Da piazza Fontana a piazza Duomo
Da piazza Fontana a piazza Duomo sono quarant’anni, ma solo pochi metri e quasi nessun cambiamento.
Quarant’anni fa, una strage di cui non si seppero mai i colpevoli – ma solo perché le indagini, giunte a ipotizzare un coinvolgimento dei nostri servizi segreti, furono fermate dall’alto dallo stesso Stato italiano – segnò l’inizio della strategia della tensione, e portò l’Italia negli anni di piombo, secondo un piano di poteri misteriosi che è stato solo parzialmente svelato, e che però ha portato l’Italia dritta nelle mani di Craxi prima e Berlusconi poi.
L’episodio di stasera – uno sconosciuto che tira un souvenir di ferro in faccia a Berlusconi, mandando in giro per il mondo le immagini del nostro premier con la faccia coperta di sangue – può essere tutto. Può essere uno squilibrato influenzato dalla tensione montante, oppure può essere un esaltato tra i tanti scontenti e contestatori, oppure può essere un provocatore mandato dal nostro stesso governo o da chissà quale terza parte; nella storia d’Italia si sono già verificati tutti questi casi.
Il dato di fatto è che questo episodio copre la verità politica, ben raccontata nel suo blog da Beppe Caravita (che lì c’era), cioè che in piazza ad applaudire Silvio non c’erano più le folle oceanica dei tempi migliori, ma solo un paio di migliaia di quadri di partito e fedelissimi pensionati, accompagnati da un gruppetto di contestatori. Senza questo caso, la scena sarebbe stata la solita: i telegiornali servi avrebbero parlato di grandi folle e pochi contestatori violenti a parole, ma molti avrebbero capito che la presa mediatica di Silvio è sempre più debole, che gli italiani non sono scemi, e che la crisi economica che da sempre rovescia i governi finirà per rovesciare anche questo.
La rabbia, infatti, monta: ed è lo stesso Berlusconi a farla salire, a forza di manganellate, di repressione, di controllo mediatico, di azioni tipiche di una dittatura crescente che provocano nelle persone la sensazione che la manifestazione di piazza, se non addirittura la violenza, sia l’unica risposta possibile; perché le istituzioni democratiche non funzionano più, non rispondono più ai cittadini, non sono più una via praticabile per difendere i propri diritti e cambiare le cose.
Io nella democrazia ci credo ancora e sto provando da anni a farla funzionare; so che, senza dubbio alcuno, la violenza è sbagliata sempre; eppure non riesco a scandalizzarmi per il volto di Silvio coperto di sangue, dopo aver visto per mesi e per anni i video di persone inermi di ogni genere manganellate selvaggiamente dalla sua polizia. Berlusconi raccoglie solo la violenza, verbale e fisica, che sta seminando da parecchio tempo; e chi vuole essere sempre al centro dell’attenzione, celebrato e adorato nei momenti positivi, finisce invariabilmente per venire usato come capro espiatorio e massacrato dalla folla quando la ruota gira. Berlusconi lo sa, e aspettiamoci sempre più polizia, sempre più repressione, perché sa che a forza di tirare la corda potrebbe veramente finire esiliato o bersagliato di monetine.
C’è, però, una domanda inquietante che è necessario porsi, ritornando al punto di partenza del ragionamento. La contestazione dal basso a Berlusconi – il popolo viola – è sincera, è davvero desiderosa di salvare la democrazia e la legalità che Silvio erode da anni. Ma è manovrata?
Già , perché persino io che credo nella rete e ci vivo da quindici anni, che vivo l’opposizione in piazza e dall’interno, ho i miei dubbi su quello che sta succedendo. Tutto, nella nostra società , è manovrabile e manovrato mediaticamente – anche l’opposizione alle manovre mediatiche. E in maniera sotterranea, anche se visibile a chi sappia cercare, si giocano in questi anni battaglie importanti.
Di rivoluzioni colorate in questi anni – alcune riuscite, altre fallite – se ne sono viste parecchie: in Ucraina, in Georgia, in Iran… Tutte, invariabilmente, mirate ad abbattere governi antiamericani e sostituirli con governi filoamericani. Non c’è dubbio che Silvio abbia rotto gli equilibri, che abbia portato l’Italia ad essere il più fedele alleato europeo della Russia, che vada in giro a farsi vedere con Gheddafi e Lukaschenko non perché è un pazzo, ma per sbattere in faccia a tutti che lui sta da quelle parti lì, da quelle che possono riversare nelle tasche sue e (in misura minore) dell’Italia un sacco di soldi, ma che all’Occidente non piacciono. Non che Lukaschenko sia una frequentazione di cui vantarsi, ma si sa che i regimi autoritari sono dittatoriali e antidemocratici se non sono economicamente alleati dell’Occidente, mentre sono semplicemente forti e capaci se fanno gli interessi dell’Occidente.
E’ chiaro a chi segua un po’ gli scacchieri sotterranei che Berlusconi è stato scaricato: è impresentabile persino per i poteri forti che l’hanno messo lì vent’anni fa, e comunque ha iniziato a fare di testa sua, ha pensato, nel puro stile del megalomane quale è, di potersi sganciare dai suoi manovratori, di poter fare sgarbi a chi non è affatto disposto ad accettarli. I regimi che piacciono a chi conta sono quelli che non sono sempre sulla bocca di tutti, sono i club quieti che si incontrano a porte chiuse e decidono a cena i prossimi governanti europei e le parti meno democratiche del Trattato di Lisbona. Berlusconi non va proprio più bene; come (per altri motivi) saltò Moro, deve saltare anche Berlusconi.
E quale modo migliore per farlo che aizzargli contro le sue stesse folle? In fondo c’è una crisi economica che capita a fagiolo; e per quanto io ami la rete, so che essa è un grande strumento di democrazia, ma anche un grande strumento di manovra, dove è facilissimo che le cose non siano come sembrano e dove chiunque può essere strumentalizzato o può non essere chi dice di essere, persino un santo precario del Leonka di Milano o un blogger che nessuno ha mai sentito nominare.
E allora, con tecnica sopraffina, monteranno le folle colorate, sfruttando la sacrosanta rabbia della gente, e poi ottenuto lo scopo non ci sarà alcun mondo nuovo, ma soltanto un regime meno sfacciato e uno o più leader conservatori più affidabili e amici di chi li ha mandati – un Fini, un Di Pietro, un Casini o chissà . E se la rabbia non sarà sufficiente, basteranno un paio di duomidimilano di ferro lanciati ad arte per farla montare… o i black bloc di turno, o una qualsiasi delle abbondanti tecniche di provocazione che già abbiamo visto all’opera.
Cosa sia l’incidente di questa sera nessuno lo sa esattamente; forse era solo uno squilibrato, del resto è facile far saltar fuori un utile idiota a forza di soffiare sul fuoco. Lo scenario, però, è chiaro. Noi, la folla, faremo comunque ciò che dobbiamo fare, sapendo che sulle nostre teste si giocano partite che difficilmente potremo influenzare; teniamoci almeno la consolazione di provare a comprenderle.
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