi nazioni europee ci hanno provato più volte, è facile presumere che una candidatura italiana per il 2020, sospinta da nuovi appetiti di cemento, possa avere discrete chance. Infatti, stamattina già litigano Alemanno e Cacciari: Roma o Venezia? Aspettando le inevitabili candidature aggiuntive di Milano e Napoli, ci sarà da divertirsi.
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