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domenica 30 Marzo 2008, 12:07

Giornalisti in Cina

Dopo aver visto la qualità dei giornalisti nostrani, non posso che segnalare con ancora più convinzione questa splendida intervista di Hardtalk, programma giornalistico della BBC, a Wu Jianmin, uno dei portavoce del governo di Pechino.

Si nota subito come, all’estero, i giornalisti non si facciano problemi a incalzare l’intervistato sulle domande più scomode, invece di disporsi a novanta gradi sin dalla prima battuta; tanto che già verso il quarto minuto il cinese comincia a sbattere furiosamente e incontrollabilmente le sopracciglia, una azione che nella cultura locale significa “se io non fossi così bene educato, ti avrei già strappato le palle a morsi per poi immergerle in una salsa piccante e mangiarle per cena”.

Soprattutto, questa intervista rende in modo drammatico lo scontro di culture politiche e sociali che è in atto in questo periodo storico. Il giornalista inglese e il diplomatico cinese proprio non si capiscono, parlano due lingue incompatibili; il primo chiede dei diritti umani, e il secondo risponde che c’è lo sviluppo economico, e non è forse la ricchezza il più importante diritto umano, quello che cambia la qualità della vita delle persone molto più della libertà di parola? Il giornalista chiede perché non si possa vedere la televisione straniera in casa, e il diplomatico risponde che la televisione straniera non interessa a nessuno, è in inglese, e che comunque gli occidentali continuano a valutare la Cina secondo i propri modelli culturali invece che secondo quelli dei cinesi. E poi si parla di dinamiche politiche interne, di pericoli di instabilità, e di altre questioni che i nostri media non ci hanno mai raccontato.

Comunque la pensiate sulla Cina, è un pezzo che vale la pena di vedere.

[tags]cina, tibet, diritti umani, bbc, giornalismo[/tags]

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Un commento a “Giornalisti in Cina”

  1. Alberto:

    Mah, in realtà nelle parole di Wu Jianmin riecheggiano le parole di tanti altri dittatori, che siano cubani, cileni, sovietici o anche europei. Il punto è che qualunque dittatura ha bisogno di giustificare la non concessione delle stesse libertà che paesi limitrofi concedono ai proprio cittadini e questo vale in qualunque parte del mondo. Alcuni giustificano questo su base storica, sociale, culturale ma ad ogni latitudine e longitudine il problema è lo stesso. Attiene semplicemente alle dinamiche del potere il fatto di poter essere legittimato attraverso un consenso sociale o attraverso la forza e, se debbo ricorrere alla seconda opzione rispetto alla prima cerco di spiegare questo sulla base di specificità più o meno fondate che spesso, come in questo caso, fanno riferimento a peculiarità culturali che alimentino l’orgoglio nazionale. E’ poi certamente vero che queste specificità possono essere tra le ragioni per le quali in alcuni paesi vigono sistemi democratici ed in altri no, ma questo non significa che la libertà di opinione sia incompatibile con la cultura cinese e che chi sostiene il contrario lo fa perché non conosce tale cultura.
    D’altra parte se in Cina vengono arrestati ogni giorno più oppositori politici che ladri forse è perché anche tanti cinesi la pensano così e, almeno a loro, credo non si possa muovere l’accusa, mossa al giornalista inglese, di guardare la Cina con occhi “occidentali”.

 
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