Giustizia
È sempre interessante interrompere la sequenza di notizie serie, quando non frustranti, per leggere di qualche episodio strambo (per quanto, come in questo caso, con nefaste conseguenze per qualcuno dei protagonisti).
L’episodio di oggi è questo: a Lecco, una signora di 55 anni, pendolare, prende ogni mattina il treno per Milano. Un giorno, nel treno carico di pendolari, un giovane di circa trent’anni arriva, le fa spostare il cappotto, e si siede davanti a lei; non dice niente, non fa niente, i due non scambiano una parola; ma, secondo la signora, lui passa tutto il tempo a guardarle le tette. Anche il giorno dopo, il ragazzo si siede nello stesso gruppo di sedili della signora; e anche quel giorno, secondo la signora, pur non succedendo assolutamente niente, continua lo sguardo insistente. A questo punto, scesa dal treno, la signora corre dalla Polizia Ferroviaria, fa identificare il ragazzo, presenta denuncia, e dopo tre anni lui viene condannato da un giudice di Lecco a dieci giorni di reclusione per molestie.
La signora giornalista della Stampa Flavia Amabile non si scopre, e si limita a riportare l’episodio senza dire apertamente cosa ne pensi; i post del suo blog però tendono a presentarla come una femminista, a partire dall’articolo precedente dedicato alle donne che denunciano Di Pietro e Ferrara per discriminazione e all’introduzione nel sistema penale del concetto di “femminicidio”, ossia una aggravante quando una donna “viene uccisa in quanto donna” (non sono sicuro di aver capito). Penso quindi che sperasse in una risposta un po’ più calorosa per le sofferenze immateriali di questa povera signora.
I commenti del pubblico, invece, sono impietosi: oltre cento e non uno a favore della signora. Dall’indignazione allo scherno, la critica si divide equamente tra la presunta vittima e il giudice che ha trovato il tempo di darle ragione (e qualcuno se la prende anche con la giornalista). Anche io mi unisco alla pomodorata virtuale: se veramente non c’è stato di più, e se è stato sufficiente stare per due volte di fila nello stesso scompartimento per venire condannati per molestia, mi sembra che si sia completamente perso il senso della misura; la condanna si spiegherebbe soltanto con una visione pesantemente ideologica del giudice stesso.
Se lo sguardo dava fastidio, la signora poteva semplicemente chiedere di smettere, o al limite cambiare lei posto; ma soprattutto, non c’è nulla in questa faccenda che provi l’intenzione di offendere del ragazzo, o nemmeno la consapevolezza del fatto che il suo comportamento desse fastidio alla signora, visto che pare che lei non si sia degnata di dirglielo. Peraltro, come insegnano Freud e discepoli, nel cervello vige la legge del taglione: in mancanza di comunicazioni dirette da parte dell’altro, noi pensiamo istintivamente che lui voglia fare a noi ciò che noi vorremmo fare a lui. Saranno quindi un po’ malevoli i numerosi commenti che suggeriscono che la signora, in un approccio, più che altro ci sperasse; ma sono secondo me anche molto credibili.
Comunque, in attesa che a prendersi cura della dignità calpestata delle donne si adoperi il nuovo ministro della Famiglia Mara Carfagna – ammesso che lo diventi veramente e che non sia solo un pettegolezzo di centrosinistri frustrati -, il vero dramma di questa storia mi sembra il giudice, e la giustizia italiana in generale. Io non me ne intendo, e posso immaginare che il giudice che ha seguito questo caso non sia lo stesso che segue gli omicidi, i furti e lo spaccio di droga; ma in un sistema al collasso, dove i mafiosi escono per decorrenza dei termini o perché il giudice non si degna di scrivere la sentenza, dove la polizia si lamenta di rischiare la vita per arrestare spacciatori e rapinatori che il giorno dopo vengono rimessi in libertà , come può un giudice perdere tempo con una stupidaggine del genere?
La giustizia dovrebbe funzionare come una qualsiasi organizzazione, con priorità e con una catena di comando dove il dipendente che perde tempo, che non lavora, che si perde in indagini e processi inutili o che le spara grosse per visibilità personale, viene controllato ed eventualmente cazziato dai propri superiori, fino a perdere il lavoro. Invece, per esempio, il giudice che non scrive le sentenze e lascia in libertà i mafiosi è stato protetto ed assolto dal CSM, che comunque gli farà un procedimento, ma con la dovuta calma, come se il problema non fosse grave.
Certo che, a ripensarci, anche certe sparate di Berlusconi sembrano meno ingiustificate: non c’è dubbio che Silvio abbia depenalizzato i reati che gli interessavano (gli altri, peraltro, hanno fatto direttamente un indulto), ma non c’è nemmeno dubbio che la magistratura, pur contenendo al proprio interno un certo numero di eroi, sia in buona parte una struttura parastatale sclerotizzata e inefficiente, arroccata sulle proprie prerogative esattamente come tutte le altre.
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