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Archivio per il mese di Marzo 2008


giovedì 6 Marzo 2008, 12:58

Morti bianche e coscienze da pulire

Dopo l’ennesima tragedia sul lavoro, si è riaperta la bagarre sui media e nel mondo politico: bisogna assolutamente fare qualcosa. Naturalmente la soluzione è “ovvia” a tutti: servono più regole – evidentemente non ce ne sono abbastanza – e naturalmente sanzioni durissime per le imprese; anche perché siamo a un mese dalle elezioni, e gli operai votano, mentre le imprese no. E’ il solito giochetto ipocrita in cui ai vari partecipanti nella recita non potrebbe importare di meno degli operai; bisogna soltanto pulirsi la coscienza e mettersi in luce sui giornali.

Peccato che, a fronte di aziende che appaiono già a prima vista scientemente colpevoli di mancata prevenzione come la Thyssen-Krupp, la maggior parte dei casi di morte bianca riguardi quel mondo polverizzato delle microimprese che è così tipico dell’Italia; e quindi, il fantoccio del manager cattivo che sfreccia sul suo Cayenne sghignazzando alle spalle dei poveri operai è un po’ più difficile da trovare, e anzi si giunge alla conclusione sconsolata del procuratore di Molfetta che allarga le braccia e dice che il colpevole era lì sottomano, peccato che sia morto anche lui nell’incidente.

Il concetto di “sicurezza” è semplice in apparenza, ma difficile da definire: è profondamente personale e anche profondamente culturale. Del resto, queste sono foto che ho scattato io a Pechino tre mesi fa:

DSC01969.JPG
DSC01973.JPG

Da noi, un cantiere dove l’impalcatura non ha nemmeno le assi, e gli operai camminano tranquillamente sui tubi, se va bene imbragati ma più spesso no, non sarebbe comunque concepibile; là è la normalità.

In più, certi lavori sono pericolosi per definizione; si possono e si devono prendere tutte le precauzioni possibili, ma un pompiere o uno che svuota cisterne di gas velenoso sono sempre soggetti all’errore, quando non all’imponderabile. Non credo che il titolare dell’azienda di Molfetta, che si è calato nella cisterna cercando di salvare i propri operai ed è morto anche lui, possa aver coscientemente lesinato sul livello di sicurezza che doveva garantire se stesso; e quindi, se proprio non vogliamo rassegnarci a considerare le fatalità come fatalità, dobbiamo concentrarci non sulle regole e sulla ricerca di colpevoli, ma sul fatto che certi lavori, ancora oggi, vengono svolti – sia dall’operaio che dal padrone – con leggerezza, senza preparazione e senza una adeguata coscienza del pericolo.

Forse allora una adeguata formazione sui pericoli del proprio lavoro potrebbe fare molto di più dell’ennesima legge draconiana. In Italia, invece, l’idea per risolvere un qualsiasi problema – e potremmo parlare della privacy, o della nuova procedura per dimettersi, una magistrale esibizione di burocratismo anni ’70 – è di fare una legge dettagliatissima e durissima, che però si concentra sulla necessità di stendere un pezzo di carta, che guarda caso può essere steso soltanto da un “esperto” di qualche casta o da un ufficio pubblico previa riscossione della relativa tassa, la quale va ovviamente a carico dell’azienda perché, si sa, l’azienda è cattiva per principio e ancora grazie che non la chiudiamo del tutto. Come risultato, l’azienda paga, porta a casa 300 pagine di copia e incolla da infilare in fondo a un armadio, e continua a comportarsi esattamente come prima. E gli operai continueranno a morire.

[tags]lavoro, economia, operai, morti bianche, incidenti, sicurezza sul lavoro, molfetta, cina, ipocrisia[/tags]

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mercoledì 5 Marzo 2008, 19:41

Skyfo (3)

Oggi è stata una bella giornatina: ho litigato con chiunque. Mi sembra quindi in tema il proporvi una ulteriore puntata del mio rapporto con Sky, già descritto qui e qui, visto che questa azienda, in termini di correttezza nel rapporto coi clienti, sta cercando duramente di insidiare i pessimi record della Telecom anni ’90.

In pratica, mi è arrivata la prima fattura:

  • con solo due giorni di anticipo sulla scadenza, invece dei 15 previsti da contratto;
  • addebitandomi per il mese di gennaio tutti i pacchetti che io non ho mai richiesto e che loro mi hanno attivato unilateralmente, e che peraltro mi avevano confermato via telefono che sarebbero stati gratuiti;
  • addebitandomi il mese di febbraio, che doveva essere gratis da promozione e successive conferme;
  • e mandandomi in contemporanea il numero di marzo della famosa rivista a pagamento, nonostante io l’avessi disdetta da un mese.

Naturalmente, dopo vari solleciti al servizio clienti via mail (visto che continuo a non poter chiamare gli 199 che loro propongono, avendo solo un cellulare aziendale) mi hanno chiamato loro e mi hanno detto che per gennaio avrebbero prontamente caricato un accredito per correggere l’errore, mentre per febbraio “ha ragione ma aspettiamo a vedere se il sistema le dà gratis marzo, se no chiami di nuovo”. In più, ho chiesto l’invio di una nuova fattura o di una nota di credito – come prova e come obbligatorio fiscalmente, se no la loro contabilità s’annerisce – e mi hanno detto che “il sistema non lo permette”.

Visto che, una settimana dopo, il loro sistema di accounting online riportava ancora la vecchia fattura, ovviamente ho mandato una raccomandata scritta per contestarla formalmente, entro i quindici giorni dalla scadenza come previsto dal contratto (chicca: la scadenza riportata sul sito è sbagliata ed è più avanti rispetto a quella scritta sulla fattura, basandosi su quella si arriverebbe ad inviare la raccomandata fuori tempo massimo…). Vediamo che fanno: se non adempiono, il prossimo passo è il Corecom.

Certo però che vivere in Italia, per queste cose, è davvero deprimente.

[tags]sky, skylife, servizio clienti, fatture, economia[/tags]

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martedì 4 Marzo 2008, 10:45

Elio show

Dopo il successo del mio resoconto sull’ultima serata di Sanremo, a grande richiesta, siccome sono andati in onda alle due di notte e quasi nessuno li ha visti, riporto i video delle canzoni del Festival rifatte da Elio e le Storie Tese al Dopofestival – e vi assicuro che preparare varie canzoni ogni sera, reinventandole in modo brillante ed eseguendole pure senza fallo, è parecchio difficile.

Il primo è già un classico: la canzone del Maestro Amedeo Minghi – persona nota per prendersi molto, molto sul serio – sbertucciata prima per la densità di frasi lunghissime che non entrano nel verso, e poi per l’essere una scopiazzatura de La cura di Battiato, con Elio che dichiara infine la sua paura per la reazione del Maestro e scappa via:

I seguenti versi sono già immortali:

Oh Minghi
tu t’ispiri ai pittori fiamminghi
e a quelli vichinghi
Oh Minghi
non frequenti le sale dei binghi
e sei fuori dai ranghi
e da tutte le malattie, perché sei un essere speciale, ed io ho paura di te

(conclusione sulla sigla del TG1)

Il secondo brano è la canzone di tali Sonohra, vincitori della sezione gggiovani, e qui Elio li prende disperatamente per i fondelli per questa H inspiegabile:

La canzone di Paolo Meneguzzi, Grande, oltre all’ovvia citazione di Grande grande grande di Mina, diventa un classico brano giovanilista su, come dice Elio, “l’appello di un giovane che va dal giornalaio ma non viene servito bene”:

Sul brano omofobico e scontato della Tatangelo, scritto da Gigi d’Alessio, gli Elii fanno invece una vera opera di satira alla Zappa: lo reinterpretano come una marcetta per esaltarne la banalità:

Ora un altro capolavoro: la canzone dei Finley, intitolata Ricordi, viene trasformata in un appello contro lo scaricamento della musica da Internet:

Quando vuoi dei dischi vai da
Ricordi
o un altro
con prezzi che ti tolgono il sorriso

Infine il tripudio: il rifacimento del brano del “fenomeno” Tricarico, con l’aiuto di Cristicchi e Frankie Hi-Nrg, che prima ne esalta la banalità finto-alternativa e scopiazzata da Vasco (sulla base di Wild World!), e poi prorompe nel classico di Cochi e Renato, tutto girato a prendere per il culo il Tricarico stesso e i cantanti in generale, con un pezzo rappato al bacio. Magistrale.

E ce ne sarebbero ancora… Certo che vedendo queste performance viene voglia di proporre l’abolizione del Festival e la sua sostituzione con cinque sere di Elio in TV!
[tags]sanremo, musica, elio e le storie tese, festival, dopofestival, minghi, meneguzzi, finley, tatangelo, tricarico[/tags]

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lunedì 3 Marzo 2008, 14:23

Tassazzolandia

Spinto dalle osservazioni di .mau. sull’aumento della pressione fiscale, ho deciso di riprendere gli argomenti economici; stavolta, invece che di produttività, parliamo proprio di tassazione per le aziende.

Già, perché l’osservazione che fanno in molti, tipicamente fedeli del centrosinistra, è la seguente: stante che la pressione fiscale con Prodi è innegabilmente aumentata, fino a raggiungere il record nella storia della Repubblica, non sarà che essa sia salita non perché ciascuno paghi di più, ma perché con le buone o con le cattive sono diminuiti gli evasori?

E la risposta che danno in molti, tipicamente fedeli del centrodestra, è che in realtà quelli che il fisco italiano considera “evasori” sono spesso persone che sarebbero in regola, ma che di fronte alle pretese del fisco pagano per evitare guai e scocciature, visto che, al solito, le norme italiane sono sufficientemente confuse e barocche da rendere quasi impossibile, anche rivolgendosi a un buon commercialista, sapere come fare per essere al riparo da multe; quindi Prodi non avrebbe solo combattuto gli evasori, ma anche angariato molti onesti.

A me interessano di più i fatti, e così sono andato a cercarmi i dati, in particolare per quel che riguarda le aziende, visto che nella vulgata popolare chiunque non sia un lavoratore dipendente tende ad essere considerato un presunto, anzi quasi certo, evasore. E quindi, queste sono le aliquote di punta per la tassazione degli utili aziendali in Europa nel 2006:

Irlanda 12,5
Ungheria 17,5
Polonia 19
Slovacchia 19
Rep. Ceca 24
Austria 25
Finlandia 26
Portogallo 27,5
Danimarca 28
Svezia 28
Grecia 29
Olanda 29
Lussemburgo 29,6
Inghilterra 30
Francia 33,3
Belgio 34
Spagna 35
Italia 37,3
Germania 38,6

C’è bisogno di commenti? Beh, sì: perché se le persone sono comunque cittadini di un certo Paese, le aziende possono spostare la propria sede legale, e ormai – nell’economia dei servizi – anche quella operativa, con estrema facilità. E’ insomma un settore altamente competitivo, dove tutte le nazioni fanno a gara per attrarre le aziende; e in questo il livello di tassazione è ovviamente un fattore molto importante.

Dunque il fatto che soltanto la Germania – che però ha non solo una economia molto più forte di noi, ma anche un livello di efficienza dei servizi pubblici che noi ci sogniamo, e che può rendere comunque conveniente il pagare tasse più alte – abbia una aliquota superiore alla nostra dovrebbe farci riflettere a lungo su quanto sia folle la politica della pressione fiscale in crescita; e non solo perché una elevata tassazione degli utili aziendali incentiva l’imprenditore a darsi un bel bonus o a comprarsi il terzo SUV aziendale il 30 dicembre, invece che a reinvestire gli utili in nuove iniziative e nuovi posti di lavoro l’anno successivo.

Riconsideriamo insomma alla luce di questi numeri la persistente campagna di criminalizzazione di qualsiasi persona fisica o giuridica italiana che abbia redditi all’estero, che sta venendo condotta dall’attuale governo e dai media di centrosinistra ormai da parecchi mesi. Per carità, se sono evasori è giusto che paghino, ma il grosso dei redditi italiani all’estero non è dato tanto da evasione, quanto da una scelta delle strutture giuridiche e dei luoghi di residenza fatta per pagare meno tasse.

Questa è evasione? Per il fisco italiano decisamente sì, mentre i singoli contribuenti rivendicano il loro diritto di prendere residenza dove le condizioni sono migliori; e qui si scontrano filosofie socioeconomiche piuttosto differenti.

Eppure, mettetevi nei panni di una azienda o di un imprenditore globale che lavora su cinque o dieci paesi, di cui uno – oltre ad avere un sacco di altri problemi – non solo ha le tasse più alte degli altri e le aumenta continuamente, ma rompe continuamente le scatole con accertamenti e pretese fiscali, dandoti dell’evasore per principio; secondo voi, potenzierete la sede italiana, o cercherete di chiuderla il prima possibile?

Nella competizione globale per assicurarsi le sedi delle aziende, l’Italia è come un supermercato che ha i prezzi più alti degli altri, e in più va dai clienti e li aggredisce dicendogli che devono spendere per forza di più, e che non pagano abbastanza. Magari sul momento il cliente si fa intimidire e paga, ma appena riesce a uscire dal negozio, non lo rivedi più…

[tags]italia, economia, tasse, fisco, aziende[/tags]

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domenica 2 Marzo 2008, 20:33

Toglieteglielo dalle mani!

Oggi questa frase si è applicata due volte!

La prima quando, a cinque minuti dalla fine di Samp-Toro, Cassano ha dato di nuovo di matto: perché è un evidente caso psichiatrico. Già durante la partita si comporta da ossesso, continua a incitare il pubblico, e per festeggiare calcia la bandierina che per tutta risposta gli rimbalza addosso e gli fa pure male; e nel tunnel, a fine primo tempo, cerca la rissa con Di Loreto, che avrebbe offeso l’onore della guardalinee donna, arrivando persino a spingere verso la porta degli spogliatoi avversari – ed è fortunato che Novellino con una mano tiene lui e con l’altra oscura la telecamera.

Poi, a pochi minuti dalla fine, gli fischiano un fallo contro, un normalissimo fallo di gioco, e improvvisamente scatta il raptus: parte coi vaffanculo all’arbitro con gli occhi spiritati, e l’arbitro ovviamente lo espelle. Di lì in poi è un crescendo: grida all’arbitro “uomo di merda”, fa due passi, poi ci ripensa, schiva Barone e cerca di mettergli le mani addosso. Poi si toglie la maglietta e la lancia, cercando di colpire l’arbitro con quella. Fa finta di andar via, poi si rigira e corre di nuovo verso l’arbitro; Rosina (suo buon amico) gli si aggrappa cercando di fermarlo, lui lo sradica, alla fine gli si aggrappano in quattro, compagni e avversari, e lo portano via, anche se a metà percorso, senza preavviso, ha una crisi di pianto e si accascia. Finalmente arriva a bordo campo, e contrariamente al regolamento non va negli spogliatoi, ma resta lì; punta l’arbitro e, in favor di telecamera, gli dice minacciosamente: “Ti aspetto dopo, io sono qui!”, come un qualsiasi tarro che vuole menarti per strada. Per completare la festa, sugli spalti il pubblico doriano individua il capo degli arbitri Collina, lo accerchia, lo insulta, lo minaccia finché gli steward non lo scortano fuori: perché violenza e intemperanze sul campo chiamano con matematica certezza violenza e intemperanze sugli spalti.

Cassano ha gran bisogno di uno psichiatra; ho anche il dubbio che giocare faccia tutt’altro che bene alla sua salute mentale, così come riprendere a correre fece malissimo a Pantani. A Genova e non solo lì, poi, invece di educarlo lo coccolano: prova ne è che di fronte a un episodio che, fatto da un calciatore dilettante su un campetto di periferia, porterebbe alla squalifica a vita, oggi in televisione era già pieno di vallette e commentatori che lo scusavano perché “è un ragazzo” (di ventisei anni) ed “è un patrimonio del calcio italiano”. Già prevedo che una debole squalifica di quattro o cinque giornate sarà bollata come durissima e ingiusta, e tutti ne invocheranno lo sconto in appello, mentre alcuni parleranno anche di complotto contro Cassano e la sua squadra. Certo che se lo portassero veramente agli Europei con la Nazionale, e si facesse una scenata del genere in mondovisione, noi italiani non potremmo più mettere il naso fuori dai patrii confini.

Comunque, c’è anche un altro caso in cui la frase suddetta si è applicata: è che oggi ho aperto il vasetto delle acciughe al verde che mi sono preparato ieri, e non riuscivo più a smettere…

[tags]toro, samp, calcio, cassano, acciughe al verde[/tags]

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domenica 2 Marzo 2008, 11:28

La fine di Sanremo

Ieri sera ero in casa, da solo, piuttosto stanco e senza voglia di uscire; e così, ho ceduto al rito di Sanremo. Non è stata una brutta serata, ma solo perché c’erano in contemporanea il commento della Gialappa’s e il blog di Gino Castaldo forumizzato in uno sberleffo collettivo in tempo reale di tutte le varie (perlopiù pietose) esibizioni.

Alla fine ha vinto la versione gnocca dei Jalisse, una unione programmata a freddo di tutti gli elementi che danno punti a Sanremo (coppia, gnoccaggine, sorrisi a 32 denti, canzone d’amore, autore famoso) e in più il musical rock, che di questi tempi va di moda; ovviamente tra due mesi nessuno si ricorderà più come si chiamano, anzi io già non lo so adesso, so solo che l’uomo era un tonno e mi faceva venire continuamente fame. Grande perdente la sbertucciatissima Tatangelo, che ormai odiavano tutti; d’altra parte non solo ha vent’anni e si trucca da quarantenne, ma si presenta con pensierini da quinta elementare (autore il suo lui, Giggi D’Alessio) con il cliché vietissimo dell’omosessuale che soffre tanto per la sua anormalità ma noi che siamo buoni lo perdoniamo: una roba da denuncia per discriminazione…

Di brani insomma se ne salvano proprio pochi, direi Gazzé su tutti, un po’ L’Aura anche se avrebbe potuto osare un brano meno sanremese, e il solito Cammariere che però va a fare del jazz in una manifestazione pop, e non ho mai capito che c’entri.

In più, c’è il caso di tal Tricarico – non il giocatore del Toro che si fece espellere a Reggio Emilia, ma un omonimo; un finto disadattato con seri problemi mentali, che esordisce dando dello stronzo a Chiambretti che lo prende per il culo, e poi non canta: bela. Capisco che un nerd sul palco di Sanremo sembri una provocazione, anche se canta come uno di noi sotto la doccia. Purtroppo se la gente – compreso lo stesso Castaldo – si mette ad adorare il prodotto di una major discografica solo perché è fintamente alternativo, e scambia la maleducazione per anticonformismo, siamo messi male: ma è una parte integrante dello spettacolo di Sanremo, Baudo l’ha messo lì per loro.

Tutto questo però perde di significato di fronte agli unici dieci minuti di musica di ieri, ovviamente apparsi ben oltre mezzanotte, praticamente alla fine. Sono Elio e le Storie Tese che rifanno Il Barbiere di Siviglia:

Come livello musicale non c’è paragone con qualsiasi altra cosa sia andata in onda nella serata; come commentavo ieri, in questa apparizione Elio e le Storie Tese, da tutti i punti di vista, sono sembrati come un Maradona improvvisamente sceso in campo all’80′ di una partita di calcio tra scapoli e ammogliati. Contemporaneamente sono riusciti a:
1) presentare della musica classica a un pubblico popolare
2) presentarne un arrangiamento veramente bello, fondendo il classico e il pop
3) darne una esecuzione assolutamente perfetta, tecnicamente molto meglio di tutto quel che si è sentito nella serata
4) intrattenere e divertire sia il pubblico intelligente che quello nazionalpopolare
5) gridare “figa†sul palco del Festival di Sanremo
6) commuoversi con il saluto finale a Feiez.
Chapeau.

Comunque sia, quest’anno Sanremo è stato un fiasco come mai nella sua storia, con un calo drammatico degli ascolti e contemporaneamente musica ancor peggio del solito se possibile, tanto che si comincia a parlare di chiuderlo.

Personalmente penso che Sanremo sia da tenere, ma che dopo aver sopravvissuto a vent’anni di bruttezza proprio perché era brutto – cioè lo si guardava perché era trash – ora ci siano talmente tanto trash in giro e tante alternative per fare qualcosa di meglio che il solo richiamo della bruttezza non valga più. Ergo, o ci si decide a portare della musica più decente e se ne fa un evento che al declino di audience associ un miglior valore musicale – avendo quindi magari meno pubblico, ma quello che ascolta i dischi – o secondo me ha poche speranze di sopravvivere.

[tags]musica, sanremo, elio e le storie tese, castaldo[/tags]

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sabato 1 Marzo 2008, 12:57

I senza cena

Ieri pomeriggio, uscendo dall’ufficio, sono andato a fare la spesa all’Ipercoop di via Livorno. Come ben sapete, io sono un affezionato del Lidl; tuttavia, circa una volta al mese vado all’Ipercoop per quel po’ di cose che al Lidl non si trovano ma che per me sono vitali – ad esempio le lenticchie precotte in latta, o le confezioni di latte UHT da mezzo litro – o per cui sono rimasto affezionato alla marca Coop (essenzialmente la pasta).

Bene, ieri avrò anche fatto una spesa relativamente grossa, che mi durerà per molte settimane; è vero che ci ho messo dentro sette euro di birre speciali che avevo finito (vuoi mica che venga a trovarmi Andrea e io non abbia la Leffe!); è vero che mi sono sbizzarrito, comprando quattro euro di trota (che sono finiti nella mia pancia in serata, insieme a quattro patate tagliate sottili sottili e sottofritte in qualche millimetro d’olio), e altrettanti di pecorino, e un po’ di mortadella fresca, e poi ho anche investito in sei euro di barattolone di acciughe da immergere nel bagnetto verde (vetro ed etichette comprese).

Però alla fine, per una spesa comunque limitata a alcune cose specifiche, e prendendo dappertutto il prodotto meno caro e quantità da single, ho speso 35 euro; se pensate che il mio scontrino medio settimanale al Lidl è di 15 euro, e l’ultima volta – pur comprando anche lì carne, formaggio e biscotti – sono rimasto sotto i dieci…

Insomma, sarà anche vero che il supermercato del Partito Democratico ti vende insieme alla spesa anche una sensazione di alternativ – equosolidal – progressismo (tutta da giustificare, peraltro); però ho capito com’è che, discutendo del costo della vita sui forum, quando dico che si può vivere tranquillamente con 100 euro di cibo a testa al mese, salta sempre fuori qualcuno che mi dice che sono uno stolto e che con meno di 300 non ce la si fa, e che il suo stipendio misero deve essere aumentato a tutti i costi dalla collettività per permettergli di “sopravvivere”.

Poi vai a indagare, e ti dice che “già per colazione servono sei euro al giorno, perchè io e mia moglie senza il Danone LC1 non possiamo vivere”. Naturalmente comprato nel supermercatino sotto casa perché andare fino all’ipermercato cinque minuti più in là è troppa fatica, e non parliamo del discount, “mica vorrai che faccia la spesa in mezzo ai romeni”.

Io, non avendo problemi di soldi, sono sempre molto cauto nel fare le pulci a chi ne dichiara. Tuttavia, credo che tutta la lamentazione che si sente in giro vada presa con una grossa cautela. Tranne pochissimi, non c’è nessuno in Italia che muoia di fame; c’è invece una significativa fascia di lavoratori piccolo-borghesi che non riesce ad accettare il fatto di non potersi permettere una macchina nuova ogni tre anni, un cellulare nuovo ogni Natale e le vacanze a Sharm quando si ha voglia.

Basta del resto leggere le cifre: a Torino ci sono quattromila persone che vanno a mangiare alle mense, ossia lo 0,4% della popolazione; eppure, a sentirsi poveri sono il 40%. Il residuo 39,6% probabilmente è formato da persone insoddisfatte del proprio stipendio, o al massimo da quelle persone che lo stesso assessore Borgione definisce così: Sono cresciute invece quelle che chiedono aiuto perché non sono più in grado di mantenere il loro tenore di vita. Hanno perso il lavoro, o vivono di occupazioni precarie. Avevano impostato uno stile di vita, e magari fatto ampio ricorso al consumo al credito, sulla base di un reddito che ora non c’è più.”

Definire qual è lo stile di vita minimo che è “giusto” che la collettività garantisca a ogni cittadino – nonché se tale garanzia vada data in termini di soldi in mano, o in termini di opportunità per guadagnarli – è una questione difficile e profondamente legata all’etica personale. Io mi limito a dire che, in un momento in cui si diffonde a livello di massa la sensazione di “aver diritto” a livelli di vita che richiedono una quantità di risorse che chiaramente la collettività non ha, la rivolta sociale e la legge del più forte sono dietro l’angolo.

[tags]economia, società, stipendi, spesa, lidl, ipercoop, torino[/tags]

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