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Archivio per il mese di Novembre 2006


mercoledì 15 Novembre 2006, 17:36

Fuori

Ieri ho deciso di utilizzare la mia pausa centrosettimanale – mercoledì e giovedì, privi di qualsiasi appuntamento – per andare in montagna. Ho casa in val d’Aosta, in un piccolo villaggio di palazzine moderne, isolato e conficcato su un dolce declivio davanti al vuoto mozzafiato della grande curva della valle principale. Nel villaggio stanno ancora costruendo, e questi blitz infrasettimanali – in cui sono ovviamente l’unico abitante del villaggio, oltre al custode e agli operai – creano sempre scompiglio al piano dei lavori: a ottobre sono rimasto senza gas (e quindi senza riscaldamento, con dodici gradi in casa) fino alle sei dei sera, cavandomela con un termoventilatore elettrico da dieci euro; stavolta stavano dipingendo di rosa la facciata, e mi sono trovato le finestre incerottate e coperte, anche se per fortuna avevano finito e ho potuto regolarmente spalancare

Comunque, questo ritiro spirituale in mezzo alla natura, preso nelle giuste dosi, è eccezionale per calmare lo spirito, ma anche per permettermi di portare avanti alcuni progetti di lungo termine (ancora non di pubblico dominio) di cui vi parlerò presto. Finisce però che passo buona parte del giorno a percolare, ossia a riflettere sui problemi miei e del mondo nei thread a bassa priorità del cervello, tra una partita alla playstation, un po’ di cucina e qualche passeggiata.

Oggi c’era il sole e la giornata era eccezionale; sono uscito tardi, a metà pomeriggio, e già nel bosco subito sopra le case c’era soltanto il silenzio, mentre la luce di taglio faceva brillare tutti i colori delle foglie, dal verde all’arancione, al giallo, al marrone e al rosso. Dieci chilometri più sotto, in fondo alla valle, si vedeva un balugine lattiginoso e globulare che pulsava bianchiccio, avvolgendo in una nebbia di plastica i paesi dell’autostrada. Qui, però, l’aria era pulita, ferma, come in una fotografia avvolgente che, non avendo preso la macchina, non potevo fare; ma era anzi più bello che il momento fosse un pieno a perdere, unico come un battito di ciglia.

Ho risalito il crinale, scollinato nella valle di Ayas e seguito la costa della montagna; non pensavo di andare lontano, mentre il cielo si ingrigiva e la luce cominciava a svanire. Eppure, in un attimo mi sono ritrovato al bivio, e ho preso la strada che non avevo mai fatto, quella che punta verso il mistero dell’alta montagna, del Monte Zerbion a picco sulla testa e del Monte Rosa lontano in fondo, e sconsiglia di farsi prendere con un perentorio segnale di divieto di transito: “ANCHE AI PEDONI – PERICOLO DI CROLLI”.

Certo c’è pericolo di crolli, davanti alla nuda natura delle montagne, dove un cammino da soli diviene un viaggio, e dove il bosco e la roccia si snodano sempre uguali e sempre diversi nello spazio e nel tempo. Forse il motivo per cui ci chiudiamo in case fisiche e mentali è proprio la paura di non capire l’infinito, di non riuscire ad abbracciarlo per intero, e di finire dentro la pazzia del desiderio di scoperta che alimenta se stesso, quello che spinge da millenni gli esploratori a spingersi troppo lontano, a morire al Polo Sud o nel gelo dei meandri della propria mente. Ci vuole coraggio per apprezzare le proprie proporzioni, per realizzare la propria infinitesima dimensione e profonda irrilevanza rispetto all’universo, e nonostante questo viverci insieme in pace, senza sentirsi impotenti e senza delirare di controllo e potere, arroganti desideri che ci sono possibili solo in un mondo recintato e artificiale (castrato all’ennesima potenza) costruito dall’uomo per l’uomo, ma non nel mondo reale.

Bastano poche curve per arrivare alla prospettiva del crollo, sotto forma di una galleria completamente buia che trapassa una roccia di cinquanta per cinquanta per cinquanta metri, sdrucciolata chissà quando dall’alto del monte sulla strada medievale che sto percorrendo. E’ una trachea buia e inospitale di cui non si vede il fondo, costellata di rocce cadute qua e là, e tende a suggerire che, dopotutto, il pericolo potrebbe esserci davvero. E’ l’astuzia del genere umano a suggerirmi la via, sotto forma di uno stretto cornicione rimasto agibile tra la roccia e la vecchia strada, e già percorso da altri esseri animati prima di me. Seguo la traccia come prima di me i lupi e i cerbiatti, e sbuco da un groviglio che non diresti, proprio dall’altro lato della galleria.

Ma dopo qualche altra curva arriva la seconda galleria, e nel frattempo è freddo e quasi buio, e sono a quasi un’ora di cammino da casa. Decido che è giunto il momento di tornare indietro, e che la mia esplorazione, per oggi, si è spinta a sufficienza. Al ritorno, però, voglio far valere il coraggio di un Prometeo senza torcia, in onore di quegli esseri umani che, nei millenni precedenti a noi, hanno fatto ben altro per permettere alla storia di giungere fino a qui.

Imbocco la galleria a passo sicuro, sfruttando la luce che arriva alle mie spalle, e confidando nella lunghezza ridotta, e nel fatto che l’altro lato apparirà a breve. Eppure, la luce si affievolisce, e nulla succede. Il passo si fa incerto, poi cauto, perchè non vedo nè sento nulla, privato dei miei sensi e quindi in balia del destino. Potrebbe esserci un gradino, una voragine, un troll o la porta dell’inferno, ma io posso solo contare sull’udito e sul tatto dei piedi, perso nel buio dietro il buio davanti.

A un certo punto, però, ho l’illusione di una lievissima stella cometa, come una sottile traccia color nero chiaro sullo sfondo color nero scuro, che piega di colpo a sinistra; sembra una di quelle impressioni che restano sull’occhio dopo una vista abbagliante, e potrebbe essere anche una tentazione di una strega cattiva. Dopo dieci passi nel buio, però, la traccia salvifica si fa più credibile; mi avvisa della parete di roccia che segna una inspiegabile curva ad angolo retto, segno di quando l’ingegneria mineraria si faceva a picconate e speranza nel Signore. Ironicamente, la traccia curva è il riflesso della fioca luce esterna sul grosso tubo di gomma che segue la strada per chilometri, portando l’acqua dai monti alle alte borgate: l’unico elemento moderno in un viaggio alle radici del tempo.

E’ quasi buio, anzi dopo poco è buio proprio, e anche all’esterno i passi si fanno incerti. Dopo mezz’ora sono sopra casa, e soltanto allora realizzo che, residuo di quando ero nella galleria, ho ancora il pugno sinistro stretto e serrato attorno al mio pollice. Non c’è niente da fare: alla fine siamo sempre un novantanove per cento di animale, regno di istinto e di archetipi nascosti, che finge di essere quell’un per cento di spirito e ragione, e se ne vanta pure. Se qualcuno che è puro spirito ci guarda, starà senz’altro ridendo gentilmente di noi.

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mercoledì 15 Novembre 2006, 10:42

Piccoli siti chiudono

ArchivioToro era un sito eccezionale. Messo in piedi a manina da un ragazzo di Saluzzo, riportava tutti i risultati di tutte le partite del Toro dal 1906 a oggi, i marcatori, gli spettatori, i giocatori, una marea di altri dati statistici. Il ragazzo è un ottimo web designer ma non è un tecnico, per cui si era fatto veramente tutto il sito a mano, compilandolo pagina per pagina, senza nemmeno un database alle spalle, con un lavoro certosino di anni.

Da un paio di settimane, il sito è chiuso. Ufficialmente non se ne sa nulla, ma pare che qualcuno – non il Torino FC, ma piuttosto qualcuno che in passato aveva già pubblicato libri di statistiche sul calcio – abbia mandato una diffida legale, sostenendo che i risultati delle partite di calcio del Toro sono di sua proprietà. Mi sembra concettualmente ridicolo e difficile da sostenere, ma capisco come un ragazzo che fa questo per hobby e a proprie spese abbia preferito chiudere il sito.

E io, come al solito, resto a bocca aperta, e mi chiedo che ne sarà di noi se questo genere di attitudine alla “proprietà intellettuale” venisse confermato.

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martedì 14 Novembre 2006, 13:29

Poesie in TV

Mi capita ogni tanto di essere a casa il lunedì sera, e in questo caso finisco sempre per guardare l’eccellente Crozza Italia su La 7, di e con Maurizio Crozza & Elio.

Crozza è bravissimo, e infila personaggi uno dietro l’altro, tra cui uno strepitoso Friedman e un sulfureo papa Ratzinger che scommette trecento euro coi vescovi che può fare un Angelus senza dire nulla, lo fa e poi pretende i soldi a tutti i costi (sì, sono già piovuti gli strali di tutti i gruppi cattolici d’Italia). Elio è una spalla perfetta, e permette di riempire il programma di numeri musicali (dagli spoof degli Abba a vere improvvisazioni) a cui spesso partecipano anche Giorgia e altri ospiti. L’altra spalla è la signora Crozza, Carla Signoris, anche se spesso dà l’impressione un po’ sgradevole di sgomitare per rubare la scena. E poi è fantastico il TG5 remixato da Rocco Tanica

Comunque, non era questo che volevo dire; è che ieri c’era ospite Sandro Bondi, intervistato da un Crozza che rifaceva spiccicato Marzullo. Ora, Bondi è sovraesposto e sovraimitato, ad esempio alla (altrettanto notevole) Grande Notte di Gene Gnocchi; lo prendono tutti per il sedere per la sua velleità di scrivere poesie. Eppure, ieri, a fine intervista, ne ha letta una… e così, al primo ascolto, mi è sembrata bella! Mi devo preoccupare?

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lunedì 13 Novembre 2006, 19:50

Tutto sporc

Per chi non è addentro al cuore del tifo, è probabilmente difficile capire quello che sta succedendo in questi giorni nel mondo sportivo e affaristico torinese, anzi probabilmente non ce ne si accorge nemmeno. Eppure, è un esempio tipico – oltre che della cappa di maneggi che da cinquant’anni sovrasta Torino – dei tanti problemi di convivenza tra carta stampata e Internet, e come tale vorrei descriverlo.

Pochi, per cominciare, si sono accorti del fenomeno Toronews. Si tratta di un sito di supporter del Toro he è cominciato così, alla buona, cinque anni fa, come uno dei tanti forum di tifosi. Negli ultimi 18 mesi, però, si sono sommati vari fattori: alcuni strutturali, come il fatto che la tifoseria del Toro sia grande (la quinta o sesta in Italia) e con code lunghe ma significative sparse per tutto il mondo, e che sia accentrata sulla città tradizionalmente più tecnologica d’Italia; altri contingenti, come il thriller granata dell’estate 2005, che ha richiamato i cuori di mezza Torino, e il successivo entusiasmo per la rinascita con la presidenza Cairo; altri specifici, come il fatto che Toronews abbia alle spalle un gruppo di finanziatori appassionati e del mestiere, che hanno affiancato al forum una vera testata giornalistica, anche se in miniatura.

Tutto questo ha portato Toronews a diventare, pare, il terzo sito sportivo più visto d’Italia e il primo “monosquadra”, con 250.000 utenti unici al giorno e con un forum da 10.000 utenti e cinque milioni di messaggi.

Ora, prendiamo invece in esame un quotidiano sportivo a caso: Tuttosport. Si tratta di un giornale di grandi tradizioni, fondato da quel Casalbore perito nella tragedia di Superga, e che tra i suoi direttori passati annovera gente come Ormezzano, Dardanello e Minà. Sfortunatamente, l’Italia è quella che è e il giornalismo sportivo d’autore non vende; Tuttosport, peraltro, vende ancora meno (un quarto della Gazzetta dello Sport, e la metà del Corriere dello Sport).

Per mantenere vive le proprie sorti, quindi, da qualche anno Tuttosport sceglie di focalizzarsi su un target: la prima tifoseria d’Italia, quella della Juve. Difatti, anche eliminando gli analfabeti dal conto, la tifoseria juventina offre un pubblico potenziale di una decina di milioni di lettori, anche se purtroppo la maggior parte di questi sono tifosi troppo tiepidi per comprare un quotidiano sportivo.

Nascono così scelte giornalisticamente sempre più imbarazzanti. Un italiano vince la maratona alle Olimpiadi di Atene, la competizione sportiva più nobile al mondo? Tuttosport titola “Medaglie Juve”. La Juve stacca l’Inter coi gol di Mutu? Ecco un titolo pacato e raffinato: “Mancini, stai Mutu”. Non parliamo di “calciopoli”, dove la posizione di Tuttosport è “Pulita solo la Juve”. E poi, c’è il mercato: qualsiasi giocatore viene prontamente associato alla Juve e ogni tanto anche al Toro, sparando bufale colossali (sentite che ne scriveva Clarence già quattro anni fa).

Ma fossero solo questi i problemi… il vero punto è il coinvolgimento di Tuttosport, allineato e coperto a Mamma Fiat, nelle vicende societarie ed extrasportive del Torino. Quando il Toro era in mano ai “genovesi” di Vidulich, Tuttosport gli diede contro finchè non riuscì a far partire la contestazione, con successiva vendita a Cimminelli, fornitore Fiat, che portò il Toro prima a languire in B e poi al fallimento (a proposito, il giorno che il Toro fallì Tuttosport titolò “Alex strega Cassano”, relegando la notizia a fondo pagina). Dopo l’arrivo di Cimminelli, Tuttosport si vantò di aver salvato il Toro, anche se, a posteriori, Cimminelli si rivelerà essere un sicario sportivo per conto terzi.

Potete quindi immaginare il piacere che fa a Tuttosport (e anche alla Stampa, se è per questo) il fatto che il Toro sia in mano a un altro editore, non torinese e non succube dei circoli buoni della città, in grande ascesa, e con espliciti piani di fondare un quotidiano popolare nei prossimi anni.

Veniamo dunque a quest’anno, quello in cui, per le note vicende, il Toro rischia di rubare la scena cittadina alla Juve. Il Toro parte male, e subito Tuttosport comincia a dare contro a Cairo. Ogni occasione è buona per seminare zizzania, insistere su gelosie nello spogliatoio, sugli errori nella campagna acquisti, sull’inspiegabile cacciata di De Biasi; questioni vere, che però vengono amplificate continuamente. Altre volte sono sonore palle, come le “notizie” sulla presunta intenzione di Cairo di vendere il Toro alla Gazprom, o di assumere Serse Cosmi, o di comprare questo e quell’altro giocatore a gennaio, con prevedibili effetti sul morale già basso della rosa attuale.

Comincia un po’ di nervosismo nei tifosi, e specialmente negli ultras, schierati compatti a difesa di Cairo; e anche sul forum di Toronews, che è lo specchio fedele degli umori della tifoseria. Il complottismo è l’anima di Torino, ma, visti i precedenti, i sospetti sul tentativo di spingere Cairo alla fuga per trovare un acquirente meno scomodo e più malleabile non sono infondati.

A questo punto, Tuttosport comincia a provocare apertamente; per esempio, informa di un interessantissimo dibattito sullo stemma della Juve – se sia meglio la zebra o il toro di Torino – sparando a nove colonne il messaggio “Il toro è juventino”, che per un tifoso granata è più o meno come sentirsi urlare in faccia “Tua mamma è una zoccola”.

Il clima si scalda, allo stadio compaiono striscioni di contestazione al giornale, parte una riuscita campagna di boicottaggio che fa sparire Tuttosport da molte case e da molti bar della città. Purtroppo, però, sul forum compaiono anche i soliti cretini che sparano alcune (ovviamente inqualificabili) minacce al direttore Padovan, tipo “ti spezziamo le gambe”, e ad alcuni suoi giornalisti (come nota a margine, i giornalisti che scrivono di Toro su Tuttosport sono granata veri, alcuni anche protagonisti dell’estate in piazza di due anni fa, e posso solo immaginare quanto debba essere frustrante trovarsi presi in mezzo a questa storia).

Ora, qui le fila della storia si riannodano, perchè cosa fa Tuttosport? In una prima assoluta per l’Internet italiana, diffida. Sguinzaglia gli avvocati addosso a Toronews, con allegato elenco di nickname e frasi incriminate, dicendo: o voi bannate questi utenti immediatamente, o domani mattina il proprietario del sito si becca una denuncia per diffamazione a mezzo stampa, e il sito viene messo sotto sequestro.

Il sequestro dei siti, si sa, è “preventivo” nel senso che, come in questo caso, prima ti chiudono il sito, e poi dopo tre anni e mezzo sei ancora lì in attesa che il tuo caso venga esaminato. Insomma, vorrebbe dire chiudere baracca. E quindi, Toronews non può fare altro che chinare la testa. Una decina di utenti viene sospesa, con promessa di ban in caso di future violazioni; tutti i thread che discutono la questione con toni accesi vengono chiusi, purgati, cancellati del tutto.

Immagino Padovan che si frega le mani: due piccioni con una fava. Già, perchè per il quotidiano sportivo di una città come Torino avere in casa Toronews è un disastro. Spari una palla sul giornale? Dopo tre secondi qualcuno la smaschera, e dopo due ore, tramite forum, lo sa tutta la città sportiva. C’è una conferenza stampa con dichiarazioni clamorose? Tu le pubblichi il mattino dopo, ma tutti le hanno già lette sul sito il giorno prima. (Non a caso i quotidiani sportivi stanno chiedendo sempre più spesso alle società di vietare ai giornalisti dei siti l’accesso alle conferenze stampa.) Vuoi montare una campagna di stampa per questo o quello scopo più o meno pulito? Anche l’ultimo dei lettori ha una tribuna su cui risponderti, e uno strumento per organizzare campagne di controinformazione.

Nel ventesimo secolo i media sono stati il vero potere, spesso più ancora dei politici o delle aziende. Editori e direttori sono abituati ad essere pieni di sè e del proprio ruolo. Eppure, Internet sta velocemente cambiando tutto questo: con i forum, con i blog, con i siti indipendenti. Non c’è da meravigliarsi che a Tuttosport – e, più in grande, a chi controlla l’opinione pubblica a Torino tramite i quotidiani e l’ineffabile TGR Piemonte – questo faccia paura; se c’è un modo di intimidire Toronews e tutti i garibaldini dell’internette, è naturale che esso venga usato il più possibile, insieme a tutti gli altri strumenti a disposizione (ad esempio quello di spingere siti concorrenti e affiliati come Tuttotoro, clone nato un anno fa in modo non chiarissimo da un gruppo di fuorusciti da Toronews, e però accuratamente privo di forum).

E’ però preoccupante che la legge italiana non offra difese sufficienti ad evitare che bastino una decina di scriteriati su un forum a creare un concreto rischio di chiusura per l’intero sito. Si tratta di un’arma impropria a disposizione di chiunque voglia impedire con la forza l’espressione di opinioni non allineate, o semplicemente voglia perseguire i propri interessi economici con mezzi poco ortodossi.

Nessuno vuole che Internet diventi un territorio franco per calunnie e diffamazioni di ogni genere, ma l’impressione è che il problema non sia quello; che si tratti invece, come troppe cose in Italia, di una triste questione di controllo e di potere.

Per questo, io non leggo Tuttosport, ma ne parlo apertamente: perchè è ora che ciascuno di noi smetta di credere supinamente a quello che ci propinano giornali e televisioni, e impari a scoprire da sè, usando gli strumenti della rete, le verità alternative sulle cose.

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lunedì 13 Novembre 2006, 17:01

Conference call

Mentre vi scrivo queste righe, sono appena uscito da una conference call in inglese di due ore e ventuno minuti, per la teleriunione mensile dell’ALAC, in cui si è discusso di non più di un paio di argomenti e perdipiù nemmeno politici (il principale, un’ora e mezza abbondante, è stato il piano temporale delle riunioni interne al prossimo meeting di ICANN).

Detto che questo genere di cose dovrebbero essere proibite dalle convenzioni internazionali per via di come debilitano il fisico e la mente, è bene segnalare che mettere dieci persone di dieci parti del mondo diverse a discutere se fare il meeting introduttivo martedì alle 8 o mercoledì alle 8,30, con una chairperson che non si è organizzata in anticipo nemmeno l’agenda, fa iniziare la discussione vera e propria dopo 23 minuti di attesa per tutti quelli che hanno tagliato e che comunque non verranno, e pare non avere la minima idea di come chiudere un qualsiasi punto all’ordine del giorno in meno di un’ora e mezza, è una delle peggiori idee che si possano avere.

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sabato 11 Novembre 2006, 16:40

Elogio della censura consapevole

Sono sicuro che il film di Borat, appena uscito con gran successo nei paesi anglosassoni, è divertentissimo. Seguo gli sketch di Baron Cohen da tempo, tramite amici che vivono in Inghilterra, o tramite la rete. Avevo visto in diretta l’apparizione di Borat agli MTV EuroAwards di un anno fa, spanciandomi dalle risate. (Per i pochi che non lo conoscono, Baron Cohen è un comico inglese di grande successo, in particolare con i personaggi di Ali G, un rapper nero e coatto, e appunto di Borat Sagdiyev, un ingenuo e volgare giornalista del Kazakistan alla scoperta dell’Occidente.)

Il film è basato su una serie di “candid camera” in cui Borat raggira americani di ogni genere, da politici e star televisive fino all’uomo della strada, con una serie di comportamenti provocatori, battute razziste, sessiste e omofobe, volgarità di ogni genere, presentate come il normale comportamento dei kazaki. Per questo le esibizioni di Borat provocano regolari proteste diplomatiche del governo di Astana; difatti i kazaki – che sono, tra l’altro, uno dei popoli più variegati dell’ex Urss – vengono rappresentati come una schiatta di bifolchi ignoranti, arretrati e maschilisti, che vivono come bestie, e i cui vanti secondo Borat sarebbero “le prostitute più pulite di tutta l’Asia Centrale” e la bevanda nazionale a base di piscio di cavallo (vedi il trailer). Eppure, in Occidente Borat è un idolo dei giovani.

Bene, dunque? Voi sapete che io ho sempre un’opinione su tutto, ma questo film mi ha spiazzato. Non riesco a capire se è una intelligente provocazione contro l’ignoranza degli americani, o una squallida operazione commerciale per fare dei soldi schernendo un popolo remoto e rinforzando pregiudizi di vario genere. Non riesco a capire se farà del bene al Kazakistan, costringendolo a confrontarsi con la propria immagine internazionale e insieme promuovendolo agli occhi del mondo, o se diventerà un tormento decennale per qualsiasi kazako all’estero. E così, mi sono chiesto se dovremmo esaltarlo, o censurarlo del tutto, come si apprestano a fare la Russia e tutti i paesi dell’Asia Centrale.

Il confine tra libertà di espressione e licenza socialmente inaccettabile è sempre molto difficile da tracciare, perchè si sposta con l’evoluzione della cultura di ciascuna società; è sempre successo e sempre succederà che vi siano individui che rompono le regole e spostano i confini, ma anche che pagano questa scelta con l’ostracismo, magari per essere rivalutati a posteriori. L’errore sta nel pensare che tutto questo sia ingiusto, anzichè naturale, e che possa non esserci un confine, insomma che libertà di espressione significhi che qualsiasi espressione è lecita.

Si tratta di una questione di principio piuttosto seria, perchè rappresenta forse il principale elemento di incomprensione tra la cultura occidentale e quei due mondi, quello islamico e quello asiatico centrale e orientale, che sono i soli nella storia a non essere stati culturalmente colonizzati a forza dagli europei, e che includono però quattro dei sei miliardi di esseri umani.

Solo nella nostra cultura, e solo negli ultimi quarant’anni, è stato progressivamente abolito il cosiddetto senso del pudore collettivo, ossia l’idea che esistano argomenti, comportamenti ed opinioni che deve essere vietato esporre in pubblico. La facilità con cui si parla e si mostra il sesso in pubblico, che per la nostra società occidentale è una conquista libertaria di cui andare fieri, per il resto del mondo è una barbarie cruda e offensiva. La volgarità, la blasfemia – intesa non come offesa a un dio, ma come mancanza di rispetto per le convinzioni religiose di altre persone -, l’aggressività diretta a chi la pensa diversamente – con tanto di risse – che occupano in permanenza la nostra TV, che noi magari deploriamo ma che poi guardiamo con divertimento o comunque come una libertà tollerabile, ci rendono lascivi, perversi e depravati agli occhi di altre culture, che non hanno nessuna intenzione di adeguarsi.

Questo genere di comportamenti è tutto intorno a noi. In alcuni casi scatta ancora un po’ di deplorazione, come nel caso del videogioco in cui bambine di pochi anni seppelliscono viva una coetanea, recentemente assurto all’onore delle cronache; in altri, non è ammesso nemmeno porre il problema.

L’altra sera, ad esempio, ho assistito a uno spettacolo teatrale (peraltro molto bello) intitolato Elogio della sbronza consapevole, in cui per novanta minuti si spiegava quant’è bello e poetico ubriacarsi volontariamente; la semplice espressione di un dubbio sul fatto che fosse giusto proporre un messaggio del genere (perdipiù finanziato con soldi pubblici) ha provocato imbarazzo, risate di scherno, accuse di bigottismo o tout court di fascismo. Come se l’artista, pur di fare uno spettacolo di successo, avesse il diritto di fregarsene delle conseguenze sociali ed umane del proprio lavoro; come se si potesse assumere che tutti gli spettatori siano in grado di elaborare criticamente il messaggio, in una società di bambini precocemente esposti ai media e di adulti ignoranti ed eternamente immaturi.

Nel caso di Borat, vediamo alcune di queste conseguenze. Gli zingari in Germania hanno protestato per le battute razziste nei propri confronti e hanno ricevuto indietro sonore pernacchie. Alcune delle persone raggirate nel film hanno perso il lavoro e talvolta la fiducia in se stessi. Una bambina kazaka di sette anni, adottata in America, è scoppiata in lacrime sentendo Borat definire il Kazakistan in TV come “un paese da cui nessuno vorrebbe adottare un bambino”.

Tutto questo, a che pro? Borat non fa scherno dei razzisti per contestare il loro razzismo, come sosterrebbero i cultori della “libera espressione”: Borat dileggia chiunque, sia i razzisti che le vittime del loro razzismo, dall’americano medio al kazako medio passando per donne ed ebrei. Egli è un antisociale che se la prende con tutti, probabilmente per sentirsi superiore: un perfetto esempio di persona priva di empatia e di rispetto per gli altri, in un mondo che ha un disperato bisogno di costruire una cultura di rispetto reciproco della diversità, per riuscire a sopravvivere tutti insieme senza spararsi addosso. Una persona del genere andrebbe curata, non certo messa sugli schermi di tutto il mondo come modello di comportamento.

Il problema fondamentale è che in una cultura priva di valori etici e in cui lo scopo della vita di molte persone è più o meno esplicitamente l’arricchimento economico, qualsiasi cosa diviene lecita pur di fare soldi: anche il cosiddetto principio di Paris Hilton, per cui, dato che l’importante per vendere è che se ne parli, e che la violazione del senso del pudore fa sicuramente parlare la gente, si può costruire una fortuna economica sulla violazione del senso del pudore: sulla volgarità, sul sesso esibito, sulla blasfemia, sul razzismo, sull’aggressione verbale verso gli altri, sul prendere in giro i più deboli.

So di dire una cosa che va profondamente contro la nostra cultura, ma del fatto che questo comportamento debba essere permesso dalla legge, o che questo renda arretrate e bigotte le società che invece lo puniscono duramente, non sono affatto convinto. Sono invece sicuro che Voltaire, quando disse di essere disposto a morire per permettere l’espressione delle idee altrui, non si riferiva affatto a tutto questo.

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venerdì 10 Novembre 2006, 18:54

Post scriptum

Non voglio esimermi dall’aggiungere che questa sera c’è stato un tramonto eccezionale; si sono viste nel cielo tutte le sfumature dell’arcobaleno, partendo dal giallo per virare poi all’arancione, quindi al rosa, e poi a un viola sempre più intenso e luminoso, che è sfumato nel blu sopra il nero dei tetti. Ed è stato magnifico anche il ritorno a casa, con la bici nel buio del parco della Pellerina, e la fioca luce della mia dinamo che illuminava una fitta ed incredibile pioggia di foglie gialle e lievi ad annunciare l’inverno nei capannelli di alberi, in una muta sospensione del reale che avrebbe potuto essere la scena di un film.

Temo comunque di non essere riuscito a comunicare perfettamente il perché io sia felice ed i relativi viluppi filosofici; ne parleremo con calma di persona, o anche qui, se avrete delle domande da fare; tipo chi sono, che cosa ci faccio qui, che cosa potrei fare, o anche, è nato prima l’uovo o la gallina.

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venerdì 10 Novembre 2006, 14:25

Giorni di gloria

Sono giorni di gloria, questi, perché è da molto tempo, forse da sempre, che le mie giornate non erano così luminose.

Oggi a pranzo, per esempio, ero in giro con la mia bicicletta per le vie del centro di Torino, allagate di una luce fredda e abbagliante, riflessa giù dalle montagne lontane. In teoria dovevo soltanto mangiare e poi andare in ufficio, ma è stato bello scegliere di perdersi per qualche minuto nel giallo divino che colorava le strade e i palazzi, e nella folla che, come formiche uscite al sole per un prematuro disgelo, si spandeva disordinatamente per le piazze.

E’ una di quelle giornate in cui più che mai il centro di Torino è enigmatico e metafisico, con le sue prospettive infinite come un gioco di Escher, e la sua uniformità barocca che agisce da specchio. Arricchito da provocazioni postmoderne, che vanno dalle installazioni fintamente commerciali in via Buozzi fino alle linee d’acqua fumante di piazza Carlo Alberto, passando per le finestre fotografiche sull’umanità esposte in piazza San Carlo, il centro di Torino abbracciato dalle Alpi diventa una sfera sezionata da un reticolo, il simbolo stesso dell’umanità distesa al sole e in rapporto con il divino che illumina dall’alto.

E’ per questo che io e la mia bicicletta oggi eravamo come un punto che si sposta su un piano cartesiano, l’essenza nuda del moto della vita; proiezione strettamente purificata del significato dell’esistere, in un rapporto concettuale ma concreto con tutte le altre esistenze contemporanee, e con tutte le esistenze possibili. E’ uno di quei casi in cui si prova tristezza (tristezza, non pietà, perchè non vi è superiorità in questa sensazione) per quei troppi esseri umani persi nel freddo scientismo delle cose, nell’assenza di valori, progetti e significati superiori, e nel conseguente pessimismo cosmico che deriva dalla perdita collettiva del concetto di Dio.

Non è cambiato nulla, nella mia vita, per rendermi improvvisamente felice; nulla se non la constatazione che se gli oggetti e gli eventi sono sempre gli stessi, ciò che fa la differenza sono gli occhi con cui li guardiamo. Nella continua lotta tra il bene ed il male che tutti noi portiamo dentro, sono lieto della scoperta e della rivelazione di questa luce, che d’improvviso significa tutti i Corani e le Bibbie e le filosofie e le religioni del mondo, tutte in fondo equivalenti, tutte infine comprensibili persino quando non condivisibili. C’è ancora molto da scoprire in noi stessi, ma è più facile farlo dopo aver trovato la forza, quella che fa cadere ogni arma e ogni paura, quella di sorridere sempre e riconoscere in ogni altro un simile a sè, quindi degno di dare e ricevere amore, se soltanto liberato dalle catene del dolore e dell’insicurezza.

Spero che la forza non mi abbandoni più, anche se so che, talvolta, potrà succedere; ma ho fiducia nel fatto che saranno cedimenti occasionali. In fondo, credo che questi giorni di gloria derivino dalla Scelta infine raggiunta, quella di avere il coraggio di agire per essere nè meglio nè peggio, ma semplicemente e finalmente se stessi.

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venerdì 10 Novembre 2006, 09:01

Annozero (2)

Bisogna ammettere che, con tutto il fatto che Santoro ormai cita se stesso, i servizi filmati delle sue trasmissioni sono eccezionali.

Ieri sera si sono viste le solite palazzine di via Anelli a Padova; ormai, a forza di vederle in TV, le conosco meglio di quelle in cui vivo io. Eppure, le immagini dei pusher neri che si pestano violentemente sotto i portici devastati delle palazzine, o che pisciano con l’uccello di fuori nel cortile, sono eccezionali, nella loro testimonianza di come non ci sia nulla di umano in quel luogo, solo un grande zoo pieno di ex esseri umani degradati alla condizione di bestie. E quelle dello spacciatore nero che senza nemmeno sapere di essere ripreso dice ridendo, con aria soddisfatta, “prima ero in carcere, ringrazio Prodi che ha fatto l’indulto”, se usate come spot elettorale, devasterebbero il consenso del centrosinistra.

Sarebbe meglio se, come Report, anche Annozero si concentrasse sulle immagini filmate, ed evitasse il teatrino delle bellezze al bagn- pardon, in studio, che fanno domande ai politici; in particolare la bionda principessa Borromeo, che rappresenta i giovani italiani come Kate Moss rappresenta i tossici inglesi, e che, come da nuovo tormentone, pare davvero una “gnocca senza testa”. D’altra parte, a ben pensarci, forse l’ideale del giovane italiano medio è veramente quello di essere bello, firmato e stupido, come dai modelli di successo proposti dalla televisione, ma anche come dalle immagini dei tremendi giovanotti del Nordest italiano; o della maestra elementare quarantenne, truccatissima e con magliettina di Fendi che si vanta di avere in classe “un crocifisso grosso così” e di imporre ai bambini musulmani che ha in classe di non digiunare a scuola durante il Ramadan.

A margine, continua la mia attesa: chissà se prima o poi Santoro si accorgerà che esiste in Italia qualcosa di diverso dai due clichè “meridionali in lotta contro la mafia” e “settentrionali arricchiti e razzisti contro l’Islam”

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giovedì 9 Novembre 2006, 19:27

[[The Kooks – Naive]]

Il trend del 2006 è che un gruppo, per avere successo, deve chiamarsi The Qualcosa. Non fanno eccezione i The Kooks; questo singolo a metà tra il rock e il funk però è carinissimo, e da qualche giorno non riesco a togliermelo dalla testa. (Il testo non c’entra molto con la calma piatta che regna nella mia vita privata, ma si può anche non starlo a sentire…)

I’m not saying it was your fault
Although you could have done more
Oh you’re so naive yet so
How could this be done
You’re such a smiling sweetheart
Oh and your sweet and pretty face
In such an ugly way
Something so beautiful
Oh that everytime I look inside

I know she knows that I’m not fond of asking
True or false it may be she’s still out to get me
And I know she knows that I’m not fond of asking
True or false it may be she’s still out to get me

I may say it was your fault
Cause I know you could have done more
Oh you’re so naive yet so
How could this be done
By such a smiling sweetheart
Oh and your sweet and pretty face
In such an ugly way
Something so beautiful
But everytime I look inside

I know she knows that I’m not fond of asking
True or false it may be she’s still out to get me
And I know she knows that I’m not fond of asking
True or false it may be she’s still out to get me

So how could this be done
By such a smiling sweetheart
Oh you’re so naive yet so
You’re such an ugly thing
Someone so beautiful
And everytime you’re on his side

I know she knows that I’m not fond of asking
True or false it may be she’s still out to get me
And I know she knows that I’m not fond of asking
True or false it may be she’s still out to get me

Just don’t let me down
Just don’t let me down
Hold on to your kite
Just don’t let me down
Just don’t let me down
Hold on to your kite
Just don’t let me down
Just don’t let me down
Hold on to this kite
Just don’t let me down

Just don’t let me down

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