Sliding doors
Ieri mattina, in una delle tante riunioni politiche, ho fatto una cosa che non avevo mai fatto. La politica per natura accalora, e varie volte mi sono arrabbiato, alle volte pure troppo. Nell’arrabbiatura, ho detto e scritto cose esagerate, talvolta ingiuste, per cui ho poi chiesto scusa quando ce n’è stata occasione. Una sola volta, giunti verso l’una di notte, me ne sono andato senza che la riunione fosse finita, un po’ per disperazione, un po’ per sopraggiunto limite psicofisico. Ma non mi era mai successo di prendere e andarmene sbattendo la porta dopo una sola ora di discussione.
Non posso ovviamente raccontare i dettagli di quel che è successo, ma in una domenica che per l’ennesima volta – otto domeniche in tre mesi, se non ho contato male – doveva essere totalmente dedicata a una riunione politica (capite che di fronte a questo anche un’ora e mezza spesa a chiacchierare “contestando” nel gelo davanti allo stadio abbia un discreto appeal), me ne sono invece andato a consegnare i volantini al banchetto del No Berlusconi Day, poi sono tornato a casa, ho mangiato, ho letto, ho dormito, mi sono preparato per andare a Milano. Proprio mentre dovevo assolutamente uscire per non perdere il treno delle 17, su cui mi aspettava Elena, è squillato il telefono.
Dall’altra parte, una persona mi ha detto: “Noi il documento l’abbiamo finito. Tu allora cosa fai, lo firmi o molli tutto?”.
Ho avuto una frazione di secondo per decidere. Che fare? Da una parte il motivo per cui me ne ero andato era serio: comportamenti che io reputo inaccettabili, il rischio che anche questo movimento perda la sua via, che si trasformi nell’ennesimo partitino sinistrorso centrato attorno al capetto di turno, che rinneghi tutte le sue promesse di una democrazia diversa; e la paura di prestare la mia faccia, la mia eventuale credibilità , per un progetto che si riveli poi l’ennesima fregatura. Dall’altra, la constatazione che il nemico comunque è quelli là , è la casta, è il Berlusconi di destra o di sinistra di turno, e che continuando a dividerci non arriveremo mai da nessuna parte.
Non era una scelta facile, ma in un attimo ho ingoiato il mio orgoglio, ho accettato di firmare un documento che non mi hanno nemmeno fatto leggere, scritto da una persona di cui non mi posso fidare, pur di non dar vita all’ennesima spaccatura, all’ennesima divisione.
Ho passato dieci minuti al telefono dettando i miei dati, e poi sono uscito, tardissimo. Ho corso a perdifiato fino alla metropolitana, ho aspettato il giusto, ho preso il treno, sono uscito a XVIII Dicembre sempre correndo. Avevo già il biglietto, dunque ho attraversato la vecchia stazione al volo, ho timbrato di striscio senza nemmeno fermarmi, e nonostante fossi ormai stanco, svuotato e a rischio crollo ho continuato a correre sotto la pioggia e mi sono infilato nel sotterraneo. Ho cominciato a scendere i gradini del binario 4 di corsa e giunto a metà scala ho sentito il fischio del capotreno che dava il via alla partenza del treno per Milano. Ho sentito le porte chiudersi mentre facevo i gradini a due a due, e mi sono affacciato sul binario giusto in tempo per vedermelo lì, davanti al mio naso, il capotreno nella sua divisa verde, mentre metteva il piede sul predellino per rientrare attraverso l’unica porta rimasta aperta del treno ormai in partenza.
Ho fatto un salto e ho mezzo travolto pure lui, infilandomi tra le porte scorrevoli un attimo prima che si chiudessero, su quel regionale strapieno di poveri pendolari pigiati in ogni angolo. Di treni al volo ne ho presi a decine, ma nessuno mai al volo come questo, proprio all’ultimo secondo utile.
Peccato che nessuno di noi abbia davvero di idea di dove, e per quanto ancora, ci porterà questo treno.
[tags]politica, beppe grillo, 5 stelle, treni, scelte, futuro[/tags]