“Are you hoping for a miracle?”, ripeteva la canzone alla radio sotto la pioggia di venerdì notte; che poi non era veramente la radio a mandarla, visto che trasmetteva un po’ della solitammerda che mandano in questa età sbracata anche le radio progressiste, ma ero io che avevo in testa quel pezzo – gran pezzo – da tutta la serata, e me lo trasmettevo da solo tra me e me.
Erano quasi le due, e tornavo a casa dopo una serata perfetta in cui non speravo più. Non è che la vita da adulti sia malvagia, ma è soltanto quando ti ricordi com’era a vent’anni che realizzi come a un certo punto, anche quando ti sembra che stia migliorando e indubbiamente per molti versi lo fa, la vita non possa fare altro che decadere dal suo punto di climax giovanile.
A vent’anni io ero così: le mie prime vere uscite di casa erano per suonare. Tre anni che sembrarono trenta, in cui vivemmo tutte le avventure possibili e immaginabili; poi il silenzio, altre cose, qualche reunion ogni tanto. Adesso era un anno e mezzo che non succedeva, e poi le ultime volte erano state prive di fascino, stanche, svuotate. Stasera non ci si aspettava granché, e invece, come è suo destino se appena lo lasci scorrere, il rock ha roccheggiato.
Dovevo lasciarmi prendere dagli auspici, e capire subito che quella della resurrezione del Cristo sarebbe stata anche una settimana di resurrezione di vite passate: sabato scorso ero andato a un addio al celibato dove il padrone del locale, un signore molto molto comunista, appreso della circostanza aveva offerto a tutto il tavolo un blocco di fumo. Io in tutta la mia vita ho fumato zero sigarette e un paio di spinelli; ciò nonostante il fumo fa sempre contenta la compagnia, e quando è regalato è un segno di buon auspicio.
Stasera invece è successo che dopo un anno e mezzo che la mia tastiera prendeva polvere – non avevo mai aperto la custodia, depositata in cantina, da quando avevo traslocato – e nonostante l’accresciuta scomodità di dover recuperare l’auto e riportarla fino in cortile per caricare l’attrezzo, si è scoperto al momento buono che c’era dell’energia che doveva uscire. Ed è quell’energia che, attenzione, non può uscire in altro modo se non con un gruppo rock, quell’entità misteriosa che permette la fusione di anime e di sentimenti in un meccanismo corale e silenzioso, ma spaventosamente efficace (almeno per chi vi sta dentro, poi chi ascolta può anche tapparsi le orecchie) anche quando la tecnica non è dalla tua parte.
Del resto devi proprio avere i pezzi nell’anima, perché canzoni non suonate da uno, due, cinque, dieci anni ti vengano ancora naturali al primo tentativo; e così, esauriti i riti – l’accordatura, il ritardo cosmico del cantante, le Moretti a garganella, il mixer su cui manca sempre il pulsantino giusto – la sessione che doveva finire alle 22 è finita alle 24.
E non solo: finito, pausa sigaretta (altrui), e poi si deve mangiare, e dove si va a cenare a Torino ben dopo mezzanotte? Beh, si passa da un bancomat bastardo – con lo spregio di mollare l’auto sulle rotaie del tram in piena via Stradella, di giorno zona totalmente off limits per la sosta d’attimino, di notte buia e deserta – e si va al Manhattan, e chi se ne frega se ci sono già stato ieri (a parte il mio stomaco).
Stasera è sera diversa: stasera si va sotto, nell’inferno dei punkettari, dove si può fumare anzi si deve, e punkabbestia e tipe in microgonna si distinguono a malapena nella nube di fumo. Infatti tornato a casa puzzo di fumo, capite, di fumo, e ho anche bevuto due o tre birre, e fanculo al salutismo: com’era bello il mondo quando uscivi dai locali e pur aborrendo il fumo puzzavi come Marlboro Country, quando la vita sapeva di vita e non di vieti divieti. Ma l’uomo in natura beve, fuma, scopa, rutta, caga, si scascia in tutti i modi possibili e manda pure affanculo le donne su base regolare, pur sapendo di non poter vivere senza di loro; nessun uomo è uomo se non vive almeno qualche volta le vignette di Andy Capp.
E allora al piano di sotto del Manhattan c’è ancora un pianeta, un pianeta di un cagnone molosso grande come un vitello e più sveglio del suo padrone centrosocialista che al tavolino si baccaglia una che pare una ex suora del Cottolengo; un pianeta di musica forte tanto ed assurda proprio. Immaginate dei tizi con un batterista che rulla fortissimo, che festeggiano il Venerdì Santo con un concerto punk metal che si conclude ben oltre l’una, tanto forte da impedirti di parlare – se sei controvento l’onda d’urto dell’amplificazione ti ricaccia le parole in gola, in senso fisico – e vaffanculo anche ai vigili e alle ordinanze contro i rumori notturni, che in quella cantina sei nella gola di Satana e da fuori non si sente niente.
Satana ti travia e tu ti perdi, nell’estasi provocata dall’ora tarda dalla stanchezza e dalle onde sonore; ti spari la tua birra e pizza gigante con dieci euro – un altro miracolo, dato che notoriamente un deca non bastava già 17 anni fa – mentre il batterista rulla e rirulla e alla fine i tizi attaccano il ritornello, e il ritornello, peraltro non molto diverso da quello dei pezzi precedenti (pezzi loro, capisci: loro sono artisti, loro suonano pezzi loro, mica le cover), è fatto di urla belluine che dicono: “D*O FAAAAAAAAAAAA!! D*O FAAAAAAAAAAAA!! D*O FA, D*O FA, D*O FAAAAAAAAAAAAAAA!! D*O FAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA, AAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!”. E così per interi minuti: questa, signori, è la buona Pasqua punk.
[tags]musica, radio, bloc party, rock, punk, birrerie, gruppi, moretti, accordatore, binari del tram, pub, manhattan, vigili nemici della musica, cani e padroni di cani, baccaglio libero, microgonne, satana, rumori molesti, resurrezione, pasqua, in missione per conto di dio[/tags]