L’invito del prefetto ai sindaci della Valsusa – fate spostare i manifestanti No Tav nelle piazze dei paesi, toglieteli dalla Maddalena in modo che il cantiere possa cominciare – non è nuovo: me l’aveva già fatto Stefano Esposito in televisione. E’ un invito ingannevole, perché cerca di dividere la protesta in due categorie, quella “democratica” e quella “non democratica”; dove la protesta sarebbe democratica solo se non disturba, se non sortisce effetto, se si limita a una testimonianza inefficace di dissenso.
Questa è una manipolazione che bisogna respingere subito: la protesta, per definizione, deve avere degli effetti concreti, se no tanto vale non farla. Non si vuole ovviamente giustificare l’estremo opposto, tipo i continui scioperi degli autobus ad ogni stormir di fronde il venerdì pomeriggio; ma è una ben strana idea di democrazia quella in cui si può protestare solo se non si disturba.
Fa il paio con l’altra strana idea di democrazia propagandata a Torino in queste settimane, quella per cui una maggioranza può imporre alla minoranza qualsiasi cosa, solo perché è maggioranza. A parte che le quantità dei due fronti non sono così certe, tutta la civiltà dell’ultimo secolo si basa sul concetto di diritti umani, ovvero di prerogative inalienabili del singolo di cui la maggioranza non può disporre: anche se la maggioranza vota per discriminare gli ebrei, ciò non rende tale azione né legittima né democratica.
La nostra Costituzione non prevede alcun diritto al trasporto veloce, ma prevede il diritto alla salute (art. 32) e la tutela del paesaggio (art. 9), nonché (art. 17) il diritto di riunirsi “pacificamente e senz’armi” che può essere limitato solo per “comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica” (sicurezza e incolumità ; non certo “c’è da montare un cantiere”). Migliaia di persone che si radunano pacificamente in un luogo per bloccare un cantiere sono un problema politico, non di ordine pubblico; e la pesante devastazione dell’ambiente in cui vivono queste migliaia di persone è una grave lesione del loro diritto alla salute, dunque è incostituzionale.
Io vorrei però ritornare alla questione delle manifestazioni che non disturbano; perché è una questione più importante di quel che sembra. L’Italia, infatti, è stata riempita negli ultimi mesi da molte manifestazioni che non disturbano; bellissime passeggiate in centro del sabato pomeriggio, una volta con bandiere viola, l’altra volta con bandiere rosa, una volta coi gomitoli di lana, l’altra in bicicletta, oppure con pupazzi, casseruole, stendendosi in mezzo alla strada, quel che volete. Tante belle manifestazioni per gioco organizzate dalla “opposizione”, che permettono agli italiani di sfogarsi in modo innocuo, senza disturbare; ci si diverte, ci si complimenta perché “siamo tantissimi”, ci si sente più buoni e il giorno dopo tutto torna come prima, a parte gli organizzatori che subito tentano la carriera politica in uno dei partiti di centrosinistra.
L’unica manifestazione che abbia veramente ottenuto qualcosa nelle ultime settimane è stata quella degli operai della Fincantieri: sono entrati in prefettura, hanno mollato quattro ceffoni (non metaforici) ai rappresentanti dello Stato, e magicamente il piano industriale, fino a un momento prima necessario e imprescindibile, è stato ritirato. No, non è una bella cosa, ma è così: lo Stato è sordo e in mano agli interessi di pochi, la democrazia italiana è un simulacro vuoto, e se vuoi farti sentire devi alzare la voce; devi concentrare la tua rabbia sul risultato, e non sugli sfoghi innocui che ti offre il sistema.
Sarebbe compito di chi ci governa far sì che le istanze sociali possano essere accolte dallo Stato col dialogo, e invece, anche da politici che si autodefiniscono di “sinistra”, arrivano solo inviti a schierare l’esercito; destra e sinistra, per anni, hanno manipolato i tavoli istituzionali escludendo le voci dissenzienti e convocando solo quelle ben disposte a dargli sempre ragione. Il PD con la Valsusa si comporta come Marchionne con la FIOM: “non me ne frega niente se rappresenti migliaia di persone, o mi dai ragione o ti butto fuori dai negoziati”. E’ così che quelle migliaia di persone perdono ogni fiducia nello Stato e ne diventano antagoniste, e una parte poi passa alle pietre, e qualche esaltato può andare anche oltre.
La responsabilità di questa deriva non è dei cittadini, è dei politici, e della loro esplicita e calcolata strategia della tensione. La Valsusa potrebbe segnare un punto di non ritorno: se lo Stato userà violenza, si delegittimerà da solo e darà un segnale tremendo, quello che con lo Stato ci si può relazionare solo con la violenza; creerà nuovi martiri, nuove faide e altra violenza.
Il mestiere del politico non è invocare i manganelli, è costruire il consenso attorno a una soluzione; è anche accettare il fatto che, se il consenso non c’è, la soluzione non è proponibile. Hanno avuto vent’anni per convincerci della bontà di quest’opera, e non solo non ci sono riusciti, ma l’opposizione cresce giorno dopo giorno. Se nel resto d’Italia la gente ancora (ma per quanto?) si accontenta delle innocue passeggiate del sabato pomeriggio, in Valsusa ciò non accade. Ne prendano atto.
P.S. Ribadiamo l’invito a tutti i consiglieri comunali di Torino a venire a vedere di persona il presidio della Maddalena, a chiacchierare tranquillamente con le persone della valle, lunedì pomeriggio alle 16. Finora abbiamo ricevuto solo gentili dinieghi per improrogabili impegni istituzionali; vedremo se veramente qualcuno è interessato al dialogo.
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