Il segretario del PD? Lo decide la ndrangheta
Per completare il bel quadretto di cui parlavamo a livello locale l’altro giorno, non c’è niente di meglio che affiancarne uno nazionale: quello disegnato da Termometro Politico a proposito della distribuzione delle tessere del PDmenoL.
Siccome i dati tecnici possono non essere immediatamente comprensibili, ve li spiego io: quello che loro hanno fatto è di confrontare il numero di tessere del PD esistenti in una data provincia con i voti ottenuti dal PD alle ultime elezioni. Di norma, anche per un (ex) partito popolare come il PD, i tesserati sono più o meno un decimo dei voti; esagerando, possiamo pensare che in province dove il tesseramento è particolarmente efficace si arrivi a un quinto, ossia ad avere cinque voti per ogni tesserato – già un quinto è davvero tanto.
Un quinto vuol dire una percentuale tesserati/voti del 20%; eppure ci sono tutta una serie di province dove tale percentuale sale al 30 o addirittura al 40 per cento. Si può pensare che queste siano province dove, per via di dirigenti locali particolarmente amati o di questioni particolarmente pressanti, c’è stato un afflato collettivo di desiderio per iscriversi al PD; oppure si può pensare che siano province dove ci sono state manovre di tesseramento “a pecora”, di gente che magari nemmeno capisce di essere stata tesserata a un partito e che probabilmente non vota nemmeno il PD, per usare poi i blocchi di tessere per vincere la battaglia congressuale locale a vantaggio di Bersani o di Franceschini.
Ma quali sono queste province? In tutto il Nord la percentuale sta tra il cinque e l’otto per cento: perfettamente normale. In Emilia, Toscana e Umbria siamo decisamente più su, attorno al 10-15 per cento, e ci sono punte clamorose in alcune piccole zone geografiche, come Imola o Piombino; tuttavia sono regioni dove il tesseramento al partito è una tradizione, e sulle zone più piccole anche la statistica ha un valore relativo. Più si va verso sud, più le percentuali salgono, e i casi di province dove ci si avvicina o si supera il 20 per cento diventano la norma, segno di una certa abitudine al tesseramento di massa. Ma c’è una sola regione dove il fenomeno è totale:
In Calabria, tutte le province superano il 20 per cento, e a Vibo Valentia e Crotone si è attorno al 40 per cento: un tesserato ogni due-tre voti al PD.
Per chi votano queste province? In mezzo a tutto il bla bla dell’analisi quantitativa, Termometro Politico offre la seguente spiegazione: il voto congressuale per Franceschini è più o meno indipendente dalla percentuale; il voto per Marino cala nelle province con percentuale alta, dove invece aumenta quello per Bersani.
Quello che vi dico non è un segreto; in maniera più colorita, ne aveva parlato persino Repubblica pochi mesi fa. Del resto, ci sono altri dati strani: per esempio, se la media nazionale di iscritti in ogni sezione del PD è attorno alle cento persone, a Napoli ci sono 624 iscritti per sezione. Ma fa un certo effetto pensare che non sempre, quando si parla di “grande partecipazione dal basso”, ciò è un segnale positivo; e che in una parte consistente del Paese, che influenza pesantemente le decisioni nazionali, i partiti (certo non solo il PD) sono in mano a consorzi d’interesse di dubbia origine.
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