Sulla censura di Google Images, ovvero i nervi a fior di pelle
È partito come un tam tam su Facebook e sui blog, con tanto di cronaca ora per ora, ed è arrivato fino ai giornali: Google ha cominciato a censurare le immagini di Berlusconi ferito! E non solo Google, ma anche Yahoo e Virgilio, mentre, pensate un po’, gli unici due motori di ricerca non censori sarebbero stati Bing di Microsoft e il cinese Baidu, dove la faccia smaciullata di Silvio è ampiamente disponibile.
Effettivamente, andando su Google Images e cercando “berlusconi ferito“ o “berlusconi aggredito“ non si trova alcuna immagine di Silvio sanguinante; neanche mezza, neanche disabilitando le varie protezioni per i minori. Ancora più inquietante è cercare “massimo tartaglia“ e scoprire che l’aggressore di Berlusconi apparentemente non è mai esistito: Google restituisce solo amene foto di sconosciuti in spiaggia o al matrimonio.
Io dubito di tutti e dubito anche di Google, e però la spiegazione fornita da Google, anche se in un linguaggio un po’ poco comprensibile alle masse, mi sembra credibile: semplicemente, dicono loro, il nostro motore di ricerca per immagini ci mette parecchi giorni a digerire il nuovo materiale pubblicato sulla rete, dunque le immagini di un fatto accaduto domenica sera appariranno solo tra qualche giorno – mentre, come effettivamente accade, tali immagini sono immediatamente disponibili in Google News o tramite le normali ricerche Web, che usano un indice diverso e aggiornato quasi in tempo reale.
Per smentire la spiegazione di Google e provare la teoria della censura, sarebbe necessario avere osservato una ricerca su Google Images, effettuata lunedì o martedì, che restituisse le immagini incriminate; oppure trovare varie immagini di lunedì e martedì già presenti nell’indice. Io non ho verificato alcuno di questi casi e non ho visto da nessuna parte qualcuno che asserisca di averlo fatto; solo persone che hanno iniziato a fare la prova martedì sera e non hanno trovato le immagini.
Questa vicenda, però – oltre a dire a quelli di Google che il loro motore di ricerca di immagini non è abbastanza performante e che devono trovare un modo di inserire subito le immagini relative ai fatti di cronaca più eclatanti – ci dice molto su quanto a fior di pelle siano i nervi di tutti in questi giorni; e insieme, su quanto abbiamo imparato a fidarci della rete, tanto che se scrivendo “massimo tartaglia” non ci viene fuori la faccia di quel Massimo Tartaglia il nostro primo pensiero non è che il sistema tecnologico non funzioni come ci attendiamo e non sia così onnipotente come ormai diamo per certo, ma che ci sia stata una operazione di cancellazione in stile grande fratello.
L’uomo è un animale che vive solo grazie ai propri sensi, senza i quali è perso. Se in origine per vivere ci era sufficiente vedere, ascoltare, annusare e toccare ciò che ci stava immediatamente intorno, ora la nostra società è talmente complessa che il nostro futuro dipende da ciò che accade a centinaia o migliaia di chilometri di distanza: dunque anche la comunicazione di massa diventa per noi vitale.
Ma se l’uomo di qualche decennio fa si fidava quasi ciecamente della televisione, ormai abbiamo capito tutti che tale fiducia è mal riposta; di conseguenza, il nostro futuro dipende da informazioni della cui autenticità siamo continuamente costretti a dubitare. E’ come se non fossimo sicuri se ciò che vediamo esista davvero; e in un mondo in cui non possiamo contare sulle nostre percezioni ci sentiamo davvero persi, un po’ come quando salta la luce e siamo costretti a muoverci al buio per casa, e persino un ambiente perfettamente noto e familiare diventa d’improvviso misterioso e fonte di paura.
Questa sensazione di non potersi più fidare di niente e di nessuno è davvero alla base della disgregazione della nostra società ; perché in una condizione del genere siamo soli, o al massimo racchiusi nel nostro clan di poche persone intime, o al massimo trasformati in adoratori privi di dubbio di questo o quel leader che ci dia sicurezza. La manipolazione dei media ha dunque responsabilità profonde nello sfacelo italiano; non è soltanto questione di censura e controllo, ma di paura e insicurezza indotta.
C’è una situazione distante migliaia di chilometri da cui davvero dipende il nostro futuro, e non è la faccia insanguinata di Berlusconi: è il summit di Copenaghen, di cui da domenica sera in Italia (ma solo in Italia) non parla più nessuno. Se c’è un buon motivo per avere i nervi a fior di pelle, lo si trova senz’altro laggiù.
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