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Archivio per il mese di Agosto 2008


martedì 19 Agosto 2008, 11:32

Cervinia

Ieri sono stato per la prima volta a Cervinia, un posto di cui tutti dicono sempre un gran bene: del resto, se c’ha la casa Mike Bongiorno

In effetti una cosa eccellente a Cervinia c’è: era buona la pizza al taglio che abbiamo mangiato per pranzo, sulla via principale, accanto all’ufficio postale. Si sa che il vero segreto per fare buoni il pane e la pizza non è la farina, ma l’acqua; per questo motivo, in montagna è difficile mangiare pizza cattiva. Comunque, abbiamo apprezzato.

Il resto, invece, lascia perplessi. Il posto, in termini naturali, è bellissimo: una ampia conca soleggiata circondata da montagne altissime, con in mezzo il Cervino, da cui scendono ruscelli e cascatelle in mezzo ai prati, mentre verso la valle incominciano le foreste. Peccato che ci abbiano trasferito in mezzo un pezzo di città di raro squallore, che si avvicina molto alle vette di bruttezza di Bardonecchia.

Non è solo questione dell’effetto che fanno dei palazzi di tre, cinque, dieci piani nel bel mezzo di un prato d’alta montagna; è che i palazzi in questione sono per buona parte vecchi e cadenti. Uno non si immaginerebbe che in una località chic ed esclusiva – se non altro perché la quantità di appartamenti disponibile è ampia ma comunque non infinita – ci siano vecchi palazzoni anni ’50 con le ringhiere arrugginite e il cemento che si sbriciola; abbiamo persino visto un paio di case chiaramente in abbandono, con i vetri rotti e l’interno pieno di scritte. Per non parlare della partenza della funivia: un edificio bombardato, con il piano superiore diroccato e un’ala di cui resta soltanto un muro, e dall’interno sporco, che sembra mai più ripulito dalla seconda guerra mondiale; all’ingresso c’è persino un cartellone vintage, primi anni ’60, che segnala l’apertura o chiusura delle varie funivie con delle lucette semaforiche recuperate direttamente da un garage sotterraneo di Milano Lambrate.

Lo scempio sarebbe comunque tollerabile se fosse limitato all’interno della conca; e invece no. Basta girarsi verso est, la parte delle piste, per vedere palazzoni di ogni genere spuntare orrendamente tra i boschi e in mezzo ai pendii; a seconda della zona, si può ammirare il peggio dell’architettura anni ’50, il peggio dell’architettura anni ’60, il peggio dell’architettura anni ’70 e il peggio dell’architettura anni ’80. Come se non bastasse, il Cervino è incorniciato dalle gru: difatti – nonostante in Val d’Aosta sia vietato costruire nuovi edifici sopra una certa quota d’altezza – devono aver trovato qualche scappatoia, o qualche gancio politico, e così stanno ancora costruendo condomini sempre più in alto sulla montagna, naturalmente tutti con un ufficio vendite il cui numero di telefono inizia per 02 o al massimo 03.

Abbiamo capito l’aria che tirava quando, durante la nostra passeggiata sul lato ovest della conca (quello meno deturpato), abbiamo incrociato un tizio che nel tipico dialetto locale ci ha chiesto: “Uè, figa, ma questa è già Cervinia? Ma dov’è la strada che va a duemilaeotto?”. Praticamente, voleva arrivare con la sua macchinetta dritto dritto sulla cima del Cervino o quasi, e non si convinceva che in montagna, oltre una certa quota, si debba andare a piedi.

Alla fine, la natura è talmente magnifica che la passeggiata è stata bellissima lo stesso. Certo è che, a Cervinia, l’uomo si è messo di grande impegno a devastare la montagna.

[tags]cervinia, val d’aosta, pizza, turismo, deturpazioni, milanesi[/tags]

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lunedì 18 Agosto 2008, 18:09

Consigli per le sagre (2)

Per quest’anno ormai è finita, ma sabato sera abbiamo provato per voi una ulteriore sagra: per la precisione, la Sagra del Cinghiale di Pontey (AO), anche se sarebbe più corretto definirla la Sagra della Coda di Pontey (AO). Infatti, siamo giunti sul posto alle 19:20 – prendendocela anche un po’ comoda, temendo di arrivare troppo presto – e ci siamo trovati in mezzo a un ingorgo da festa di San Giovanni a Torino, con grumi di auto che si inerpicavano su per una stradina per parcheggiare accanto al campo sportivo, dove si tiene la fiera, e poi sopra e su per i monti in ogni tornante e angolo disponibile.

Così, dopo aver parcheggiato, alle 19:35 ci siamo messi in coda; una coda che attraversava tutto il tendone della sagra, poi usciva da un angolo e lo costeggiava per un ulteriore lato, e poi si sfrangiava nel mezzo del campo di calcio. I più esperti si erano dotati di generi di conforto, ma noi non eravamo preparati e siamo così rimasti in piedi praticamente per un’ora e mezza, sbucando davanti al punto di distribuzione del cibo alle 21:00 precise.

Gli è infatti che qui sono valligiani; invece di adottare, come in qualsiasi altra sagra, una coda per la cassa e poi una coda per la distribuzione del cibo – o ancora meglio un servizio al tavolo come a Cortanze -, questi hanno pensato bene di fare un’unica fila modello self service, in cui si prendono i piatti man mano che si scorre e si paga alla fine. Il problema è che i piatti sono cucinati al momento, per cui, su sette o otto pietanze, ce n’è sempre una che è in cottura: a quel punto, invece di far scorrere quelli che non la vogliono, al primo avventore che la richiede tutta la coda si ferma completamente per tre o quattro minuti, in attesa che arrivi la pietanza mancante. Insomma, solo a servire la coda ci sono una decina di volontari del posto, ma per la maggior parte del tempo otto o nove di loro sono lì con le mani in mano a guardare l’unico che deve servire il suo piatto. Aggiungeteci che non sono molto pratici (vabbe’, è una sagra) né molto oculati nelle scelte – mitica la “grigliatina”, piatto che costringe chi lo serve a prendere sei o sette pezzettini di carne inseguendoli uno per uno per il tegame e mettendoci mezzo minuto – e il risultato è un vero disastro.

La coda ha però avuto almeno il vantaggio di farci ammirare due tipi da leggenda: lui, cinquantacinquenne vestito da vela (in piena montagna?) e tutto sportivo; lei, squinzia quarantacinquenne un po’ passatella, tipo “so’ donna dell’omo vero”. Si sono infilati bellamente poco davanti a noi approfittando di una distrazione, poi hanno passato un’ora e mezza in coda affiancati senza dirsi una parola, nemmeno ciao: un grande rapporto! Alla fine dubitavamo persino che stessero insieme, e invece no, perché verso la fine hanno conversato per trenta secondi, argomento “cosa prendiamo”. E poi sono riusciti a prendere l’antipasto (l’unica cosa quasi priva di cinghiale) e la grigliata, schivando le cose più buone. Mah.

Bene, direte voi, dopo tutta questa coda – che mi ha permesso di pianificare abbondantemente le critiche da fare sul blog e le lettere di lamentela da inviare all’edizione locale della Stampa – il giudizio non potrà che essere negativo? E invece no: perché il cibo era davvero ottimo, con punte di eccellenza. Per qualcosa meno di venti euro a testa abbiamo preso un primo, un secondo e un dolce, più vino o acqua; le porzioni erano abbondanti e soprattutto buone. Sia i ravioli al cinghiale che la pasta al forno al ragù di cinghiale erano ottimi, ma la cosa davvero eccezionale era il cinghiale al civet con polenta, con la carne tenerissima e il sugo speziato al punto giusto. La grigliatina di cinghiale, in confronto, era soltanto passabile, consistendo di due bistecchine con l’osso e tre-quattro salsiccette, buone ma non indimenticabili. Infine, il dolce: la torta di pere e cioccolato era buonissima, ma la crema di Cogne – una crema pasticcera con dentro pepite di cioccolato fondente, da mangiare con un torcetto che era burro croccante – era davvero speciale.

Appuntamento quindi al Ferragosto dell’anno prossimo, rigorosamente non oltre le 18:45, che così magari in un’oretta ce la facciamo.

[tags]sagre, pontey, valle d’aosta, cinghiale[/tags]

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domenica 17 Agosto 2008, 13:23

La Rai massacra le Olimpiadi

Lamentarsi della Rai è uno sport nazionale; eppure, se basta aprire un qualsiasi blog, giornale o sito sportivo in questi giorni per leggere pagine e pagine di insulti alla nostra emittente di Stato, quindi qualcosa che non va ci deve pur essere; se mi passate la lunghezza, vi spiego le mie continue frustrazioni.

Diamogli pure l’attenuante che trasmettere in televisione una Olimpiade è difficile: quasi in qualsiasi momento si svolgono una decina di gare, e pur privilegiando quelle in cui vi siano italiani in gara (criterio già di per sé discutibile, ma comunque il più sensato in funzione delle aspettative degli spettatori, che per il 90% degli sport olimpici non sanno nemmeno le regole e arrivano al massimo a distinguere tra “quell’italiano lì” e “gli avversari”) capitano continuamente dilemmi orribili: trasmetto la scherma o la pallanuoto?

Per fortuna siamo nel 2008, e la Rai non è più limitata dai classici tre canali. In pratica, aiutata anche dal fatto che le gare si svolgono dall’alba fino al primo pomeriggio – fasce televisivamente non certo cruciali -, la Rai può dedicare alle Olimpiadi due canali: RaiDue (analogico e digitale terrestre) e RaiSportPiù (digitale terrestre e satellitare in chiaro), più otto diversi stream via Internet per coprire tutto il resto.

Sarebbe meraviglioso, se a gestire la programmazione non ci fossero gli ineffabili strateghi della redazione sportiva Rai.

Già, perché una persona sana di mente, quando ci sono due eventi contemporanei egualmente importanti, li manderebbe uno su un canale e uno sull’altro, magari mettendo su RaiDue gli sport più popolari e su RaiSportPiù – che comunque, tra digitale, satellite e Internet, è visibile dall’80% degli italiani – quelli un po’ più di nicchia.

Invece no: per metà del tempo, RaiDue e RaiSportPiù trasmettono la stessa cosa. Ma proprio la stessa! Qualcuno deve aver pensato che il target olimpico – che per la Rai apparentemente non è fatto di giovani, ma di vecchine col televisore in bianco e nero – non sia in grado di usare un canale digitale o satellitare: per cui, si manda un evento sul digitale, mentre su RaiDue si manda lo stesso evento, però in un riquadro che occupa due terzi dello schermo, mentre in un angolino c’è un altro riquadro minuscolo dove probabilmente sta venendo trasmessa l’altra gara importante del momento, solo che ci vorrebbe una lente di ingrandimento per individuare gli atleti e distinguerli dallo sfondo.

Dopodiché, su RaiDue comincia l’invenzione più assurda: il “ping pong”. Inteso non come disciplina olimpica (anche perché sulla Rai non si è vista manco mezza immagine del ping pong inteso come disciplina olimpica) ma come tentativo di trasmettere contemporaneamente due eventi, rovinandoli entrambi. Già, perché se tu sei preso da una partita di pallavolo nel suo momento clou, non è che di botto puoi resettare le emozioni ed appassionarti alla lotta greco-romana, e poi tre minuti dopo tornare sulla pallavolo (essendoti perso metà delle azioni migliori) e ritrovare l’eccitazione di prima, ma solo per altri due minuti, fino al successivo cambio di evento.

Facciamo l’esempio di ieri: in contemporanea si svolgevano una finale di consolazione della scherma, dove l’Italia avrebbe vinto il bronzo anche a mani legate, e il quarto di finale del calcio, Italia-Belgio a eliminazione diretta, chi vince è medaglia quasi certa, chi perde è fuori. Cosa avrebbe fatto una persona normale? Avrebbe mandato il calcio su RaiDue – ricordando che in Italia il pubblico del calcio è ampiamente superiore a quello di tutti gli altri sport messi assieme – e la scherma su RaiSportPiù.

Purtroppo, però, a RaiSport il calcio sta chiaramente sulle balle. Sarà che devono parlarne già per tutto l’anno; sarà che in questi giorni tutti i presidenti delle federazioni sportive italiane passano il tempo a sfruttare le proprie raccomandazioni politiche per ottenere che i propri sport minori – che, ricordiamo, si chiamano così perché di loro non frega niente a nessuno, anzi in certi casi non si capisce nemmeno come facciano a definirli sport – passino una buona volta su RaiDue. Sarà che i giornalisti Rai, invece di dedicarsi a fare servizio pubblico e quindi mostrare alla gente ciò che vuole vedere, si sentono aulici educatori che devono sfruttare il momento per far capire al popolo italiano quanto siano nobili la corsa nei sacchi olimpici o il tiro al piccione olimpico. Ma c’è, alla Rai, un evidente razzismo anticalcistico.

Già qualche giorno fa hanno stupito il Paese non trasmettendo Italia-Corea di calcio, per mandare invece in onda una interessantissima semifinale di spada tra un francese e un ungherese. Per mezz’ora tutta Italia ha zappato freneticamente su ogni canale disponibile, cercando di capire dov’era che davano la partita. Solo allora, dopo il primo milione di telefonate di protesta, alla Rai si sono degnati di mandare una sovraimpressione per dire che l’avrebbero trasmessa al termine della scherma; così, due ore dopo, hanno mandato in registrata non la partita, ma una sintesi, in cui ogni tanto, improvvisamente e senza avvertire, sparivano dieci minuti di gioco. Fine del servizio pubblico e italiani imbufaliti.

Si sperava che avessero imparato dai propri errori; e invece, niente. Ieri, qualche milione di italiani voleva vedere la partita, che è stata bellissima, combattuta, piena di colpi di scena, con cinque gol e due espulsi; e poi, ce n’erano una decina – tutti parenti delle atlete italiane in campo – che volevano vedere una finalina per la medaglia di bronzo dall’esito scontato (dopo due minuti l’Italia vinceva 9-2…). Comunque, avendo due canali, non c’è problema: si manda il calcio su uno e la scherma sull’altro, giusto?

No. La Rai ha mandato: sul digitale, solo la scherma; su RaiDue, un “ping pong” fatto di due terzi di scherma e un terzo di calcio. Per due terzi del tempo, a reti unificate andava in onda la scherma, che tra l’altro è lo spettacolo meno televisivo del mondo: ci sono due tizi bardati che saltellano per trenta secondi, dopo di che si buttano l’uno addosso all’altro e non si capisce niente, poi per quaranta secondi tutti guardano il soffitto mentre l’arbitro esamina la moviola, e poi l’arbitro dà un punto a uno dei due a caso, o più spesso dice “nulla di fatto” (ma in francese, che in inglese sarebbe troppo comprensibile) e si ricomincia. Forse Massimo De Luca e soci speravano di appassionare “a tradimento” gli italiani alla scherma; il risultato però è che gli italiani hanno passato il tempo a bestemmiargli dietro, mentre emozioni calcistiche di vario genere scorrevano via in un riquadrino per trasmettere invece su tutti i canali un arbitro che guarda un televisore. Invece che appassionarci, ora odiamo tutti la scherma: speriamo che alle prossime Olimpiadi la aboliscano, così magari ci faranno vedere la partita.

Ma non è un problema che riguarda solo il calcio: stamattina c’erano una eliminatoria di pallavolo, un quarto di finale di pallanuoto, e poi il canottaggio, con gare per la maggior parte senza italiani, e la vela. Pallavolo e pallanuoto sono tra gli sport maggiori in Italia, gli altri no; quindi si potevano mandare le due partite sui due canali e magari interromperle per qualche minuto per le sole finali di canottaggio degli italiani, mandando poi la vela alla fine, in differita ma per intero.

Invece no: il satellite è stato interamente dedicato al canottaggio; una mattinata piena di finali di sconosciuti e senza mezzo italiano, a parte un quarto d’ora, di uno sport che riscuote un interesse numericamente comparabile a Protestantesimo e dove quest’anno l’Italia ha pure fatto sonoramente schifo (altro che Abbagnale). Se calcoliamo cosa costa un canale digitale e satellitare, la Rai avrebbe speso di meno pagando il viaggio a Pechino a tutti gli italiani interessati alle gare.

Dall’altra parte, pigiati insieme, pallavolo e pallanuoto più pure un po’ di vela. Ora, la pallavolo è stata interessante fino al secondo set, poi le italiane sono chiaramente crollate, e comunque non c’era la qualificazione in palio. La pallanuoto, invece, è stata epica, con la zona medaglie in gioco, e l’Italia sempre a inseguire fino a raggiungere il pareggio su rigore a quattro secondi dalla fine, poi i supplementari tesissimi e la sconfitta finale ai rigori. Dunque, capito come girava, io avrei dato spazio alla pallanuoto e rimandato la fine del volley ad una eventuale differita; invece no. Avendo distribuito i minutaggi su RaiDue tra i vari sport col manuale Cencelli, mentre in piscina lottavano e prendevano pali noi ci siamo subiti lunghi periodi di brasiliane che schiacciano in faccia alle italiane con qualsiasi parte del corpo (oltretutto erano pure le uniche brasiliane brutte di tutto il Brasile). Poi, grazie a Dio, il volley è finito (non senza che ci avessero fatto vedere l’imperdibile punto del 25-16) e… è arrivato il canottaggio. Che già andava in onda sull’altro canale.

Allora, ancora ancora posso capire il farmi vedere la gara in cui gli italiani favoriti perdono ma prendono l’argento. Ma poi, hanno cominciato con la vela. Inquadrando un mare in tempesta dove non si vedeva niente. In una gara dove non si capiva nemmeno come facessero le classifiche, e l’Italia risultava una volta prima, una volta quinta, anzi no, forse è seconda, boh. A un certo punto si sono inventati il teatro dell’assurdo: per accontentare tutti, mandavano l’audio della vela ma le immagini della pallanuoto. Con il commentatore della vela che gridava “Ecco che scuffiano! Che immagini eccezionali in diretta!”, ma sullo schermo si vedevano i culi delle pallanuotiste che andavano a bordo vasca per il time-out, gli unici 60 secondi che si potevano anche non trasmettere.

La clamorosa rimonta finale delle azzurre in vasca si è vista sì e no per un terzo. Il secondo e decisivo supplementare non si è visto proprio, perché dovevano mandare in diretta, attenzione, non la gara di canottaggio, ma minuti e minuti di interviste finali con i nostri ansimanti che gridavano “Ciao mamma, sono arrivato due!”, che peraltro stavano già andando in onda sull’altro canale, e che era proprio fondamentale mandare in diretta anche su RaiDue. E poi, il finale della vela, con i due commentatori che dopo mezz’ora ancora non avevano capito una mazza di cosa stesse succedendo, e hanno gridato “Ecco! Arriva l’Italia, è argento, è argento!”, mentre le immagini mostravano solo la nebbia, e alla fine si è scoperto che l’Italia era quarta.

Bene, potrei andare avanti ancora per pagine – menzione speciale per l’idea di portare da Roma a Pechino ben otto editorialisti come Velasco e Chechi, apposta per farli parlare in diretta nello speciale di prima serata italiana ovvero dalle 3 alle 5 del mattino cinesi: immaginate che brio in trasmissione – ma mi fermo qui. Ci siamo capiti.

P.S. E Internet, direte voi? Almeno chi ha la banda larga potrà vedere quel che vuole, no? Beh, no: gli otto canali streaming funzionano solo con Windows Media, e comunque sono sempre piantati per mancanza di banda. Sul blog ufficiale, RaiSport ha scritto che “è colpa vostra perché vi collegate in troppi”. A nome del pubblico, scusate se esistiamo.

[tags]olimpiadi, sport, televisione, rai, pechino, raisport, “giornalisti”[/tags]

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sabato 16 Agosto 2008, 11:09

La seconda guerra fredda

Nonostante la sua accurata programmazione all’interno della settimana olimpica, la crisi georgiana ha, alla fine, avuto un buon risalto sui nostri mezzi di comunicazione. Comunque, noi italiani siamo sempre un po’ troppo buonisti, per cui i nostri reportage di guerra si concentrano sul far vedere le vecchiette che sfollano e sul gossip politico internazionale; quasi mai, quando c’è una guerra, si riesce a capire perché è scoppiata.

La Georgia è teatro di scontri costanti sin dal collasso dell’impero sovietico; si può dire che, sin dal 1991, non sia mai stata veramente in pace. Naturalmente, i media italiani non ne hanno praticamente mai parlato, se non qualche volta quando, nell’ultimo paio d’anni, i georgiani si sono lamentati del fatto che i russi gli stessero tagliando gli approvvigionamenti alimentari; per il resto, la Georgia è esistita sui nostri schermi solo per qualche sporadica apparizione come squadra materasso nei gironi europei del calcio.

Il Caucaso è una regione complicata quanto i Balcani; esattamente come nei Balcani, vi sono etnie e sotto-etnie che si guardano male da centinaia di anni, complici differenze di lingua, di religione e di provenienza storica. I russi hanno sempre adottato una politica di “divide et impera”, suddividendo il territorio e le sue etnie tra vari Stati indipendenti che però, a loro volta, erano formati da federazioni di repubbliche autonome, di modo che i costanti scontri tra i vari Stati della regione, sommati a quelli interni tra le varie repubbliche dello stesso Stato, rendessero impossibile una rivolta del Caucaso contro Mosca.

Quando l’impero sovietico collassò e la Georgia si rese indipendente, le due repubbliche autonome dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia dichiararono a loro volta l’indipendenza dalla Georgia; la prima per riunirsi all’Ossezia del Nord, che è una repubblica autonoma di pari etnia ma situata all’interno della Russia; la seconda invece era comunque a prevalenza etnica georgiana, ma per un gioco politico i suoi dirigenti cercarono l’autonomia, e negli anni finirono per ribaltare la distribuzione etnica. Di fatto, la situazione di questi due territori è da vent’anni quella che era del Kosovo fino a poco tempo fa: una indipendenza di fatto, protetta da forze armate di interposizione (che nel caso specifico erano un po’ locali, un po’ georgiane e un po’ russe), però non riconosciuta da nessuno e internazionalmente non valida; allo stesso tempo, tenuta in piedi dagli aiuti e dal potere politico di Mosca, che è giunta persino a concedere con larghezza passaporti russi agli osseti del sud in modo da poter giustificare il proprio intervento “a difesa di propri cittadini”.

Quando, qualche mese fa, su pressione degli americani (di cui la Serbia è nemica e il Kosovo è satellite) il mondo decise di riconoscere l’indipendenza del Kosovo, era facile prevedere che tutte le secessioni del mondo si sarebbero presto messe in coda. Il presidente georgiano Saakashvili, un semi-dittatore amico degli americani, ha deciso così di agire d’anticipo: ha cercato di riconquistare con la forza le due repubbliche secessioniste prima che potessero procedere sulla via dell’indipendenza ufficiale. Mosca ha reagito, e si è arrivati così allo scontro di questa settimana.

All’inizio non si capiva bene cosa stesse succedendo, ma poi la cosa è stata chiara: si tratta del primo episodio caldo di una nuova edizione della guerra fredda tra la Russia e gli Stati Uniti. Qualche sospetto è venuto quando si è scoperto che i militari georgiani si muovevano su jeep americane nuove di pacca, mentre l’esercito osseto rispondeva con aerei russi su cui la bandiera di Mosca era stata cancellata con la gomma cinque minuti prima. Quando, nemmeno tre giorni dopo l’inizio del conflitto, gli americani hanno annunciato che una colonna di marines “umanitari” era già pronta allo sbarco sulle coste del Mar Nero, ecco, è parso chiaro come tutto questo fosse, dal lato georgian-americano, preparato da mesi.

Già, ma perché? Non vi è dubbio che si tratti di una piccola guerra militare, ma di una grande guerra mediatica; mitico quando entrambi i lati hanno proclamato un cessate il fuoco unilaterale davanti alle telecamere, per poi continuare a darsele di santa ragione. Il motivo è che gli Stati Uniti devono legittimare il proprio espansionismo nel Caucaso: continuando a ragionare con la mentalità della guerra fredda, vogliono andare a controllare i russi direttamente in casa loro. Vanno letti in quest’ottica sia gli annunci sparati secondo cui “la Russia si è posta al di fuori della legittimità internazionale” (che detto da gente che negli ultimi vent’anni ha invaso due o tre nazioni sovrane fa letteralmente pisciare dalle risate), sia quelli secondo cui la Georgia e l’Ucraina entreranno presto nella NATO, sia l’ultimo annuncio, quello che prevede l’installazione di missili americani in Polonia, praticamente alle porte di Mosca.

Quest’ultima notizia è passata un po’ sotto silenzio, ma è ancora più preoccupante, per due motivi: il primo è che per Mosca è una chiara provocazione che non passerà ignorata. Il secondo è che rappresenta l’ennesimo schiaffo della Polonia all’Unione Europea, visto che la politica estera dell’Unione andrebbe decisa insieme e che dubito molto che l’Europa abbia alcun interesse a schierarsi così apertamente contro la Russia. Arrivati da poco, i polacchi si sono subito distinti per aver preso l’Unione come un bancomat: ringraziano tanto per gli aiuti economici, ma quando c’è da fare qualsiasi concessione o da ragionare su interessi comuni fanno sempre e soltanto i fatti loro.

Proprio il ruolo dell’Europa in questa vicenda è, al solito, controverso. E’ andata un po’ meglio del solito, visto che Sarkozy ha avuto il buon senso di muoversi subito e accreditarsi fin dal principio come il massimo mediatore; peraltro anche questo potrebbe essere stato uno sviluppo calcolato in anticipo, visto che Sarkozy e Putin si piacciono (tra veri uomini ci si capisce). Dopodiché, però, l’Unione si è dimostrata al solito incapace di pesare davvero; il conflitto alle porte ha causato il solito megaincontro svogliato dei ministri europei, in cui si è distinto alla grande il nostro Frattini non andandoci nemmeno: per lui, la ripartenza della Guerra Fredda non è un motivo sufficiente per interrompere le vacanze alle Maldive.

Una Europa seria avrebbe la capacità, la credibilità e il peso per appendere al muro entrambe le superpotenze, spiegandogli che non è assolutamente il caso che si pestino nel giardino di casa nostra. Purtroppo, l’Europa è ancora un supercondominio dove tutti stanno insieme a parole, ma poi sono troppo impegnati a litigare sul conto della pulizia scale per riuscire a presentarsi seriamente all’esterno.

E ora, cosa succederà? Non so, non sono un esperto, ma Mosca ha il coltello dalla parte del manico; non solo può lasciare al freddo mezza Europa, ma ha mostrato peso militare e ha ricacciato i georgian-americani più indietro di prima. Gli americani, invece, sono un gigante dai piedi d’argilla: continuano a comportarsi come se fossero i padroni del mondo, grazie al loro indubbio dominio militare, ma hanno le pezze al culo, sono pieni di debiti quasi come gli italiani e la loro economia ha un futuro piuttosto dubbio. Se a russi e cinesi girasse di smettere di comprare i loro debiti, gli americani chiuderebbero baracca entro breve.

Per questo motivo, la seconda guerra fredda potrebbe finire molto diversamente dalla prima. La prima guerra fredda è stata vinta dagli americani sul piano economico, sfruttando il limite teorico del comunismo: l’incapacità di un sistema economico a pianificazione centrale ad evolversi a velocità comparabile con uno basato sulla libera iniziativa personale. Ora, però, Russia e Cina hanno capito il trucco; da quando Putin ha preso a mazzate nei denti la mafia che era fiorita tra una ciucca di Eltsin e l’altra, l’economia russa ha cominciato a galoppare; della Cina già sappiamo. Chissà che questi paesi non vincano la seconda guerra fredda sfruttando il limite teorico del capitalismo: l’incapacità di un sistema basato sulla libertà personale di sfruttare la propria manodopera quanto un sistema autoritario e collettivista.

Nessuno sa, in tutto questo, quale sarà il ruolo dell’Europa: per ora essa sta mettendo insieme il peggio dei sistemi capitalisti con il peggio di quelli socialisti, unendo bassa innovazione e bassa produttività e finendo dritta verso la recessione; e non è stata in grado di giocare il ruolo politico che invece le spetterebbe. Forse, tra un’edizione e l’altra di “scriviamo un incomprensibile trattato di duecentocinquanta pagine per poi farcelo bocciare da questo o quel paese membro”, sarebbe il caso di arrivare a una proposta chiara e convincente su questi piccoli particolari.

[tags]georgia, russia, stati uniti, polonia, europa, guerra fredda, politica internazionale[/tags]

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venerdì 15 Agosto 2008, 10:51

Ferragosto

Oggi è Ferragosto, e volevo rivolgere un pensiero a come sono cambiate le nostre vacanze estive. Quando eravamo ragazzi – meno di vent’anni fa – quasi tutte le famiglie passavano in vacanza un mese o più, al mare o in montagna; magari dai parenti o in campeggio per ridurre i costi, ma quasi tutti cercavano di lasciare la città per parecchie settimane, lasciando magari solo il capofamiglia a fare un po’ di su e giù se proprio non poteva prendere tutte le ferie.

Al mare in Liguria, la folla di torinesi era tale che spesso ritrovavi qualche vicino di cortile o di scuola; sembrava un po’ una succursale della città. La vacanza passava tra spiaggia, letto, giochi di vario genere e giusto qualche gitarella ogni tanto; da ragazzi ogni tanto si aveva da studiare, ma il grosso del tempo era riposo.

La sera, poi, si usciva e si andava a prendere il gelato – generalmente confezionato, dal tabaccaio – seguendo gli ultimi trend pubblicizzati su Topolino: ogni anno uscivano mirabolanti invenzioni, come il Calippo o il gelato di biscotto rotondo coi pezzetti di cioccolato, che per l’Italia degli anni ’80 era un lusso inimmaginabile. E poi si andava a fare la coda alla cabina telefonica, per chiamare i parenti; la coda alla cabina era un altro momento di socializzazione, mentre si cercavano di mettere insieme i gettoni telefonici: un oggetto oscuro e anche economicamente misterioso, visto che ogni tanto ne raddoppiavano di botto il valore e ognuno di noi si ritrovava per magia più ricco di qualche centinaio di lire, mentre l’azienda telefonica faceva fortune, solo che allora si chiamava SIP ed era dello Stato, quindi non faceva differenza.

Oggi, le vacanze sono diventate un altro lavoro; si sono accorciate e addensate. Si sta via otto giorni, nei quali però la spiaggia vietatissima è, a meno che non sia in un altro continente e non venga accompagnata da discoteche fino alle tre di notte e giornate di “sport” inventati da un australiano ubriaco, tipo il windsurf appesi coi denti a un cavo trainato da quattro bufali di mare in calore. In alternativa, bisogna salire su un aereo low-cost per poi affittare un’auto e vedere un intero Paese a tappe forzate, duecento chilometri al giorno con pause foto contingentate di dieci minuti ogni ora, esattamente come i turisti giapponesi che da ragazzi prendevamo in giro. Naturalmente, l’organizzazione di questo tour de force richiede ulteriore lavoro, per cui i mesi precedenti la vacanza si riempiono di ulteriori attività preparatorie; si arriva in vacanza stanchi e si torna più stanchi di prima.

Le cabine telefoniche non esistono quasi più, se non in qualche frazione sfigata e dimenticata da Dio; ormai c’è il cellulare, grazie al quale – dopo soli dieci minuti di danze voodoo per trovare campo – siamo sempre reperibili per qualsiasi rottura di scatole, anche dall’altro capo del mondo. In compenso, la SIP è diventata Telecom e fa arricchire alle nostre spalle, a turno, tutti i capitalisti raccomandati d’Italia. I gelati sono preparati a mano secondo le “antiche ricette di una volta” (il che, a rigor di logica, dovrebbe voler dire che hanno riaperto gli stabilimenti Sanson ed Eldorado, e invece non è così), costano tre euro a cono e quando te li vendono te li fanno pesare come a dirti “ringrazia che, per ora, puoi ancora permetterti un gelato”.

In effetti, anche io sono arrivato in montagna pensando che avrei comunque, ogni tanto, fatto qualche lavoretto, di quelli che durante l’anno proprio non ci stanno. Invece sto passando le giornate a dormire e guardare la televisione, e ne sono proprio fiero.

[tags]italia, vacanze, ferragosto, telecom, gelato[/tags]

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giovedì 14 Agosto 2008, 15:01

Atlete

Ho scoperto un buon motivo per guardare le Olimpiadi: si vedono certe facce…

Ad esempio, stamattina una nostra atleta si è scontrata contro una brasiliana per il torneo di judo femminile categoria 78 kg. Solo che la brasiliana si è in realtà rivelata essere un ex trans ora divenuto orso bruno, con qualche grumo di capelli ancora appiccicato in testa, e una testolina minuscola su un corpo gigantesco a forma di sacco di patate da cinque quintali. Appena la nostra si è avvicinata, la brasiliana l’ha sollevata e l’ha scaraventata a terra, poi le si è rotolata sopra esclamando “Grunf”, con la femminilità di Bud Spencer quando, ai bei tempi, si arrabbiava.

Anche la finale del tiro è stata interessante. La nostra, che poi ha vinto l’oro, sembrava una sciampista della bassa veneta appena uscita dal parrucchiere, tutta in tiro come se stesse per andare a far compere alla profumeria Unix di Marostica (VI). Tra le avversarie, però, c’era una cinese con lo sguardo assassino; ma veramente assassino, tanto da terrorizzare anche attraverso lo schermo. Con un fucile in braccio, aveva negli occhi quell’espressione che diceva “sì, ho un fucile, ma anche se non ce l’avessi potrei accecarti con un colpo di kung fu, quindi strapparti la lingua e usarla per legarti le palle e poi staccartele a morsi”. Credo che io, fossi stato lì, le avrei data vinta la gara per il terrore; e invece è arrivata ultima. Ma pensa te.

[tags]olimpiadi, atlete[/tags]

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giovedì 14 Agosto 2008, 12:48

TIM e la matematica

Evidentemente TIM ha una concezione molto particolare della matematica.

Infatti, per potermi collegare con il PC dalla montagna usando il cellulare come modem, come ogni anno ho attivato l’offerta che per 20 euro ti dà 500 MB di traffico entro 30 giorni (sì, lo so che Wind ha una offerta simile che costa molto meno, ma in montagna da me prende malissimo TIM, figuriamoci Wind). Sul sito è scritto che per attivare l’offerta è necessario disporre di almeno 23 euro di credito; io ne avevo 3; uscendo di casa, ho ricaricato online per 20 euro; poi, giunto in montagna, ho acceso il telefono e ho mandato l’SMS per attivare l’offerta.

E mi è arrivato l’SMS che dice “Attenzione! Non possiamo attivare l’offerta – devi disporre di almeno 23 euro di credito.”, subito dopo l’SMS che diceva “Attenzione! Abbiamo effettuato la tua ricarica, il tuo credito è ora di 23 euro.”. (TIM ti spamma di messaggi per qualsiasi motivo, addirittura ti manda ogni volta un SMS per avvertire che qualcuno si è loggato col tuo utente sul 119 online…)

Così ho dovuto attendere un giorno, andare in paese, comprare dal tabaccaio una ricarica da cinque euro, usarla, e solo allora ho potuto attivare la mia offerta per collegarmi. Chissà, forse qualche quadro Telecom potrebbe insegnare al resto dell’azienda l’uso dell’operatore “maggiore o uguale”

[tags]tim, cellulari, credito, matematica[/tags]

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mercoledì 13 Agosto 2008, 12:38

Italiani olimpici

Le Olimpiadi sono iniziate da qualche giorno e, come ogni volta, è iniziata anche la retorica olimpica: i giornali si sono riempiti di articoli strappalacrime che narrano le storie di questi atleti di sport ingiustamente considerati minori, che una volta ogni quattro anni arrivano all’onore delle telecamere per le loro medaglie, e poi vengono riconsegnati all’oblio per far vedere soltanto gli spocchiosi e infantili calciatori. Compaiono quindi articoli come questo (peraltro molto interessante, specie nei commenti) che distinguono tra la solita Italietta dei politici e dei calciatori, e l’Italia vera, seria, devota degli schermidori e dei tiratori.

E’ un peccato che gli schermidori e i tiratori si siano prontamente dedicati a demolire questo mito, dichiarando come primo e massimo desiderio dopo aver vinto la medaglia una sola cosa: poter non pagare le tasse. E giù di piagnucolii, e le tasse sono alte, e le paghiamo già tutto l’anno, e lo Stato si porta via metà del nostro premio, e noi abbiamo fatto tanta fatica, e già il premio è solo centoquarantamila euro, una bazzecola.

In effetti, a vedere certe prestazioni olimpiche, a sentire certe storie di lavoro e preparazione, ci eravamo stupiti: sembravano quasi gli atleti di un altro Paese. Per fortuna ci hanno subito pensato loro a rassicurarci: no no, sono proprio italiani.

[tags]italia, olimpiadi, tasse[/tags]

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mercoledì 13 Agosto 2008, 10:55

Consigli per le sagre

Ieri sera, prima di partire per la montagna, abbiamo provato l’annuale Sagra dell’Agnolotto e della Grigliata di Cortanze (AT), che si tiene quest’anno da ieri fino al 17 agosto. Il paese non è lontano da Torino, ci si arriva in meno di un’ora o da Villanova via stradine e Montafia, o da Asti ovest per la comoda strada della valle, o dal traforo del Pino, Chieri e Andezeno per gli amanti delle statali. La sagra è nell’unica piazza del paese, anzi si lascia la macchina direttamente lungo la salita.

Vale la pena di andare solo per gli agnolotti, che sono eccellenti; ma ci sono tante altre cose buone, tra cui un’ottima caponata di zucchine e la grigliata. Noi abbiamo mangiato abbondantemente per 22 euro ciascuno, comprensivi di un antipasto a testa, una porzione e mezza di agnolotti a testa, una grigliata in due che constava di una bistecca, uno spiedino, due costine e due gnocconi di salsiccia speziata, più le patatine, poi un dolce a testa, un bicchiere di vino e acqua.

Da giovedì ci sono anche i tradizionali involtini rumeni di carne e riso; da stasera c’è anche il ballo liscio (cioè, stasera c’è addirittura Tony D’Aloia, non so se mi spiego: l’equivalente piemonliscio degli U2). In alternativa potete fare un giro del paese, cosa che si può ottenere anche restando fermi al centro della piazza e girando su se stessi, che la dimensione è quella lì. Il castello però è carino, anche se al matrimonio per cui vi andammo mesi fa gli agnolotti non erano buoni come quelli della signora della sagra (che poi mi chiedo, ma a fare a mano gli agnolotti per sei sere per centinaia di persone a sera, ma quanto tempo ci vuole?).

Insomma, questo è il periodo delle gite fuori porta, cosa aspettate?

[tags]cibo, sagre, cortanze[/tags]

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martedì 12 Agosto 2008, 15:32

Scripta mutant

Oggi non volevo proprio bloggare sulle solite miserie italiche; volevo parlarvi della riforma delle Nazioni Unite e di altri temi che, nelle nazioni meno onfalofile della nostra, sono all’ordine del giorno. Solo che mi sono accorto che, quatta quatta, Repubblica.it ne ha fatta un’altra delle sue.

Stamattina, infatti, il quotidiano del Partito Democratico riportava con grande enfasi la notizia di otto ferrovieri genovesi licenziati per essersi fatti timbrare il cartellino da un collega, pur essendo assenti dal posto di lavoro. Qui trovate la prima versione della notizia, come apparsa anche in home page questa mattina: Repubblica la presenta (sia all’inizio che alla fine) come “effetto Brunetta”, parla di “duro provvedimento” e chiude evidenziando la protesta dei sindacalisti: “è una vergogna che li abbiate licenziati, stavano rubando lo stipendio ma non è poi così grave”.

Probabilmente Repubblica sperava in questo modo che i suoi lettori si indignassero contro il cattivo ministro forzitaliota che, poveretto, traumatizza i dipendenti pubblici licenziandoli se non lavorano. Qualcosa però deve essere andato storto: devono essersi accorti che persino i loro lettori progressisti trovano giusto che uno che si assenta di nascosto dal posto di lavoro venga licenziato.

E così, senza preavviso, nel giro di qualche ora è spuntata la seconda versione. Il primo paragrafo è quasi identico, ma poi sparisce qualsiasi riferimento sia a Brunetta che ai sindacati; in compenso, ora si racconta una storia strappalacrime secondo cui gli otto avrebbero in realtà svolto del duro straordinario, e si sarebbero fatti timbrare il cartellino dall’amico solo per non perdere il treno che, al termine del loro encomiabile sforzo, li avrebbe riportati a casa.

Che dire? Speriamo che ora i lettori si convincano, se no tra qualche ora Repubblica cambierà di nuovo l’articolo di soppiatto, e riporterà che gli otto avevano in realtà passato giornate senza dormire pur di riparare un intero Eurostar con il piccolo pezzo di filo di ferro a loro dato in dotazione dalle Ferrovie, e stavano correndo via senza timbrare, dopo diciotto ore di straordinario, soltanto per via di un terribile lutto in famiglia.

P.S. Ezio Mauro, vedi di non cambiare più niente, che ho fatto gli screenshot!

[tags]media, repubblica, ferrovie, brunetta, lavoratoooooriiiiii[/tags]

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