Un classico del venerdì pomeriggio
Per arrivarci è necessario un giro di chilometri, perché in Italia prima si fanno i cubi di cemento privato, poi li si collega alle strade che ci sono, poi si realizza che i cubi di cemento portano traffico e si comincia a progettare una strada più larga, poi il progetto si ferma per qualche anno tra uffici pubblici poco celeri e contestazioni di vario tipo, e infine, se va bene, dieci anni dopo arriva la strada, proprio quando il cubo di cemento ormai è vecchio e per qualche motivo non attrae nemmeno più tanto traffico.
Vedasi Malpensa, ma io sto parlando dell’Ikea di Collegno; che se per caso uno arriva da Collegno deve infilarsi giù per le rampe del vecchio ponte, e poi risalire in fila indiana verso la tangenziale, e poi immettersi in una nuova bellissima rotonda dove il traffico è strozzato perché cento metri dopo è rimasto il vecchio semaforo; e poi lo vede lì, il cubo di cemento, ma non può svoltare a sinistra perché l’immissione della nuova strada cozza con il vecchio svincolo e comunque ci vorrebbe una nuova rotonda che però manca, e allora deve andare avanti per tre minuti, poi svoltare a sinistra alla terza rotonda, e poi ancora immettersi in una quarta rotonda dove le uscite non sono segnalate e se sbagli ti ritrovi irrimediabilmente immesso sull’autostrada in direzione Milano, e poi scendere in un sottopasso sotto il passaggio delle mucche della vecchia cascina – come se in mezzo a tutti questi cubi di cemento ci fossero ancora mucche desiderose di vivere lì – e poi risalire, e prendere la quinta rotonda, aggirare il parcheggio, e poi infilarti nella coda, passando per tantissime piccole file di pochi posti disposte in maniera irregolare e imprevedibile.
E poi, se finalmente parcheggi e non è detto che ciò sempre avvenga, sei a chilometri dall’ingresso, e allora cammini, e cammini, e arrivi finalmente alle porte, e sali una prima scala (a piedi perché la scala mobile è già rotta) e poi una seconda scala ed eccoti lì, all’inizio dell’esposizione dei mobili; e se prima, a Grugliasco, la situazione era un po’ claustrofobica ma giravi tutto il negozio in tre minuti, ora il negozio è immenso, infinito, perso in un dedalo di passaggi disposti come il labirinto della Settimana Enigmistica, messi in direzioni contrastanti per costringerti a calpestare ogni singola mattonella, una per una, a non mancare nemmeno una occasione di comprare una presina Skøtta o sperimentare le infinite combinazioni dei salotti componibili SkÃ¥strÃ¥, talmente infinite che un giorno un commesso è riuscito a comporre un anello di Möbius e a ritrovarsi alternativamente dentro e fuori dall’armadio senza mai aprirne l’anta.
E così percorri tutto il piano, sfidando passeggini e bambini urlanti e signore indecise e coppiette sudamericane che, chissà perché, insistono nel fare il percorso al contrario (sarà che vengono dall’altro emisfero). E finire il piano non basta, devi scendere e percorrerne tutto un altro, perché è vero che ogni tanto ci sono delle scorciatoie ma sono scorciatoie misteriose, non si sa dove vanno e cosa ti perderai e se proprio lì, proprio nella sezione che hai tagliato, stava il tuo mobile tanto desiderato.
E infine arrivi, quando già disperi, proprio in fondo e lo trovi lì, all’inizio della zona self service, l’angolo del mobile Gorm, lo scaffale da cantina che devi comprare da due anni, dicesi due anni, e dopo mesi di triangolazioni e studi e modelli tridimensionali e lavori preparatori con tanto di smaltimento macerie ora sei pronto, giunto sull’altare del tuo matrimonio svedese, tu e il tuo mobile da cantina, un insieme di assi di pino che potrai montare in sole sei ore per risparmiare cinque euro di manovalanza.
E allora guidi il tuo inguidabile carrello, dopo ore di percorsi di avvicinamento, e lo accosti nel posto giusto, fila tre posto sei, e ti prepari a caricare, e scopri che oggi, proprio oggi e non ieri, proprio oggi e non domani, hanno terminato i ripiani angolari 77 x 50, senza cui il tuo mobile non può nemmeno stare in piedi.
Ma vaaaaaaaaaaffanculo va, Ikea!
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