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Archivio per il mese di Settembre 2009


venerdì 11 Settembre 2009, 13:47

Lo sgombero della Clinica San Paolo

Questa mattina è infine cominciato lo sgombero della Clinica San Paolo, occupata da mesi da centinaia di immigrati profughi del Corno d’Africa; sono passato verso le 11 a vedere com’era la situazione e a fare qualche fotografia.

Prima, dunque, i fatti: la situazione era assolutamente tranquilla. I vigili hanno chiuso il controviale di corso Peschiera; un ampio spiegamento di mezzi “pacifici” (vigili, pompieri, Protezione Civile, GTT e addirittura la società Autostrade; presumo che i rappresentanti dei profughi, come già per via Asti, abbiano chiesto che non ci fosse alcun genere di polizia, nemmeno quella stradale) permette di gestire la situazione. Gli immigrati stanno in vari capannelli per strada, poi a gruppi si mettono in coda presso un tendone della Protezione Civile dove vengono controllati, schedati e indirizzati sui pullman, che sono normali bus GTT su cui per l’occasione hanno messo un cartello con scritto “VIA ASTI – TORINO” (giusto se a qualche profugo venisse il dubbio su dove lo portano… se ci fosse invece scritto “CORSO BRUNELLESCHI – TORINO” non salirebbero). C’è anche un camion del Gabrio, presidiato da due centrosocialisti di numero, con uno striscione “DIRITTI PER LE/I MIGRANTI” e un impianto sonoro da centanta watt che spara musica orrenda.

Tutto bene, dunque, anche se allo sguardo non abituato colpisce un contrasto: da una parte i balconi e quel poco che si riesce a sbirciare dell’interno sembrano rovinati, mezzi spaccati, pieni di masserizie e rifiuti di ogni genere; dall’altra gli immigrati sembrano quasi tutti dei piccoli lord. Sono vestiti bene, talvolta anche eleganti, con vestiti apparentemente nuovi o nuovissimi; non si muovono con borse sdrucite e valigie di cartone, ma con i trolley da aereo; non spostano povere cose, ma anzi ho visto due di loro uscire con in braccio un grosso televisore, come se stessero facendo un normalissimo trasloco, e alcuni ingannavano l’attesa ascoltando musica dal loro iPod. Insomma, non sembrano miliardari ma nemmeno poveracci, sembrano persone con un livello di vita comparabile al nostro.

Prevedibile la reazione degli abitanti delle case circostanti, che sono spaccati in due: le vecchiette piangono di gioia come se gli fosse nato un nuovo nipotino; i vecchietti osservano in silenzio, ma se gli vai vicino commentano a mezza voce “Migranti di merda” e “Finalmente fuori dalle balle”.

A questo punto è giunta l’ora delle foto, che nell’ordine rappresentano: 1) veduta d’insieme; 2) alcuni balconi pieni di masserizie abbandonate, alcuni con le tapparelle piegate o sradicate; 3) un altro po’ del parco mezzi dispiegato per l’occasione; 4) gli immigrati in coda al tendone della Protezione Civile; 5) il bus su cui vengono fatti salire gli immigrati; 6) un altro po’ del dispiegamento di mezzi; 7) la via laterale piena di capannelli di gente, da un lato gli immigrati e dall’altro gli abitanti del quartiere; 8) i bagagli degli immigrati, in attesa di essere caricati; 9) un immigrato in attesa con il suo iPod; 10) un altro po’ di mezzi e il furgone del Gabrio.

clinicasanpaolo.jpg

Ora, se mi permettete, un piccolo commento. In Italia è difficile avere una discussione razionale sull’immigrazione; se parli con una persona di sinistra ti dirà che agli immigrati tutto deve essere concesso e pagato da noi, se parli con una di destra tirerà fuori il razzismo più bieco e augurerà la morte ai bambini sui barconi. La via normale e adottata ovunque nel mondo, cioè quella di stabilire la quota massima di immigrati che una società può accogliere senza dar luogo alla guerra civile e farla poi rispettare, pretendendo e imponendo nel contempo un rispetto ferreo delle leggi del posto da parte di chi vi si stabilisce, in Italia sembra fantascienza; è “razzismo” per quelli di sinistra e “lassismo” per quelli di destra. Eppure, un principio base dello stato di diritto è che le persone non si giudicano in massa, per il gruppo sociale a cui appartengono, ma individualmente per i loro comportamenti.

In questo caso, purtroppo, i comportamenti – aizzati da quell’altra banda di brava gente dei centri sociali – sono davvero censurabili. Occupare una struttura privata è già deplorevole, anche se è deplorevole pure lasciare abbandonato un palazzo in piena città invece di sfruttarlo per qualcosa di utile. Ma devastarla in ogni modo, pisciare per strada, girare ubriachi, impedire alle persone di aspettare il pullman, passare metà delle notti ad organizzare festoni con musica ad alto volume e l’altra metà ad accoltellarsi con successivo accorrere di volanti e ambulanze – come può testimoniare qualsiasi abitante della zona – non è accettabile da parte di nessuno, immigrato o italiano che sia.

E’ vero che questi sono in buona misura profughi – persone verso cui noi abbiamo un obbligo internazionale di assistenza, a cui loro hanno diritto. Ciò non vuol dire, tuttavia, che l’obbligo debba andare oltre il ragionevole. Non vuol dire che noi torinesi dobbiamo risolvere il problema per tutti, attirando qui tutti i profughi d’Italia. Non vuol dire che il mancato e immediato rispetto dei loro diritti li autorizzi a tenere in ostaggio un quartiere per un anno. Non vuol dire che possano fare gli schizzinosi e lamentarsi perché nella sistemazione che gli viene gratuitamente fornita a nostre spese le camerate sono troppo grandi e vige il divieto di cucinare in camera.

Certo non ci si può lamentare solo dei profughi: tanti italiani ci hanno fatto una pessima figura, dagli abitanti di via Asti con le loro argomentazioni contro lo spostamento – riassumibili in gran parte come “noi siamo troppo ricchi, affibbiateli a qualcuno di più povero” – agli intellettuali che si sono schierati per l’accoglienza a ogni costo tanto non la pagano loro, per giungere a chi – sindaco e prefetto in testa – ha prima ignorato il problema nonostante i diritti dei profughi non si scoprano ora, e poi permesso che una situazione del genere potesse nascere e marcire.

La cosa che non è accettabile, però, è che questo gioco di scaricabarile finisca sulle spalle di pochi: quelli che hanno la sfortuna di abitare vicino al luogo designato e che hanno visto le loro notti diventare insopportabili, le loro case svalutarsi e i loro negozi chiudere, mentre tutti gli altri erano impegnati nelle discussioni di principio. Oltre che dei diritti degli immigrati, qualcuno dovrebbe anche occuparsi dei diritti dei cittadini italiani.

[tags]immigrazione, profughi, somalia, torino, via asti, clinica, san paolo, sgombero, centri sociali, diritti, doveri[/tags]

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giovedì 10 Settembre 2009, 09:15

Divieti di sicurezza

Scusate se vi stresso ancora un attimo col calcio, ma stavolta ho bisogno di una consulenza.

All’interno dello Stadio Olimpico di Roma è stato osservato il seguente cartello, apposto dalle autorità preposte per garantire la sicurezza degli spettatori:

segnaletica-olimpico.jpg

I vari divieti sono molto utili e interessanti, ma l’ultimo in basso a destra proprio non capiamo cosa voglia dire. Sono state proposte varie ipotesi e cioè:

1) Divieto di guardare le stelle.
2) Divieto di assumere droghe chimiche.
3) Vietato far entrare Roberto Stellone che spizza.
4) Non si può entrare con il mal di testa.
5) Divieto di guardare contemporaneamente una stella bianca grande e tre nere piccole. Chi lo fa sarà deportato.
6) Divieto di darsi fuoco (per analogia con il divieto accanto a sinistra).
7) E’ vietato aprire una discoteca dentro lo stadio.
8) Vietato picchiarsi da soli.
9) Vietato fare la cacca dopo avere sbattuto la testa.

Tutti questi, all’interno di uno stadio italiano, sono divieti perfettamente plausibili: dunque non riusciamo a decidere. Voi che ne dite?

[tags]stadio, calcio, roma, sicurezza, segnale, autorità, lo facciamo per voi[/tags]

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mercoledì 9 Settembre 2009, 14:17

Rispetto

Dobbiamo? Ma sì, alla fine dobbiamo scrivere anche noi qualcosa su Mike Bongiorno.

Non era certo un idolo: era gobbo, pieno di soldi, conformista, amico dei massoni e dei Savoia, promoter di Berlusconi e della sua paccottiglia, insomma per certi versi aveva tutti i difetti possibili. Ma faceva il suo lavoro con grandissima capacità e grandissima serietà, anziché cazzeggiare improvvisare e raccomandare come si usa oggi, e questa è una virtù ormai sparita. Inoltre era credibile come promotore dell’Italia del benessere proprio perché prima si era fatto il campo di concentramento e la lotta partigiana, e allora capisci come potesse a buon diritto esaltarsi per un prosciutto.

C’è una scena mitica su Youtube in cui cazzia la Antonella Elia che si schiera contro la pelliccia e le dice “non devi sfottere lo sponsor”. A molti quella scena sembra il peggio della TV commerciale, ma a guardar bene ci si vede proprio quel senso di responsabilità personale che ormai manca e che manda il mondo allo sfascio: nessuno ti ha obbligato a prenderti l’impegno di fare la valletta, ma se te lo prendi devi rispettarne le regole e accettarne anche ciò che non ti piace. Ecco, è proprio quel genere di rispetto – un valore liquidato come borghese e perbenista, ma che invece è necessario per la convivenza civile – che Mike incarnava: e dunque, massimo rispetto a lui.

[tags]bongiorno, elia, rispetto, televisione, berlusconi, sponsor[/tags]

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martedì 8 Settembre 2009, 18:37

Quante scene

È stata una manifestazione tranquillissima, un’oretta di slogan davanti al Municipio in cui il piatto forte era “la mamma di Maroni è una puttana / il padre di Maroni è un travestito / il figlio di Maroni è un clandestino / e il parlamentare non si tocca”. E’ inutile che adesso i giornali pubblichino le immagini degli unici trenta secondi di tensione, quando d’improvviso il gruppetto di duri e puri che stava davanti (età media vent’anni) ha spinto le transenne in là di un metro, a titolo dimostrativo, trovandosi immediatamente davanti un muro di poliziotti e carabinieri in assetto da guerra (età media vent’anni).

Son rimasti lì a guardarsi negli occhi per altri venti minuti e poi la manifestazione si è sciolta, i gobbi sono andati in “corteo” per via Garibaldi verso piazza Statuto mentre i nostri sono andati in corteo fino al Principi di Piemonte a cantarle a Lippi e alla sua nazionale di gobbi raccomandati scarsi e bolliti, svolgendo dunque ulteriore opera meritoria per conto dell’intera comunità calcistica nazionale.

I presenti erano un 100-150 del Toro e un 20-30 della Juve (ridicoli come sempre), arrivati in ritardo. I cori contro la tessera del tifoso li cantavamo tutti, quelli contro la polizia soltanto un cinquanta per cento (noi brava gente di una certa età ovviamente non li condividiamo e non abbiamo partecipato allo sfondamento, in parte anzi cercando ombra ristoratrice dall’altro lato della piazza). I cori contro Maroni li cantavano anche i passanti.

E ciò nonostante, anche oggi mi sono goduto fantastiche scene di presunta apocalisse: come le due signore che, dovendo passare sotto i portici della piazza per imboccare via Milano, giunte a venti metri dal manifestante più vicino si son messe a correre con gli occhi spiritati, come fosse in pericolo la loro vita. O come il tizio che, quando è stato acceso un banalissimo fumogeno, ha commentato “Guarda, bruciano tutto” (tipo il porfido della piazza?). Oggi era una manifestazione per i diritti civili dei tifosi di calcio, domani potrà essere una manifestazione di cassintegrati, ma ci sarà sempre un sacco di gente che a forza di ascoltare telegiornali invocherà ordine e disciplina a prescindere, spaventata da qualsiasi azione leggermente diversa dal timbrare il cartellino ogni mattina e fare la spesa all’ipermercato il sabato pomeriggio.

Può darsi anche che sia per la frustrazione di non aver mai avuto il coraggio di alzare la testa per nulla.

[tags]manifestazione, ultras, tessera del tifoso, calcio, polizia, ordine pubblico[/tags]

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lunedì 7 Settembre 2009, 11:31

Luce accecante

È bello abitare in una casa da cui si vedono la luna e il sole; l’altro giorno all’alba si vedeva una bellissima luna piena grigia tramontare dalle parti dell’Orsiera, mentre ieri sera un’altrettanto bella luna piena gialla sorgeva da quelle di Superga.

In effetti, ieri pomeriggio sono uscito da una riunione verso le 18:30 e ho imboccato corso Francia per tornare a casa dal centro. La luce del sole al tramonto era splendida, arancione, bassa e dritta e riempiva tutto il cielo. Peccato solo che corso Francia sia diretto esattamente ad ovest, per cui guidare era quasi impossibile: non si vedeva assolutamente niente.

All’altezza di piazza Bernini, uscendo dalla rotonda, il semaforo da sempre giallo lampeggiante del passaggio pedonale è diventato improvvisamente rosso. Mi sono fermato abbastanza bruscamente, sorpreso; ho così scoperto che i semafori dei passaggi pedonali, altrimenti inspiegabili, hanno in realtà una funzione; attivandoli con un pulsante fanno venire rosso per le auto e verde per l’attraversamento pedonale, già rialzato e rallentato in occasione dei lavori della piazza. Peccato che un semaforo lampeggiante che diventa rosso di colpo mandi gli automobilisti nel pallone; in più, il passaggio è troppo vicino alla rotonda e la coda di auto al rosso straborda subito nella stessa, bloccandola. Il tutto poi per niente, perché all’attraversamento non c’era nessuno. Sospetto che il pedone abbia premuto, ma poi non abbia atteso che il semaforo si attivasse, e si sia buttato tra le auto; quando il semaforo è venuto verde, lui era già dall’altra parte.

Questa trovata mi ha lasciato piuttosto perplesso; così, rimuginando un po’ per decidere se fosse utile o dannosa, sono arrivato fino in piazza Rivoli. Anche lì la rotonda era intasata; uscendo verso corso Francia dal lato opposto, a passo d’uomo nella coda, ho scoperto che le auto deviavano sul controviale perché c’era stato un incidente. Non mi sono fermato a guardare, ma mi pare di aver visto due persone, una stesa in terra e una sulla barella dell’ambulanza mentre cercavano di rianimarla. Quasi certamente erano due pedoni investiti sulle strisce all’uscita della rotonda.

Lì non ci sono semafori, dossi, rialzi, cubetti di porfido e nemmeno fioriere e arredo vario; e con quella luce era molto facile non vedere un pedone su quelle strisce. Mi verrebbe da dire che i soldi per sistemare piazza Bernini e il primo tratto elegante di corso Francia dopo i lavori della metro sono stati trovati prima di subito, mentre quelli per risistemare il resto, tre anni e mezzo dopo, ancora latitano; il corso è stato rattoppato alla bell’e meglio, senza nemmeno uno spartitraffico (il che permette manovre assurde, inversioni e soste pericolose) e con i passaggi pedonali abbandonati al proprio destino. Dopo infiniti rinvii, il sito della metro, in fondo alla pagina, dice ora che il tratto tra piazza Bernini e piazza Rivoli è “previsto in appalto nella programmazione 2009” (= “nel 2009 abbiamo scritto che prima o poi lo faremo”) mentre quello tra piazza Rivoli e piazza Massaua non lo citano nemmeno più, resterà così per sempre. Mancano i soldi; o meglio, i soldi per risistemare piazza Vittorio a parcheggio privato del sindaco si sono trovati subito, quelli per le periferie mancano sempre.

Ma sopra tutto questo c’è essenzialmente una grande tristezza: vedere da vicino un incidente con persone coinvolte fa sempre impressione. Non è nemmeno più una notizia, e sui giornali non ne ho trovata traccia; probabilmente accettiamo queste come vittime collaterali dell’esistenza urbana. Ma in una società in cui la sicurezza e la gestione del territorio sono affidate allo Stato, e allo stesso tempo lo Stato ha sempre meno soldi per gestirla e chi lo governa ha sempre meno interesse a spenderli per tale scopo, anche questa situazione non potrà che peggiorare.

[tags]torino, traffico, incidenti stradali, corso francia, metrotorino, sole, luna[/tags]

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venerdì 4 Settembre 2009, 20:44

Per molti, ma non per tutti

Nei paesi autoritari, i governi intervengono per far sparire i dissidenti: non solo fisicamente, ma anche dall’immaginario collettivo, impedendo di inneggiare ai loro nomi e di mostrare i loro volti nei cortei e nelle manifestazioni di piazza.

In Italia, invece, è vietato mostrare in pubblico il volto di Gabriele Sandri; o almeno questo è ciò che è successo domenica scorsa a Verona, dove la polizia ha impedito ai tifosi della Lazio di affiggere questo striscione. Mentre uno striscione più piccolo con il volto di Sandri è stato fatto entrare, quello più grosso è stato bloccato in quanto non sarebbe stata richiesta la necessaria autorizzazione via fax entro le ore 18 del settimo giorno antecedente la partita, come previsto dall’apposito regolamento.

Per esporre striscioni oltre una dimensione minima, infatti, è necessario far esaminare con una settimana d’anticipo il loro contenuto alla locale Questura, che deciderà se ammetterli o meno. Esattamente come in Cina le manifestazioni per i diritti civili finiscono con il sequestro dei cartelloni, in Italia gli striscioni con la scritta “Giustizia per Gabriele” sono stati censurati da varie questure, già ben prima della sentenza-farsa del processo, in quanto chiedere giustizia equivarrebbe ad incitare alla violenza.

Ogni esposizione di striscioni non autorizzata viene naturalmente punita con il famoso Daspo, il divieto di entrare allo stadio per un certo numero di anni. Ma ovviamente non finisce qui; sebbene non ci sia alcuna regola che definisce quali magliette siano ammesse allo stadio o come ci si debba disporre sulle gradinate, anche le soluzioni creative portano alla diffida immediata. In realtà, la diffida viene ammannita un po’ per tutto: l’anno scorso da noi sono stati diffidati due ragazzini che si erano sporti dalle barriere verso il campo per prendere al volo le magliette lanciate dai giocatori. Ci sono più telecamere di sorveglianza negli stadi che nel caveau di una banca; alle volte hai paura anche a scaccolarti, temendo che ciò possa comportare la diffida.

In questi mesi, però, il governo ha deciso di alzare lo scontro introducendo la famosa “tessera del tifoso”. Per chi non ha seguito, spiego cos’è: dovrebbe essere una forma di schedatura di tutti i tifosi di calcio d’Italia, riportante i dati personali e la fotografia. Tale tessera diventerà da gennaio obbligatoria per l’acquisto dei biglietti per le trasferte, e dall’anno prossimo anche per quelli casalinghi: in pratica, sarà impossibile acquistare un biglietto per una partita di calcio senza avere la tessera.

Tralasciando il fatto che così si va esattamente nella direzione opposta a quella che si dice di voler perseguire, rendendo sempre più difficile l’accesso allo stadio a famiglie e spettatori saltuari (per non parlare dei turisti) e riservandolo invece ai tifosi più accaniti, vi è nel decreto istitutivo una clausola che ha lasciato tutti a bocca aperta: l’articolo 9 dice sostanzialmente che è vietato il rilascio della tessera o l’emissione di biglietti a persone che in passato siano state diffidate o condannate per reati da stadio.

L’Italia, il paese dove tutti i reati vanno in prescrizione prima che possano essere puniti e dove un ex assassino uscito di prigione riceve (anche giustamente) assistenza e ricollocamento a spese della collettività, decide dunque che se tu a quattordici anni ti sei sporto dalle barriere per afferrare la maglietta di Gasbarroni (no dico Gasbarroni, avessi detto Kakà…) e ti hanno diffidato, non potrai mai più entrare in uno stadio per tutta la vita.

A questo punto ci vorrebbe coerenza: se vieni pescato oltre i limiti di velocità ti ritiriamo la patente per tutta la vita, e se una domenica ti dimentichi di andare a Messa dovrai leggere l’Osservatore Romano per l’eternità. Mi pare giusto, no? Cosa volete che siano i diritti delle persone, o l’articolo 27 della Costituzione (“le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”)?

Domani a Roma si terrà una grande manifestazione di protesta; una più piccola si terrà anche da noi a Torino, martedì alle 16 sotto il municipio. Si chiede il ritiro di questa schedatura di massa, ma più in generale la fine di questo regno del terrore, completamente anticostituzionale, imposto da qualche anno alle tifoserie di calcio; un regno del terrore che moltiplica la rabbia e la violenza anziché calmarle, tanto che nella storia del calcio italiano non c’erano mai stati così tanti morti come negli ultimi due anni.

E la rabbia spicciola si sente ovunque: lunedì sera per Toro-Empoli hanno provato ad applicare controlli ancora più stretti agli spettatori in attesa di entrare, e in più molti dei mitici tornelli non funzionavano. A cinque minuti dall’inizio della partita, fuori dai vari ingressi c’erano ancora migliaia di persone in coda; davanti alla Primavera erano talmente tante da occupare interamente via Filadelfia. Erano persone normalissime, famiglie con bambini, tanti che non vengono regolarmente allo stadio e approfittavano di una serata ancora estiva. Alla fine, davanti alla prospettiva di perdere buona parte del primo tempo dopo aver pagato il biglietto, la gente ha cominciato a spingere ed è scattata la baraonda; fortunatamente i tornelli sono stati aperti, ma si è rischiata la strage da schiacciamento, dovendo tutti infilarsi in poche aperture larghe mezzo metro. Avendo aperto i tornelli, è entrato chiunque, con o senza biglietto, senza alcun controllo. Questo è il geniale sistema con cui le questure italiane portano pace negli stadi.

Ma naturalmente, ci sarà sempre in giro un intelligentone pronto a sostenere che l’essere tifosi di calcio implica automaticamente la perdita dei diritti civili…

P.S. Naturalmente, non crederete mica che la tessera del tifoso sia stata pensata e imposta per via della sicurezza! Chi vide la puntata di Report in cui la Gabanelli indagava sul perché agli anziani avessero mandato la “social card” invece di aumentargli semplicemente la pensione avrà già capito: perché la tessera del tifoso è in realtà una carta di credito revolving che lo Stato impone a milioni di tifosi italiani (anzi, finché non si metteranno d’accordo chi va in trasferta dovrà collezionarle tutte… l’han già scoperto persino i gobbi!). Quella delle serie minori è gestita da Telecom Italia (un nome a caso) mentre le società di serie A e B si possono scegliere la banca che desiderano, tanto son tutte la stessa cosa.

[tags]calcio, tifosi, ultras, tessera del tifoso, gabriele sandri, violenza, carte di credito, costituzione[/tags]

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giovedì 3 Settembre 2009, 17:27

Non solo lettere

Stamattina mi sono recato nel centro ricreativo per anziani di via Foglizzo, quello con le insegne gialle con scritto Poste Italiane. Dovevo mandare una raccomandata; prima ho provato con il centro di via Stradella, ma ho scoperto che l’hanno chiuso, anche se ho riconosciuto agevolmente le vetrine in cui stava perché erano affollate di anziani che ci giravano attorno maledicendo la novità e non capacitandosi della chiusura, anzi alcuni continuavano a sbattere a ripetizione contro la porta di vetro inopinatamente chiusa, sperando che prima o poi si aprisse.

Anche in via Foglizzo, comunque, entrare non è uno scherzo; ci sono due bussolotti di vetro in parallelo come quelli delle banche, su ognuno dei quali campeggia una lucetta verde e un pulsante. Tuttavia, quello di sinistra è rotto e dunque ne resta in funzione uno solo. Tutti quelli che arrivano, trovandosi di fronte la porta chiusa, premono il pulsante per aprire; e invece no, il pulsante serve per chiedere assistenza ad una impiegata all’interno (comunque non risponde mai nessuno). Sui bussolotti campeggiano dunque due o tre cartelli fotocopiati con scritto “ENTRARE MAX DUE PER VOLTA SENZA PREMERE ALCUN PULSANTE”: bisogna avvicinarsi e attendere qualche secondo perchè una telecamerina noti la tua presenza e ti apra la prima porta, poi entrare, attendere la chiusura e poi l’apertura dell’altra porta, per poi venire travolti da quelli che devono uscire. L’unico bussolotto funzionante serve infatti a doppio senso, e il tutto è talmente lento e macchinoso che si formano code anche di una decina di persone sia all’interno che all’esterno: ottima progettazione, come ha espresso un tizio – grosso, tamarro e sfoggiante portachiavi della Juve – che non solo ha premuto ripetute volte il pulsante senza mai capire, non solo si è infilato nel bussolotto con due vecchietti spiaccicandoli tutti che poi han dovuto pulire, ma giunto all’interno ha fatto partire una sfilza di “minc**a zio fa’” che ha fatto rivoltare tutti i santi.

Ad ogni modo, ho preso il mio bigliettino alle 11:49 e mi sono accomodato davanti all’unico sportello dedicato alla spedizione di missive… in realtà erano due, ma in quello a fianco un’impiegata stava magnificando i pregi di un libro per bambini ad una incantata potenziale cliente; ormai potrebbero tranquillamente cambiare l’insegna in “Non solo lettere”. L’unico sportello era occupato da un tizio alto in polo elegante, che parlottava con l’impiegata sventolando dei fogli. A un certo punto l’impiegata è sparita per un periodo lunghissimo, e poi è tornata con un’altra; ero già lì da un quarto d’ora e così, con la solidarietà tipica dei dannati persi nelle code degli uffici privatopubblici italiani (pubblici come copertura dei costi, privati come distribuzione dei ricavi), mi sono messo a sentire la storia.

In pratica, il tizio era un avvocato che l’8 aprile aveva fatto spedire un qualche documento minatorio alla controparte di un suo cliente; la controparte ora sosteneva di non averlo mai ricevuto, e a lui mancava la prova della ricezione o del mancato recapito. Insomma, alla fine era alla ricerca di una cartolina di ricevuta postale di quattro mesi fa; a nessuna persona normale sarebbe mai venuto in mente che le Poste fossero in grado di collaborare, ma lui no, insisteva che qualcuno doveva avercela e che qualcosa doveva essere successo e che qualcuno doveva pur rispondere di quanto accaduto. Le ora due signorine lo gestivano in coppia (forse una pensava e l’altra parlava), ma rispondevano di aver perquisito l’archivio cartaceo dell’ufficio e di non aver trovato nulla.

Dopo circa venti minuti dall’inizio la coda era ancora bloccata, anche perché l’impiegata al secondo sportello teoricamente riservato alle operazioni postali stava ora magnificando ad un’altra cliente il libro-diario “Io sono nato!”, su cui ogni genitore dall’autostima concentrata sul proprio cucciolo potrà annotare dati imperdibili come l’altezza e il peso giorno per giorno, e incollare le foto del pargolo nonché quelle della mamma e del papà in posizioni buffe, impegnate o anche devastate dalla stanchezza. Il marketing pitch verteva sull’ampia disponibilità di spazio del diario, che conteneva pagine per arrivare fino a sei anni (anche se, per gli standard attuali, dovrebbe arrivare almeno fino a trentasei); comunque, alla fine sono finite a discutere dell’organizzazione dei matrimoni delle rispettive figlie.

A questo punto dunque al mio sportello è arrivato il direttore, che con piglio marziale ha esclamato “Consultiamo ‘o regolamento!”, estraendo da un armadio metallico un grosso faldone contrassegnato dalla scritta “DIRETTIVE POSTALI”. In tre, ignorando completamente la coda di almeno una decina di numeri accumulatasi nel frattempo, hanno cominciato a scartabellare, fino a trovare una procedura grazie alla quale “‘o terminalo” ha scoperto che la notifica in questione era stata respinta al mittente e regolarmente riconsegnata allo studio dell’avvocato in data 12 maggio, con tanto di firma sulla ricevuta in mano alle Poste.

E così, alle 12:15, dopo aver tenuto occupato lo sportello per oltre mezz’ora e dopo vari altri minuti di suo arrampicamento sugli specchi, l’avvocato è stato rispedito indietro a cercarsi le carte sue a casuccia sua, e sono stati chiamati i numeri successivi; e dato che tutti quelli prima di me avevano già desistito, io sono stato il primo.

Poteva finire così? Può forse finire così? Certo che no! Infatti io ho consegnato la busta e i miei moduli debitamente compilati; l’impiegata reduce dall’avvocato la pesa e mi fa “Farebbe 5,35 euro, ma guardi che se vuole con 5 euro può fare la nuova raccomandata uno!”. A questo punto mi sono reso conto di essere caduto nell’orribile trappola, e che anche io sarei stato vittima di un marketing pitch; anzi ho pensato che tutti gli impiegati dell’ufficio si sarebbero fermati e poi all’unisono, allargando le braccia in posa divertente, avrebbero gridato “RACCOMANDATA – UNO!”. Invece no, l’impiegata si è limitata a spiegarmi che Raccomandata Uno è il nuovo prodotto di Poste Italiane grazie al quale le lettere arrivano in tutta sicurezza; in altre parole, la raccomandata normale viene persa o inserita in un girone infernale di avvisi di ritiro presso l’ufficio postale di Timbuctù, mentre questa la consegnano anche. L’unica differenza però è che non c’è la ricevuta di ritorno (che a me stavolta non serviva), a meno di non pagare altri 4 euro “però in offerta 3 euro fino al 31 dicembre”; in compenso c’è la ricevuta fiscale “che può anche scaricare” (occhiolino).

E cosa dobbiamo fare? Facciamo la raccomandata uno: al che la signorina, rallentando ulteriormente l’operazione, si mette a ricopiare i dati di mittente e destinatario dal modulo raccomandata normale al modulo raccomandata uno (mica vorrai digitarli su un computer…). Poi infila un foglio nella stampante per preparare la ricevuta, e lì ovviamente la stampante si inceppa; al che l’impiegata sospira ed estrae un librone di fogli staccabili, con il quale si mette a compilare da perfetta amanuense (cioè con calligrafia illeggibile) una intera fattura ricamata a mano; ce l’ho qui con me e a chi vuole la faccio anche vedere. Per cinque euro, la produttività è assicurata; ma io, dopo soli 38 minuti, sono riuscito a spedire la mia raccomandata.

[tags]poste, pubblici dipendenti nell’animo, avvocati, organizzazione[/tags]

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mercoledì 2 Settembre 2009, 22:30

Non ritorno (2)

Oggi ho passato la giornata a vagliare possibilità di lavoro all’estero, pur se con grande incertezza: ci sono opportunità molto interessanti, ma non è comunque facile ottenerle da straniero, e poi non è facile nemmeno trasferirsi in un’altra parte del mondo.

Stasera però tornavo a casa in auto, dopo una cena in pizzeria, e mentre percorrevo sulla corsia di destra corso Vittorio per immettermi nella rotonda di piazza Rivoli sono stato affiancato a sinistra da un’auto dei carabinieri, senza sirene nè lampeggianti. Ci siamo fermati fianco a fianco per dare la precedenza alla rotonda, poi appena la rotonda si è liberata siamo partiti insieme, io nella corsia esterna e i carabinieri nella corsia interna della rotonda. Eravamo perfettamente paralleli quando l’auto dei carabinieri ha sgasato e mi ha tranquillamente tagliato la strada, attraversando tutta la rotonda senza né frecce né altre segnalazioni, per uscire e immettersi nella corsia riservata ai bus di corso Lecce.

Io ho inchiodato e ho evitato di un pelo l’incidente, ma molti dei miei dubbi sul cercare un lavoro all’estero sono spariti.

[tags]italia, carabinieri[/tags]

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