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Archivio per il mese di Settembre 2008


martedì 30 Settembre 2008, 09:06

Noi che non capiamo l’arte pubblica

Mi scuserete se in questo periodo parlo quasi sempre di Torino, ma alle volte saltano fuori delle storie allucinanti, che dicono bene quanto in basso siano cadute le nostre istituzioni.

Tutto comincia quando ieri, su Specchio dei Tempi, una lettrice segnala indignata che sabato pomeriggio, con il centro pieno di gente per la fiera libraria per le vie, “una decina di giovani ha pensato di scalare il “Caval ‘d Brons”.”, il massimo monumento cittadino già tante volte in passato danneggiato da vandali di vario genere. La lettrice prosegue raccontando di avere chiamato i vigili, e che questi invece di intervenire si sono messi ad applaudire e godersi lo spettacolo.

Oggi, con un tempismo degno di migliori cause e ovviamente del tutto spontaneo, compaiono non una ma due repliche degli amministratori cittadini.

La prima è del comandante dei vigili urbani Mauro Famigli, che spiega che, sì, i vigili non hanno fermato né multato quelli che sono saliti sul monumento, però li hanno “stigmatizzati”: si sono messi sotto e hanno gridato “cattivi! dai, scendete… su, per favore… dai, venite giù…” Infatti non erano comuni vandali come pareva a tutti, ma “artisti di strada”, cioè gente che – non avendo evidentemente nient’altro da fare – passa il tempo a esibirsi ai semafori in cambio di elemosine, imbrattare i muri cittadini di graffiti e ora anche insudiciare i monumenti: basta mettersi un naso rosso e il Comune ti autorizza a fare qualsiasi cosa. E ti paga pure!

Dopo questa bella letterina del capo dei vigili (il cui stipendio è di 175.000 euro l’anno: se ci ha messo mezz’ora a scriverla, ci è costata 50 euro) scrive anche l’assessore alla Cultura Fiorenzo Alfieri, dicendo “torinesi cattivi! smettetela di salire sul monumento!”. Noi? Ma se gli unici che ci sono saliti li ha assunti e pagati lui finanziando la manifestazione! E in più chiude dicendo che, se la cosa si ripete, bisogna chiamare i vigili, gli stessi che dalle lettere precedenti si sa che non sono intervenuti! Ma ci prende per i fondelli?

E così, l’immagine pubblica dei chiamparinchi è salva: con la collaborazione de La Stampa (e ho anche il dubbio che qualcuno, per aver pubblicato quella lettera, sia stato cazziato) la frittata è stata prontamente rigirata per dimostrare che in realtà siamo noi, i torinesi, che vogliamo male alla nostra città e ai nostri monumenti; mica loro che, con i loro stipendi di giada pagati da noi, decidono di pagare qualcuno per salirci sopra (sempre con i nostri soldi) perché “è una forma d’arte”. E poi magari si lamentano pure che qualcuno vuole tagliare i miliardari budget cittadini della cultura…

[tags]torino, arte, caval ‘d brons, vandali, vigili, alfieri, famigli, la stampa[/tags]

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lunedì 29 Settembre 2008, 15:13

Chi ha paura del mercato

In parecchi, in questi giorni, hanno stappato lo champagne per festeggiare la fine del libero mercato, dopo che il Presidente degli Stati Uniti ha contravvenuto a un secolo di liberismo chiedendo un pesante intervento statale per nazionalizzare le banche e le assicurazioni in crisi.

E’ indubbiamente vero che, a livello globale, il mercato sia fuori controllo: ad aziende e cupole finanziarie globali si contrappone un potere politico ancora diviso per nazioni, quindi incapace di imporre alcunché su scala mondiale. Le Nazioni Unite sono un timido dinosauro a cui le nazioni più importanti evitano accuratamente di dare alcun potere, specie in materie economiche; il WTO (che non fa nemmeno formalmente parte delle Nazioni Unite) è uno strumento dei paesi occidentali per imporre al resto del mondo le proprie condizioni commerciali, e nelle rare occasioni in cui decide contro un paese sviluppato le sue decisioni sono semplicemente ignorate.

E’ altrettanto indubbio che gli eccessi di questi vent’anni di capitalismo non più frenato dalla paura del comunismo abbiano dimostrato l’importanza di rimettere gli “animal spirits” un po’ sotto controllo, ed avere la possibilità di imporre regole al mercato per assicurarsi che tale strumento svolga la sua funzione – quella di ottimizzare gli scambi e quindi produrre ricchezza per tutti – e non venga invece manipolato al servizio di pochi.

Permettetemi però di esprimere qualche perplessità di fronte ai molti che stanno tentando di applicare questo ragionamento, valido per i paesi sviluppati, anche all’Italia. In Italia, infatti, il libero mercato non c’è e non c’è mai stato: abbiamo sempre avuto una economia pesantemente condizionata dalla politica e da poteri di vario genere, dalla Chiesa alle maggiori aziende, fino alle logge massoniche.

Per cinquant’anni, l’economia italiana è stata in gran parte in mano allo Stato, e per il resto nelle mani di un capitalismo familiare, dagli Agnelli in giù, che ha fatto molto per lo sviluppo del Paese, ma anche creato l’abitudine a scaricare sullo Stato le perdite e tenersi i profitti. Bene o male, comunque, era un sistema che stava in piedi; dopo il crollo del comunismo, però, siamo passati a una economia di mercato per finta, dove in realtà il potere politico è direttamente occupato dagli interessi finanziari, e dove i politici di tutti gli schieramenti si preoccupano soprattutto di passare pezzi di economia agli amici. E’ successo con Telecom, è successo con le banche, è successo con le autostrade, sta succedendo ora con Alitalia.

In Italia, insomma, il mercato non c’è mai stato; e prima di preoccuparci di rimetterlo sotto il controllo dello Stato, dovremmo preoccuparci di arrivare ad averne uno vero.

Purtroppo, la vedo dura: culturalmente, gli italiani sembrano del tutto impreparati a concetti come concorrenza, meritocrazia, rischio in proprio, o all’idea che a ogni spesa debba corrispondere un’entrata, e che un diritto di qualsiasi genere può esistere soltanto quando esistono in cassa i soldi per implementarlo. Questa impreparazione è peraltro una delle cause fondamentali della nostra crisi economica, che la rende strutturale e difficilmente reversibile.

Questo vale a tutti i livelli; per esempio, tempo fa ho discusso con un insigne professore universitario torinese sul fatto che l’Università, pur contando su ampi contributi pubblici, dovesse arrivare al pareggio di bilancio, se necessario con entrate da vendita di servizi, senza convincerlo; la sua idea era che “l’Università è importante, quindi lo Stato deve far saltare fuori i soldi in qualche modo”.

Più nel piccolo, bastano le solite lettere a Specchio dei Tempi: oggi c’è una che si lamenta che in un bar in orario serale ha pagato sette euro un chinotto anche se non ha consumato l’aperitivo, e il tavolo era sporco, e il cameriere era sgarbato. Ma non basterebbe cambiare locale? Perché si deve invocare che lo Stato-mamma vada a sorvegliare tutti i camerieri del Paese o stabilisca per decreto (come chiede un altro nei commenti) che è obbligatorio che i bar ti vendano il chinotto separatamente dal buffet anche in orario di apericena? Non ci si poteva lamentare direttamente col proprietario del locale, invece di stare zitti e poi scrivere a Specchio dei Tempi?

Purtroppo, pare che il mercato sia troppo difficile da sopportare per buona parte degli italiani: il mercato, infatti, è basato sulla responsabilità individuale di tutti coloro che vi partecipano, mentre ciò che sognano questi italiani è l’uomo forte che prende le redini della cosa pubblica e sistema tutto senza che loro debbano preoccuparsi di se stessi, del proprio futuro, della propria ricchezza. Così, poi, sapranno con chi prendersela quando piove.

[tags]economia, mercato, nazioni unite, wto, italia, piangioccioni[/tags]

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domenica 28 Settembre 2008, 10:58

Domande su Torino

La Stampa ospita molti blog, ma ne ho scoperto da qualche tempo uno che sembra fatto apposta per me: Questa è la mia città di Maurizio Ternavasio, che si occupa di descrivere la storia delle vie cittadine, compresa la toponomastica e la geografia urbana.

Queste due, infatti, sono uno dei modi migliori per ricostruire a posteriori la storia di una città. Persino la sola mappa cittadina di oggi, se guardata con attenzione, fornisce indizi che permettono di ricostruire la storia dell’espansione urbana; spesso basta unire i puntini. Se poi si riescono a recuperare mappe più vecchie si possono scoprire grandi cose.

Il Ternavasio, comunque, non è riuscito ancora a risolvere uno dei piccoli misteri sorti durante le mie peregrinazioni cittadine. Se percorrete corso Matteotti verso la periferia, l’ultima via è intitolata a tal Policarpo Petrocchi, filologo ottocentesco. Qualche anno fa, però, mentre passavo di lì in bici notai la targa di vernice recentemente restaurata, che portava la scritta “via Alessandro Pedrocchi” (mi pare Alessandro, dovrei controllare, ma il cognome era quello). Cosa sarà successo? Un errore nella targa? Una sostituzione di nome in tutta fretta, magari per eliminare un personaggio scomodo (per esempio fascista), cercando di sostituirlo con il nome meno diverso che si poteva trovare?

Questo non lo so, però, per quelli di voi che vogliono dilettarsi a riflettere su grandi e piccoli cambiamenti urbani con qualche piccolo quiz, lascio qui cinque domande con cui potete cimentarvi. Sparate pure senza ritegno.

1) Dove passava la circonvallazione di Torino e perché fu costruita?

2) Qual è l’unico Lungo Dora che non costeggia la Dora, e soprattutto, perché?

3) Dove sta via Udine? Attenzione, non mi basta un tratto di via Udine: esigo tutto il percorso della via dall’inizio alla fine…

4) Come è possibile che via Lanzo porti a Lanzo, ma passando da una strada (la direttissima della Mandria) che quando via Lanzo è stata così denominata non esisteva ancora?

5) Se percorrete corso Potenza tra via Pianezza e via Valdellatorre, vi accorgerete che a un certo punto c’è un grosso ponte sopra qualcosa… ma cosa?

[tags]torino, blog, la stampa, toponomastica, urbanistica, storia[/tags]

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sabato 27 Settembre 2008, 12:17

[[Fratelli Calafuria – La nobile arte]]

Ho scoperto per caso da qualche giorno questo disco che si chiama Senza titolo, però ha come sottotitolo Del fregarsene di tutto e del non fregarsene di niente: già una cosa del genere ti fa drizzare le orecchie. Ne è autrice una giovane e promettente band denominata Fratelli Calafuria, anche se il mio intuito di critico musicale mi dice che potrebbero non essere veramente fratelli.

Il disco, comunque, pompa: è un mescolone di qualsiasi cosa rock udita negli ultimi vent’anni, un po’ Scanca Nancy o Marlene Truzz e un po’ delle band molto più serie che non merita storpiarne il nome, a partire dal fatto che buona parte del lato A dopo il singolo potrebbe uscire direttamente da uno degli ultimi dischi dei Faith No More. (Ma esiste ancora nel 2008 il concetto di lato A?) Ma anche il punkettino americano di fine millennio, i Reduci di Beppe (la band torinese diventata famosa in tutto il mondo da quando un gruppo californiano, i Red Hot Chili Peppers, ha cominciato a farne le cover) e persino i Police; d’altra parte i tre sono un trio (e questa è una tautologia) e il cantante fa dei falsetti alla Sting dapaura, ragazzi, dapaura!

Sopra tutto questo popo’ di musiche, i tre mettono dei testi di nonsenso soltanto apparente, che in realtà sotto sotto hanno dei significati: e qui si capisce il sottotitolo. Parliamo quindi del singolo: un singolo proprio carino, commerciale e radiofonico il giusto, e con quella geniale inversione del cazzo che fa sì che la canzone venga ricordata invece che censurata. E poi è anche il mio stile di vita preferito! Comunque il paragone con Elio e le Storie Tese non regge neanche un secondo: qui lo scopo del nonsenso non è farti ridere, ma straniarti e rompere i tuoi schemi di pensiero. Come nell’immortale (Uachi) La merendina, che vi rivela come suonano veramente i jingle pubblicitari del pomeriggio di Raiset nel caso in cui stamattina, appena alzati, non vi siate lavati il cervello.

Purtroppo i tre sono milanesi, per cui c’è da temere che presto comincino a tirarsela come gli Afterhours e i Baustelle (sì lo so che i Baustelle non sono di Milano, ma da come se la tirano credo gli abbiano dato la cittadinanza onoraria). Speriamo di no, e se fanno un giro all’Hiroshima sarà il caso di andarli a vedere.

Audio clip: Adobe Flash Player (version 9 or above) is required to play this audio clip. Download the latest version here. You also need to have JavaScript enabled in your browser.

Ci vuole stile per andare in manicomio yeah
E non capisco perché, e non capisco perché
Bisogna farsi attraversare dalle cose yeah
E non capisco perché, e non capisco perché

Se c’ho il fisico non ho lo stimolo
Se c’ho lo stimolo non c’ho lo stomaco
Qua non so come fare a non uscire di me

Per cui mi dedico alla nobile arte, nobile arte
Di non fare un zzoca da mattino a sera
La nobile arte, nobile arte di non fare un zzoca da mattino a sera
La nobile arte, nobile arte di non fare un zzoca da mattino a sera
Un zzoca da mattino a sera, un zzoca da mattino, un zzoca da mattino, yeah

Ci vuole il fisico per andare in manicomio yeah
E non capisco perché, e non capisco perché
Bisogna fare le cose e attraversarle yeah
E non capisco perché, e non capisco perché

Se c’ho lo stomaco non c’ho il fegato
Se c’ho il fegato non c’ho il fisico
Oh sono troppo alternativo andate senza di me

Che io mi dedico alla nobile arte, nobile arte
Di non fare un zzoca da mattino a sera
La nobile arte, nobile arte di non fare un zzoca da mattino a sera
La nobile arte, nobile arte di non fare un zzoca da mattino a sera
Un zzoca da mattino a sera, un zzoca da mattino, un zzoca da mattino, yeah

La nobile arte, nobile arte di non fare un zzoca da mattino a sera
La nobile arte, nobile arte di non fare un zzoca da mattino a sera
La nobile arte, nobile arte di non fare un zzoca da mattino a sera
Un zzoca da mattino a sera, un zzoca da mattino, un zzoca da mattino, yeah

[tags]musica, rock, fratelli calafuria[/tags]

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venerdì 26 Settembre 2008, 14:53

Prezzi cinesi

Stamattina ero in ufficio da Glomera, e per pranzo mi hanno portato al ristorante pizzeria cinese Millefiori di via Stradella; un posto normale, ben tenuto, con le pareti dipinte da poco e i tavoli (generalmente deserti) in ordine. Bene, il pizzaiolo cinese in cinque minuti ci ha sfornato quattro pizze al tegamino, di dimensione normale, ottime, condite nei modi più vari, che ci siamo portati via; prezzo totale, 11,30 euro con tanto di scontrino.

Sarà sicuramente vero che, pur con gli scontrini, si tratta di imprese a conduzione familiare che risparmieranno (o evaderanno?) contributi e balzelli vari; la stessa cosa, peraltro, si può dire delle tonnellate di club e circoli Arci gestiti da italiani e spuntati come funghi in questi anni, che però hanno quasi sempre prezzi da ristorante quattro stelle.

Insomma, sul come facciano i cinesi-italiani a mantenere prezzi tanto ridicoli si intrecciano sempre molte teorie; generalmente si va a parare sul fatto che, in un modo o nell’altro, sono malvagi evasori che rubano il lavoro agli italiani-italiani e dovrebbero essere visitati tutti i giorni dalla Finanza, come mi ha detto l’altra settimana il mio parrucchiere mentre, per i venti euro chiesti per tagliarmi i capelli, mi faceva una ricevuta non fiscale su un pezzo di carta da formaggio.

Qualcuno ha delle idee migliori?

[tags]economia, italia, cina, pizza, evasione fiscale[/tags]

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giovedì 25 Settembre 2008, 13:04

Turno di notte

Prendo questi pochi appunti su una trasferta di calcio infrasettimanale a Verona con un taccuino e una matita dell’Ikea, stando ben attento però a lasciarli sul pullman una volta giunti allo stadio: infatti, l’ultima volta che per caso sono arrivato allo stadio con una matita dell’Ikea in tasca, me l’hanno sequestrata. D’altra parte è giusto, non avete idea di quanto facile sia per noi irriducibili ultrà-ninja abbattere interi branchi di pacifiche famiglie con una matita dell’Ikea.

Ci troviamo in una trentina, in un luogo segretissimo che nessuno mai immaginerebbe, per partire alle 15 di un bel pomeriggio autunnale. Un bolide Giachino è pronto per noi: siamo contenti, è intero, pulito e ha quasi tutte le marce. Si presenta la pattuglia della polizia per il controllo preventivo, che si esaurisce nella domanda collettiva “Vero che c’avete tutti i documenti e il biglietto? che poi se no faccio brutta figura con quelli di Verona”. Il capo poliziotto è simpatico, e mentre aspettiamo i ritardatari chiacchieriamo di calcio; dopo un po’ lui comincia ad innervosirsi, perché noi siamo ancora in attesa e rischiamo di non arrivare in tempo per l’inizio della partita; anche lui è del Toro e non vuole perderselo.

Il ritardo è dovuto a una donna; per la precisione, quella già nota ai lettori di questo blog per via di questa foto. Solo uno schema di pensiero femminile può concepire di prenotarsi per un appuntamento a Torino alle 15, avendo come vincolo l’uscire dal lavoro a Ivrea alle 15. Infatti, lei si presenta alle 15:40, e l’autista parte bestemmiando; pagheremo il ritardo con un rigido freno alle soste autogrill, che normalmente sono lunghe e abbondanti (per dire, Torino-Genova ci richiese oltre quattro ore).

Dopo l’ormai consueta fermata alla rotonda di Santena per caricare un po’ di meridionali, a Villanova ci aspetta un gippone; e così, i pericolosi ultrà si avviano per le autostrade italiane scortati da ben due pattuglie coi lampeggianti accesi. (Sono in due perché se no si rompono le scatole, così invece si danno il cambio: fanno un centinaio di chilometri a testa, poi accelerano e vanno a riposare un po’ in autogrill.) Rischiamo continuamente la vita per via delle manovre assurde di TIR polacchi, sloveni e ucraini: altro che pericolo ultras, in Italia ormai c’è il pericolo autostrada!

Viaggiare con la pattuglia davanti, poi, è una tortura: uno dopo l’altro arrivano BMW o Cayenne sparati, passano il bus, vedono la macchina della Polizia e inchiodano di colpo rientrando e tagliandoci la strada. Ogni tanto i poliziotti devono tirare fuori il braccio e fare l’inequivocabile gesto di “rimettiti a 170 e non star qui in mezzo a romperci i coglioni”; alla fine chiamiamo la pattuglia via cellulare e li preghiamo di mettersi dietro anziché davanti.

Il bus ospita due gruppi: davanti noi vecchi flemmatici, e in fondo i ragazzini, da cui arriva un odore di canne e gita scolastica. Incredibilmente, manteniamo una media di 100 orari; l’unica sosta pipì è in una piazzola all’altezza di Stradella, accuratamente priva di grill per non offrire distrazioni. Riusciamo così a garantirci una sosta vera, per cenare alle 18:55 coi panini Autogrill in quel di Desenzano. Il capo bus rassicura la cassiera gridando a voce alta in mezzo alla sala “Oh, non rubate niente, capito!”. Io esco con un pacchetto di grisbì alla nocciola e vengo criticato dal resto del mio gruppo, che dubita del fatto che i grisbì alla nocciola siano ammessi dalla mentalità ultrà. Solo che dieci secondi dopo uno dei duri del fondo bus esce con un pacchetto di grisbì al cacao, così la discussione deve riparare sul punto che il cacao è per veri uomini, mentre la nocciola è per donnicciuole.

Comunque, tutto fila liscio, e in mezzo ai cori del fondo bus che – causa tasso alcoolico – degenerano nell’assurdo (tipo “Noi non siamo esseri umani”) per le otto meno venti siamo a Verona. Come al solito, c’è l’accoglienza casello: tre macchine della Polizia locale vengono a scortarci. Naturalmente non c’è proprio alcun motivo per tutto questo spreco di dipendenti pubblici, ma per giustificare la loro esistenza i veronesi riescono a far fermare il nostro bus proprio in mezzo al piazzale, bloccando per cinque minuti tutto il casello. Partiamo dietro alle sirene spiegate – o meglio lo faremmo, se la seconda non sparisse improvvisamente costringendo l’autista a partire in terza.

Qui, d’improvviso, l’atmosfera cambia. Siamo in territorio nemico, e l’etichetta ultrà prevede che si battano i pugni sui vetri cantando cori offensivi per la città ospitante. L’autista sfodera racconti epici, e di quando a Pescara dovette fuggire col pullman per le vie, e di quando a Cesena i poliziotti locali per vendicarsi dei cori manganellarono la gente a caso. Qualcuno menziona il leggendario Paolella, un distinto signore di mezza età sosia di Bassolino, autista storico degli ultras massimi, quelli della Maratona; solo che il suo antico bus a carbonella è ancora a Cremona (arriveranno a metà primo tempo). C’è nell’aria uno strano brivido, lo percepisci chiaramente; la probabilità di scontri stasera è pari a quella di essere colpiti da un meteorite, ma l’arrivo in terra straniera è sempre così.

I tifosi del Chievo sono simpatici a noi esseri umani, ma, in termini ultrà, ridicoli: pensate che in piena curva, dove in tutta Italia campeggiano teschi, svastiche o volti del Che, loro hanno lo striscione “Amici del bar Pantalona”; e nei distinti campeggia addirittura un “Viva la diga”. A Verona, però, ci sono anche quelli dell’Hellas: quelli sì che sono tifosi seri, razzisti e picchiatori come si deve… Proprio per via dell’amichevolezza di questi ultimi, a Verona c’è una cosa che non c’è da nessuna altra parte: una strada costruita in trincerone a servizio di un’area di parcheggio blindata riservata agli ospiti, auto private comprese. Così ci ingabbiano e si rischia il patatrac.

Ci troviamo difatti in quasi duecento, provenienti da mezza Italia, davanti a un cancello aperto per un lembo, fermi e pigiati in mezzo al gelo notturno. Aspettiamo, riaspettiamo, chiediamo che succede e la risposta è “Zitti e aspettate”: hanno tracciato una riga e tu devi restarci dietro senza che ti diano un perché. Alla fine si fanno le 20:15 ed è chiaro che, con tutta quella gente da controllare, non c’è speranza di entrare tutti in tempo per l’inizio, ed è altrettanto chiaro che la cosa è fatta apposta per romperci le scatole; e dopo avere speso 23 euro di biglietto (gli ultrà si possono ladrare impunemente) più il viaggio, la cosa fa girare alquanto gli zebedei. A un certo punto, quindi, scatta la rivolta; uno steward ha un attimo di pietà, allarga un po’ il passaggio, la gente spinge per non restare fuori e in un istante il cancello si apre e un centinaio di persone sono oltre la riga.

Conoscendo l’accurata selezione della polizia scaligera, siamo tutti fermi con le mani in alto, il biglietto in una e la carta d’identità nell’altra; ciò nonostante, un fronte di una dozzina di poliziotti locali in assetto di guerra avanza dal fondo urlando ordini con fare nazista. Li eseguiremmo anche, se il mix di urlo secco e accento veneto non li rendesse del tutto incomprensibili! Un paio di signori cinquantenni vanno a parlamentare, spiegando che vorremmo soltanto vedere la partita, ma vengono spinti via dai poliziotti. Poi spunta il digo (singolare di digos, ndr) di Torino, parla con un paio di persone chiave, e finalmente i veronesi decidono di essersi sfogati abbastanza; sequestrano qualsiasi cosa gli giri e ci fanno passare. Dietro c’è ben uno sportello che, in sette minuti, dovrebbe consegnare i biglietti a circa cento persone che li hanno comprati su Internet: auguri (memo: mai comprare biglietti di calcio su Internet). Noi passiamo dal tornello, che non funziona, così ci strappano il biglietto a mano e via.

La calda accoglienza veronese continua: il settore ospiti è una curva piena zeppa di cacca di piccione e sporcizia varia; non la puliscono dal ’23, tanto ci vanno solo gli ultrà nemici. Ci sistemiamo alla bell’e meglio in balconata. Il Bentegodi è un catino triste, l’acustica è orrenda e non si sente niente; dall’altra parte gli ultras del Chievo – i North Side, anche se stanno in curva Sud: vorrebbero venire di qui, cioè all’opposto della curva dell’Hellas, ma il Comune non ha voglia di costruire un secondo trincerone con gabbia per gli ospiti – sfoderano una coreografia di ben dodici bandierine (avevano l’autorizzazione per portarne fino a 300; a Torino per una coreo media si parte da cinquemila). Cantano e non si sentono, noi siamo diverse centinaia ed è una bella sensazione, si canta sempre, dal primo all’ultimo minuto.

La partita di calcio vista così è completamente un’altra cosa rispetto a quella che conoscete voi, non ci sono commentatori dementi e leccaculo assortiti, non ci sono moviole e vittimismi ma al massimo dei sani fanculi esagitati; c’è solo il campo con gli omini sopra e l’audio di te che canti, e che ogni tanto chiedi al vicino cos’è successo perché non sei riuscito a vedere. La partita vola via in un battito di ciglia, il primo tempo sembra duri cinque minuti; loro lo passano a protestare, noi facciamo gol su rigore netto.

All’inizio del secondo tempo cadono le prime vittime, gente che si affloscia di botto con la faccia sul cemento della curva per via di troppa vodka e troppe canne (non sono tutti così, ma ce n’è alcuni che fanno questa vita solo per sversarsi). Loro pareggiano, il Toro non esiste più da un po’, noi ci difendiamo con la grinta, incitando i nostri e insultando loro e varie altre città italiane. De Biasi sfodera i suoi famosi cambi assortiti, nel senso che ha lì due cappelli pieni di bigliettini, uno con i nomi degli undici in campo e uno con quelli della panchina, ne piglia a sorte uno da ognuno e ordina il cambio, tipo Ogbonna per Abbruscato. La terna arbitrale già da venti minuti alla fine punta all’1-1 senza danno, fischiando falli di confusione non appena una delle squadre si avvicina alla porta. Finisce così, e il loro portiere Sorrentino (ex granata) si gira verso di noi e ci saluta; noi reagiamo facendo il dito medio per istinto, e solo dopo capiamo che non stava sfottendo.

Ripartiamo alle undici passate, e arriva l’ultimo gentile regalo della squadra mobile di Verona: ci scortano in colonna non a Verona sud (sulla A4) ma a Verona nord (sulla A22), peccato che lo svincolo di immissione dalla A22 verso Milano sia chiuso per lavori sin dal mattino. Possibile che non lo sapessero e che non abbiano nemmeno visto i numerosi cartelli? In pratica ci spediscono verso la bassa padana, e a quel punto il meno peggio è andar dritti e passare da Modena (!) per tornare a casa, allungando di un’ora.

Così, un po’ delusi e stanchissimi, a mezzanotte meno un quarto ci fermiamo al Fini grill Po ovest di Mantova, anzi Mbntovb. Dentro ci sono due tizie che puliscono e non più di cinque panini stantii; noi siamo due bus di affamati. Io riesco a infilarmi in cassa per terzo, e mi tocca un dialogo alla Ionesco:

vb: “Buonasera, vorrei un panino”.
cassiera: “Quale panino?”
vb (indicando col dito la teca a fianco in cui giacciono solo due panini): “Quello lì.”
cassiera: “Vuole un ‘Oro giallo’?”
vb: “Non so come si chiamino i vostri panini, ma quello lì con la mozzarella.”
cassiera: “Sì, ma vuole un ‘Oro giallo’ o un ‘Caprese’?”
vb (guardando la teca dove, comunque, c’è un solo panino con la mozzarella): “Non so, quello che c’è lì!”
cassiera (scazzata): “Va bene, se non me lo vuole dire faccia pure, intanto le batto lo scontrino visto che costano tutti uguale!”

Alla fine, mentre mangio un panino vecchio e imbottito solo dal lato visibile, avendo pagato 6,35 euro per quello più una bottiglietta, vedo qualche ragazzino che si frega da bere e mi chiedo se sia più furto quello, o il costringerti a pagare 6,35 euro in regime di monopolio per un panino e una coca. Ma noi siamo i pericolosi ultrà; c’è persino un tizio che si affaccia alla porta dell’autogrill, grida “Forza Chievo!” e scappa a gambe levate, manco avesse infilato una mano nella gabbia dei leoni.

Il resto sono sensazioni confuse, fino all’approdo finale alla mia auto, alle 3:40. Mi chiedo come faccia l’autista a restare sveglio, e lui alla fine confessa: ascolta gli Iron Maiden. Ecco cos’era quel rumore di sottofondo.

[tags]sport, calcio, ultras, tifo, torino, chievo, verona, autogrill, polizia[/tags]

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mercoledì 24 Settembre 2008, 11:59

La dinamica madama

Stamattina, su La Stampa, è uscito un articolo che annuncia l’arrivo di telecamere a bordo dei bus, con lo scopo di riprendere e multare chi viola le corsie preferenziali. Personalmente la trovo un’ottima iniziativa, visto che per me le preferenziali sono sacre; al massimo, in assenza del bus, le uso qualche volta come svincolo degli ultimi venti metri prima dell’incrocio, per girare a destra dai viali senza far rallentare il traffico dietro di me.

C’è però, su una delle arterie principali di Torino – l’asse Potenza – Trapani – Siracusa – una invenzione magica che da tempo lascia tutti noi perplessi. E’ arrivata dopo le Olimpiadi, e nonostante siano passati due anni nessuno ha ancora capito bene cosa vuol dire: è la “corsia preferenziale promiscua”.

Trattasi di una corsia delimitata con la canonica striscia gialla, però tratteggiata; è accompagnata da cartelli che dipingono artisticamente le tre corsie con quella di destra separata da una riga gialla continua e occupata dal bus, però con il sottotitolo “CORSIA PREFERENZIALE PROMISCUA – DARE PRIORITA’ AL BUS”.

Avete capito tutto? Beati voi: nessuno è veramente sicuro se, alla fine, su quelle corsie si possa andare o meno. Va detto che creare una vera preferenziale in quel punto sarebbe da incoscienti: l’unico autobus che ci passa – il 2 – ha frequenze simili alle morti dei Papi, ma in compenso il traffico privato è intensissimo, visto che è la principale arteria di collegamento nord-sud a ovest del centro città. Già così in ora di punta ci sono code lunghissime, figurarsi con una corsia in meno.

Deve essere per questo che hanno messo un “mezzo divieto”: alla fine, la versione più o meno ufficiale è che quelle corsie sono liberamente percorribili, a patto di dare “priorità” al bus. Nessuno sa bene cosa voglia dire dare “priorità”: il Codice della Strada non menziona alcunché di tutto questo. E’ un’altra geniale invenzione dell’assessore Sestero e dei suoi fidi, dopo il quartiere a 30 all’ora, la rotonda di piazza Derna, il sottopasso che porta solo nel parcheggio di 8 Gallery, le piste ciclabili più impercorribili dell’universo, le “onde rosse” sui viali per aumentare il più possibile i tempi di percorrenza, l’abbattimento della sopraelevata di corso Mortara e tante altre cose che l’hanno resa il bersaglio preferito delle lettere di Specchio dei Tempi.

Per questo – ma anche per fornirvi una prova inconfutabile a vostra discolpa, quando i vigili vi fermeranno sulla corsia di corso Potenza – è utile che guardiate anche questo video (qui a bassa risoluzione), ossia la risposta della “dinamica madama” all’interrogazione di un consigliere comunale, che chiedeva appunto cosa volesse dire “corsia preferenziale promiscua”. Stretta nel suo golfino, ci mette solo tre minuti e mezzo di divagazioni per venire al punto, cioè che tutti quei cartelli e quelle strisce tratteggiate coi nostri soldi non vogliono dire nulla più di un generico invito “per favore, fate passare i bus”, ma sono state fatte così per spaventare un po’ i guidatori sabaudi meno coraggiosi.

Mentre lo guardate, ricordatevi la carriera della signora Maria Grazia Sestero Gianotti: preside di liceo, assessore provinciale PCI, consigliere regionale, parlamentare di Rifondazione Comunista per due anni, poi trombata nel 1994; mentre Chiamparino perdeva tra gli operai di Mirafiori Sud con Meluzzi, lei bissava perdendo altri quartieri rossi come Pozzo Strada e Mirafiori Nord. Dopodiché, riciclata dai DS in Comune, fino a fare l’assessore al traffico. Le sue competenze in materia sono sconosciute; le ragioni della sua brillante carriera politica sono misteriose, a meno che il suo secondo cognome Gianotti non implichi una parentela con Lorenzo Gianotti, ex senatore comunista di Rivoli. Sicuramente degnissime persone, ma la competenza della Sestero in materia di traffico è davvero poco credibile.

Quando la guardate presentarsi in consiglio comunale vestita come se stesse andando a far la spesa, senza il rispetto che si deve all’istituzione, pensate a quanti vestiti eleganti potrebbe comprarsi con i 3108 euro mensili che riceve come pensione per i due lunghi anni di Parlamento, che naturalmente si cumulano con lo stipendio da assessore (e magari anche con l’aspettativa da dipendente pubblico?). Sarebbero comunque soldi che sarei lieto di contribuire a pagare, se servissero ad assumere una persona con capacità specifiche, o perlomeno sinceramente disposta a fare ciò che i torinesi vogliono; invece – lei come tutti gli altri – di arrivare in una posizione di potere qualsiasi grazie a una carriera puramente partitica, e, una volta lì giunta, imporre a tutti i cittadini le proprie preclusioni ideologiche. Purtroppo, questo è ciò che passa il convento della politica italiana in questi anni.

[tags]torino, traffico, politica, sestero[/tags]

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martedì 23 Settembre 2008, 10:42

Nel caso qualcuno avesse dei dubbi

Questa settimana si svolgono i mondiali di ciclismo, e per prepararsi all’evento mi sembra utile leggere questa intervista a Ivano Fanini, il capo di una squadra che non vince praticamente mai e ne è orgogliosa. Da Pantani a Basso fino agli ultimi virgulti, parla in modo chiaro un po’ di tutti; sarà interessante vedere quante querele colleziona.

[tags]sport, ciclismo, doping, fanini, pantani, basso[/tags]

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lunedì 22 Settembre 2008, 11:30

L’autovelox è nudo

È nota la mia scarsa simpatia per i limiti di velocità troppo bassi, tipicamente messi per due ragioni – il desiderio di far cassa con le multe e l’avversione ideologica della sinistra radicale all’auto privata, in quanto simbolo borghese da punire – che non hanno nulla a che fare con la sicurezza stradale, la lotta all’inquinamento e la scorrevolezza del traffico.

Per molto tempo mi sono sentito un po’ isolato, di fronte ad assurdità cosmiche (come l’idea di mettere un limite di velocità a 30 km/h in un intero quartiere, viali compresi) che pure trovavano qualcuno talmente imbevuto della suddetta avversione ideologica da essere pronto a giustificarle. Questi giorni, però, sono stati pieni di soddisfazione.

Prima si è scoperto che tutti, ma proprio tutti, gli autovelox del Nord Italia sono gestiti tramite quelle che gli stessi inquirenti hanno definito “associazioni a delinquere”: due o tre ditte che non solo fanno contratti “chiavi in mano” a percentuale con i Comuni – con l’incentivo per tutti a regolare semafori e a definire limiti in modo che sia praticamente impossibile rispettarli senza impazzire – ma che “ricompensano” sindaci e vigili mediante assunzioni di parenti o vere e proprie mazzette; e poi, pare, taravano pure male gli autovelox in modo da barare.

Poi, il capolavoro: un sabato di “follia” – così lo chiama La Stampa – con mezza città in tilt per questo incidente:

regina1.jpg

Notate niente? Io sì: la cisterna si è ribaltata praticamente sotto il famigerato autovelox di corso Regina, quello che impone i 70 orari nel mezzo di quello che è in pratica un raccordo autostradale, e che ha staccato decine di migliaia di multe in pochi mesi. Chissà se l’autovelox c’entra qualcosa?

E’ probabile che non lo sapremo mai; bisognerebbe conoscere la dinamica dell’incidente. Magari la cisterna era sotto i limiti ma andava comunque troppo veloce, o l’autista ha avuto un colpo di sono. Magari, però, la cisterna non è riuscita a cambiare corsia, operazione che ormai è quasi impossibile tra tre file di auto tutte in lento movimento, oppure ha inchiodato per non tamponare quello davanti che ha rallentato a 60. Oppure il traffico si è incasinato per via di qualcuno che cercava di immettersi dallo svincolo che vedete sulla sinistra della cisterna: infatti, nelle ore di punta immettersi su corso Regina da via Pietro Cossa o corso Marche è diventato quasi impossibile, visto che le auto vanno troppo lentamente per lasciare strada libera per un tempo sufficiente. Oppure, ancora peggio, il guidatore della cisterna ha inchiodato di colpo accorgendosi all’ultimo dell’autovelox e temendo la multa (e ne ho visti vari fare questa manovra in quel punto, passando in pochi metri da 110 a 70); in questo caso ovviamente la responsabilità è la sua, ma senza l’autovelox paradossalmente l’incidente non sarebbe successo.

Un limite di velocità – o una qualsiasi regola sociale – dovrebbe essere naturale; dovrebbe servire a punire quel 5 – 10 per cento di indisciplinati e incoscienti che statisticamente esiste in qualsiasi attività umana. Se invece la regola è tale per cui la maggior parte delle persone si troverebbero in fallo se agissero in modo normale, allora c’è un problema con la regola, che o finisce per essere disattesa col tacito accordo di tutti e infine abolita, o richiede costi mostruosi per essere fatta rispettare. Questo vale per molte cose, dal divorzio allo scaricamento di file da Internet, e vale anche per i limiti di velocità.

Io sono assolutamente a favore degli autovelox e di un rispetto pignolo delle regole, ma dopo che le regole sono state rese rispettabili e tali da rispecchiare il sentire comune, e non quando le regole sono disegnate apposta per vessare le persone. Noi, purtroppo, siamo ancora pieni di politici vecchio stampo, quelli che vengono da una formazione ideologica; e l’ideologia altro non è che la pretesa di insegnare al mondo a girare nel verso opposto, con uno sforzo tanto immane quanto inutile. Spiace notare che l’assessore al traffico Sestero ancora non l’ha capito.

[tags]torino, traffico, autovelox, regole, velocità, sestero, corso regina[/tags]

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domenica 21 Settembre 2008, 12:51

Amo quest’uomo

Urbano Cairo è fatto così; è abituato a non accontentarsi e a insistere nelle negoziazioni ben oltre il tempo limite dell’essere umano medio, pur di strappare alla fine il risultato migliore. Questo implica il lasciare mugugnare per mesi tutti i tifosi, fino a fargli pensare che in realtà non stia facendo nulla e stia soltanto banfando, per poi saltar fuori all’ultimo con il coniglio dal cilindro.

E’ successo così per l’acquisto di Rolando Bianchi ed è successo così anche per lo sponsor: alla vigilia della terza giornata di campionato, il Toro era l’unica squadra a non avere ancora trovato lo sponsor principale e i tifosi mugugnavano: “Ma come si fa… ma che figura da polli… che dilettantismo…”. Dopodiché, in settimana ne sono arrivati due: prima è stato annunciato un accordo da sponsor secondario con Seat (la casa automobilistica), e poi ieri è stato presentato il nuovo main sponsor e la relativa maglia:

maglia_toro_08_544.jpg

Che dire: due sponsor automobilistici concorrenti della Fiat in una sola settimana, come messaggio all’altra sponda e alla cupola cittadina non c’è male. Naturalmente nessuno crede che siano stati scelti apposta per quello – Cairo si sarà limitato a scegliere le migliori offerte che aveva sul piatto – però, perlomeno, non si è posto alcuna remora, e questo sarebbe stato impensabile anche solo dieci anni fa. Vedremo insomma come andrà il derby tra i trattori della Fiat e i camion francesi…

[tags]torino, toro, juventus, calcio, sponsor, fiat, renault, seat[/tags]

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