L’incredibile ondata
Questa sera ero già a letto, eppure non riuscivo a prendere sonno. Dev’essere che oggi ho passato tutta la giornata a fare dentro e fuori, dal caldo al freddo, prima in montagna, poi in viaggio, poi allo stadio. Dev’essere che mi è venuta la tosse e che verso metà del secondo tempo avevo i piedi congelati (senza nemmeno contare che mi erano cascate le palle). Dev’essere che il mio server da stasera non è raggiungibile e per l’ennesima volta dovrò aspettare il primo giorno lavorativo disponibile per riottenerlo. Oppure dev’essere che stasera hanno postato delle vecchie foto di dieci anni fa e che Facebook, implacabile, le ha già sparse per mezzo mondo.
Ad essere sinceri, ormai lo dovrei sapere: la vita va e viene in ondate, è come una sequenza di stanze mal chiuse in ognuna delle quali si deve aspettare un po’, mai troppo poco e mai troppo a lungo, riguardando ogni tanto dalla porta un pezzo delle stanze precedenti e sbirciando ogni tanto, ma solo da una fessura, cosa ci aspetta nella prossima. E’ con questa sensazione di svolta imminente (dunque già avvenuta: il resto è soltanto il ritardo del prendere coscienza) che convivo stasera, senza un motivo particolare. Chissà che cosa è già cambiato, quale porta si è chiusa e quale altra si è aperta, e se i mobili di questa stanza, che sembrano così simili a quelli della precedente, in realtà si riveleranno mancare di qualche abitudine consolidata e in cambio offrire qualche nuova esperienza.
Ricordo distintamente che a diciott’anni ero dispiaciuto per avere smesso di giocare a pallone seriamente a sei, così come ora mi dispiace di aver smesso di suonare in un gruppo a ventidue. Non fa niente; certe cose saranno per la prossima vita. Certo che per mutare pelle ci vuole un po’ di tempo, specialmente se la pelle stava stretta come una muta. Di stanza in stanza mi sento più spoglio, ed è un buon segno: viaggio verso l’essenziale. Quando finalmente sarò riuscito a rimuovere tutto ciò che sono stato, forse potrò riuscire a scoprire ciò che sono.
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